Skip to main content

Bruno Munari – Ambienti luminosi a Milano (fino al 15 nov 2025)

Bruno Munari e il “Codice Ovvio”: dall’arte per pochi alla creatività di tutti

Bruno Munari, copertina di Codice Ovvio

Il 24 ottobre è stato l’anniversario della nascita di Bruno Munari, maestro che ci ha regalato una visione capace di smontare l’idea dell’arte “per ricchi” e renderla accessibile a tutti. Perché, come amava dire, l’inutile è la cosa più utile che ci sia.

L’idea dell’arte come affare per pochi — “alta”, fatta a mano dal Genio e riservata ai ricchi — era già superata un secolo fa per Munari, artista ma anche designer, scrittore, inventore e fondatore del MAC – Movimento Arte Concreta.

Munari voleva un’arte di tutti, non semplicemente “per tutti”: abbattere il muro tra opera e persone comuni, portare l’arte nella vita quotidiana. Se la tecnologia offre nuovi strumenti, perché lasciarli solo agli “esperti”?

Il “Codice Ovvio”

La sua missione, racchiusa nel concetto di Codice Ovvio, è la ricerca della massima semplicità: niente fronzoli, niente misteri, nessun “vestito invisibile del re”.

«Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere… Pochi sono capaci di semplificare».

L’obiettivo è togliere la “buccia” per arrivare all’essenza, chiara e immediata: un codice così semplice da risultare ovvio.

Bruno Munari, Macchine Inutili

Le “Macchine Inutili”

L’intuizione più geniale e provocatoria sono le Macchine Inutili, create a partire dagli anni ’30. Cosa fanno? Nulla di pratico — ed è proprio il punto. Non producono, non risparmiano tempo, non sono efficienti.

«Una macchina inutile che non rappresenti assolutamente nulla è il congegno ideale grazie a cui possiamo tranquillamente far rinascere la nostra fantasia, quotidianamente afflitta dalle macchine utili».

Oggetti leggeri — cartoncino, fili, lamine — che si muovono nello spazio reagendo al vento o alle vibrazioni: arte del movimento, della percezione e del caso. Non “servono”, ma sono essenziali: educano lo sguardo, liberano la mente dall’ossessione dell’efficienza e dimostrano che la vera arte non ha bisogno di essere utile per essere necessaria.

La mostra a Milano

Munari, scomparso nel 1998, ci ha lasciato un monito: «L’arte di ognuno di noi dovrebbe vivere al passo della nostra vita». A Milano i suoi ambienti di luce e spazio sono protagonisti fino a novembre 2025 in “Bruno Munari. Ambienti luminosi”: un’occasione per toccare con mano come la massima libertà creativa nasca, paradossalmente, dal massimo rigore.

Proiezioni e sperimentazioni luminose di Bruno Munari

L’esperimento della “Proiezione Diretta”

Nel 1954 Munari parte per New York con una piccola scatola contenente cento slides interamente realizzate a mano: non riproduzioni fotografiche, ma composizioni astratte inserite tra i vetrini delle diapositive. Con materiali trasparenti (materie plastiche, cellophane colorato, rodhoid inciso, frammenti organici, cristallizzazioni chimiche) costruisce collage perfetti per la proiezione in trasparenza.

L’intento è ottenere massimo effetto artistico, massima luminosità e equilibrio, senza preoccupazioni stilistiche ma puntando sulla pura comunicazione. Il risultato è la proiezione diretta: la composizione stessa, inserita in un comune proiettore, irradia l’immagine sulla parete.

Presentato al MoMA come «nuovo mezzo a disposizione dei pittori», l’esperimento suscita interesse a New York e poi a Milano, Roma, Firenze, Genova, Parigi, Anversa e Stoccolma. Qualcuno fra i pittori tradizionali storce il naso: temono uno strumento capace di creare in pochi minuti ciò che con i mezzi convenzionali richiede ore. Munari, invece, vi trova una grande soddisfazione: vedere subito e in grande la propria composizione semplifica radicalmente la parte tecnica.

Ricerca sul movimento e luce polarizzata

La ricerca prosegue con slides a spessore: la messa a fuoco lenta, strato per strato, produce variazioni di forme e colori. Affascinanti ma fragili e complesse, lasciano spazio a prove con minimi spessori di materie plastiche alterate chimicamente o fisicamente e a un filtro colorato davanti all’obiettivo: effetti dinamici, ma ancora non pienamente soddisfacenti.

La svolta arriva con la luce polarizzata: ispirandosi alla fotoelasticità, Munari sostituisce i modelli di laboratorio con una composizione artistica fra due filtri Polaroid. Con cellophane incolore, mica e politene ottiene — ruotando uno dei Polaroid — l’intero spettro cromatico, dai toni più tenui ai complementari più intensi: una vera “tavolozza di luce”.

Trionfo e riconoscimenti

Le composizioni a luce polarizzata debuttano a Milano (Studio B-24) davanti a una sala gremita, con proiezioni ripetute fra applausi. Seguono presentazioni ad Anversa, Stoccolma e al Museo d’Arte Moderna di Tokyo, spesso con musica elettronica (il binomio “suono puro – colore puro”); a Tokyo i brani sono composti da Toru Takemitsu. Nel 1960 Munari porta la ricerca alla World Design Conference, davanti a un pubblico di oltre 1500 studenti.

Un artista che non ha mai smesso di interrogare i mezzi espressivi trova in luce e polarizzazione una nuova, potente materia pittorica: un percorso che va dalle prime proiezioni dirette alle ultime, abbaglianti, a luce polarizzata.

Pin It
  • Ultimo aggiornamento il .