Il potere delle donne nell’arte russa in mostra a Milano
Il ruolo fondamentale delle donne nella società e nell’Arte russa tra ‘800 e ‘900 è il protagonista della nuova mostra di Palazzo Reale a Milano.
Divine avanguardie, questo è il titolo della mostra che ha aperto il 28 ottobre 2020 e, che, causa la chiusura legata all’emergenza covid-19, è stata prorogata fino al 12 settembre 2021. Curata da Evgenija Petrova e Josef Kiblitskij, l’esposizione raccoglie, nelle sale del pian terreno di Palazzo Reale, una ricca collezione di opere provenienti dal Museo d’Arte Russa di San Pietroburgo, mai esposte in Italia, che testimonia il potere e il ruolo avuto dalle donne nello sviluppo sia dell’Arte Russa che della modernizzazione della sua società.
Le donne hanno sempre avuto una funzione fondamentale nella società russa, sin dalla nascita della prima entità territoriale da cui sarebbe nato il Paese, il Rus’ di Kiev. Fu la regina Olga, convertitasi dal paganesimo al cristianesimo a Costantinopoli, a essere la prima donna a occupare, nel 945, un ruolo di potere al posto del marito, da poco morto. Olga fu la prima a promuovere il culto di Maria Vergine nei territori conquistati, e il figlio Vladimir vi istituì il Cristianesimo come religione di Stato: in virtù del suo credo e dell’opera evangelizzatrice di Cirillo e Metodio, si intraprese una vasta produzione di icone, tavole su legno destinate sia alla devozione privata che ai pannelli divisori, situati nelle chiese, creati per separare la parte per il clero da quella per i fedeli. Alle icone raffiguranti la Madonna è dedicata la prima sezione, che raccoglie opere realizzate da anonimi maestri tra il ‘500 e il ‘600, ancora legate a schemi arcaici bizantini.
La seconda parte è dedicata alle grandi zarine che segnarono gli sviluppi e la modernizzazione della società russa dal ‘600 ai primi del ‘900. Fu Pietro il Grande, zar riformatore, a creare il terreno per l’ascesa al potere delle donne. Sin dalla sua morte, nel 1725, iniziarono ad alternarsi uomini e donne, ai vertici di un Paese in rapida espansione. Furono quattordici le zarine che governarono la Russia dal 1725 al 1917: cinque di loro sono le protagoniste dei ritratti esposti in questa sezione, opera di artisti sia russi che stranieri. La figura di spicco è sicuramente Caterina II, la zarina che, più di ogni altra, contribuì a modernizzare la Russia, a portare l’Illuminismo in Patria e a ospitare a corte artisti internazionali (tra questi, uno dei più grandi ritrattisti italiani del Settecento, il veronese Pietro Rotari). I ritratti hanno il taglio “ufficiale”, segnati da simboli dinastici e militari, ma anche una dimensione psicologica, come la Maria Fedorovna, moglie di Alessandro III, ritratta da Ivan Kramskoj nel 1886.
Con la terza sezione, si passa dalla dimensione del potere e della nobiltà a quella delle lavoratrici e delle contadine, che, fino alla fine dell’800, erano, a causa della servitù della gleba, prive di qualsiasi libertà. In mostra, si possono osservare opere di Aleksej Venetsianov, il primo artista russo a ritrarre contadini e contadine e che, insieme alla moglie, contribuì alla loro scolarizzazione e istruzione. Le condizioni, con la Rivoluzione del 1917, cambiarono totalmente, e nacquero grandi fattorie collettive, i kolchoz: il rappresentante artistico di questo momento è Kasimir Malevic’, in una fase pittorica già oltre l’eredità futurista del Suprematismo, proiettata verso una nuova forma creativa, che lui stesso chiama Supronaturalismo: si tratta di dipinti figurativi, ma con personaggi ritratti non in modo realistico, ma in una dimensione quasi metafisica, fuori dal tempo. Testimonianza di questa fase sono le Mietitrici, opere eseguite nel 1928-29, esaltazione del lavoro contadino alla base della società russa ma anche omaggio alle molte donne operative nelle vaste pianure ai piedi degli Urali.
La parte successiva è dedicata ai ritratti delle mogli e figlie degli artisti, ma anche di figure femminili importanti nel panorama culturale russo e di semplici lavoratrici colte nel loro quotidiano: questi ritratti testimoniano il primo passo verso una forma di emancipazione delle donne nella società. Opera di punta della sezione è il bellissimo ritratto della poetessa Anna Achmatova, del 1922, eseguito da Kuzma Petrov-Vodkin, in cui la donna è ritratta con capelli corti a frangetta, tipica degli anni ’20, mentre, sullo sfondo, compare, a monocromo, un profilo di figura maschile, omaggio ai disegni del Rinascimento italiano. Molto intimo e psicologico è il ritratto della figlia, opera di Il’ja Repin, artista russo conosciuto per essersi accostato al Simbolismo e all’Impressionismo. Di Aleksandr’ Dejneka, invece, è emblematico il grande dipinto, totalmente figurativo e aderente al Realismo socialista, divenuto Arte di Stato con i primi anni ’30, raffigurante le operaie tessili di Leningrado, omaggio alle prime lavoratrici a scioperare nel 1917, chiedendo condizioni di vita migliori, e che diedero inizio all’ondata di proteste da cui sarebbe scaturita la Rivoluzione d’Ottobre. Di Malevic’, infine, è degno di nota il ritratto della ballerina, in cui si nota una fase di transizione dal figurativo all’astrazione suprematista.
Segue una sezione dedicata alla situazione delle donne in famiglia, ancora legata a norme patriarcali. Ci sono opere di denuncia, come la giovane sposa molestata dal suocero, di Makovskij, ma anche la disperazione della ragazza, ritratta da Zuravlev, mentre piange sconsolata per un matrimonio combinato con un uomo anziano, oppure il rituale umiliante della giovane osservata nuda dalle parenti del fidanzato, di Mjasoedov. Ovviamente, questi rituali sarebbero stati cancellati con la Rivoluzione del 1917, quando uomini e donne ottennero parità di diritti e le seconde iniziarono, in virtù del loro lavoro nelle fabbriche e nei campi, a essere considerate eroine sovietiche.
Anche la maternità fu un tema esplorato da pittori e pittrici russe, così come nel resto d’Europa, tra la fine del XIX e i primi del XX secolo. Spicca, in questa sezione, il piccolo bronzo del principe Paolo Troubetzkoy, milanese di origine russa che fu scultore scapigliato e artista molto noto nel panorama meneghino fin de siecle, ma anche il bellissimo ritratto della cugina con il figlioletto in braccio, opera della prima grande pittrice russa, ovvero Zinaida Serebrjakova, estremamente realistica e quotidiana, priva di ogni idealizzazione. Degni di nota sono anche il dipinto a tema di Pelevin, minuzioso nella resa del dettaglio, e quello di Red’ko, che rappresenta una nutrice in un asilo nido di epoca sovietica, testimoniata dalla statuetta, sullo sfondo, di un soldato dell’Armata Rossa.
La parte successiva è incentrata sul corpo femminile e sul nudo, tema artistico ampiamente praticato, in Russia, sin dal Settecento, ma che, durante gli anni del regime sovietico, fu vietato. In mostra si possono osservare dipinti di Boris Kustodiev, che raffigurano donne sinuose, quasi omaggi alla tradizione veneta del ‘500, da Tiziano a Veronese, ma con tratti tipicamente slavi, o la modella dai capelli rossi di Lebedev, ricordo della Belle Epoque, ma anche la Venere di Michail Larionov, stilizzata ed elementare nel suo primitivismo che ricorda alcune prove di Pablo Picasso.
L’ultima parte di mostra è dedicata a quelle che danno il titolo all’esposizione, quelle “divine avanguardie” rappresentate dalle donne che si adoperarono per affermare se stesse e il proprio stile nel panorama artistico russo ed europeo. Il punto di svolta, per le artiste russe, è rappresentato dalla metà del XIX secolo, quando molte di loro poterono iniziare, al pari dei colleghi, a viaggiare e a formarsi all’estero, a Parigi soprattutto: alla fine del secolo, varie erano le donne che esponevano insieme agli uomini e che partecipavano alle associazioni degli artisti. Con i primi anni del ‘900, nacque una storica definizione della critica, che chiamò “Amazzoni delle Avanguardie” un gruppo di artiste che contribuì, anche dopo la Rivoluzione, all’affermazione dell’Arte russa nel Mondo. Forse, la prima Amazzone è stata proprio quella Zinaida Serebrjakova che, dopo le prove “di maternità”, poté, nel 1923, entrare nei camerini del Teatro Marinskij di Mosca e ritrarre le ballerine: prova ne è la bellissima tela Camerino. Fiocchi di neve, del 1923, in cui fortissimo è l’influsso impressionista di Degas, messa a pendant con il suo autoritratto, opera intima e profonda, come testimoniato dallo sguardo penetrante.
Zinaida fu una apripista, in quanto, reduce da alcuni anni a Parigi, al suo ritorno in Russia, fece conoscere le innovazioni delle prime avanguardie francesi, dai Fauves agli albori del Surrealismo, anche se fu Natalja Goncarova a raggiungere l’apice creativo delle “Amazzoni”, tra gli anni Dieci e Venti, a cavallo della Rivoluzione, superando il figurativo puro e realistico in nome di un avvicinamento al Futurismo, chiamato Raggismo. Natalja rimase affascinata dalle opere di Boccioni, Balla e Carrà, tanto da approfondirne le tendenze dinamiche accostandole alla staticità ieratica e arcaica delle pitture murali delle chiese ortodosse. Su di lei, fu notevole anche l’influsso del primitivismo del marito, Michail Larionov: lo stile di Natalja parte dal figurativo, rivalutando le tradizioni popolari russe, le icone, i giocattoli in legno e quanto altro faccia parte del repertorio folk russo, per arrivare a una forma di neoprimitivismo legato alle tradizioni popolari, proprio negli anni di grandi cambiamenti sociali, sganciato da quello stilizzante di Larionov: testimonianza è la bellissima Inverno (1908), in cui il dettaglio naturale minuzioso supera l’elementarità con cui sono raffigurati i passanti in primo piano, con un tocco quasi naif.
Natalja Goncarova fu la prima artista russa a divenire famosa anche al di fuori dei confini patri, ma, ben presto, sarebbe stata seguita da altre pittrici. Tra queste spicca Olga Rozanova, che, nella sua breve vita, contribuì alla nascita di una forma di nuovo astrattismo, in relazione con il Suprematismo di Malevic’. La pittura di Olga è tutta sperimentazione di colore, di combinazioni cromatiche e di scomposizioni di forme che generano una forte tensione emotiva, come provato dal suo dipinto Suprematismo (1916-17). Fu, però, con Ljubov Popova, che iniziò ad affermarsi quella tendenza che univa l’influsso del cubismo di Picasso, Braque e Gris, con il Futurismo italiano: fu lei, insieme a Tatlin, ad affermare il Cubo-Futurismo a livello internazionale, dopo essersi formata accanto a Malevic’ e Rozanova nell’ambito del Suprematismo. Popova divenne, poi, per la sua monumentalità e per il rigore cromatico delle sue tele, una delle artiste di punta del nuovo movimento cubo-futurista. In mostra, degno di nota è anche Città di notte (1913), opera di Aleksandra Ekster, altra pittrice formatasi tra la Russia e Parigi: nel dipinto, la forte impronta dinamica derivata da Boccioni, si fonde con la scomposizione delle forme mista alla spiritualità tipica dell’Orfismo di Delaunay e della moglie Sonja Terk.
Le avanguardie contribuirono all’emancipazione delle figura femminile, in Russia, anche se l’avvento del nuovo regime sovietico ne raffreddò i bollenti spiriti, imponendo, dal 1932, come unico stile ufficiale, il Realismo Socialista, con la sua freddezza celebrativa e agiografica. Vennero vietati, quindi, stili e correnti, e alcuni temi, come il nudo, censurati, in nome della celebrazione del lavoro contadino e operaio o della celebrazione del potere, un po’ come avvenuto in Italia e in Germania. Molte artiste, al pari dei colleghi, si trovarono al bivio: o adattarsi, oppure lavorare per piccole committenze private. Nonostante tutto, alcuni pittori e pittrici, come provato da opere in mostra, continuarono a lavorare a opere di nudo oppure ad altre astratte, che il regime non le considerava per le esposizioni ufficiali.
La conclusione della mostra è affidata a una delle scultrici ufficiali del regime, Vera Muchina, con la sua opera più famosa, la trionfale scultura L’operaio e la kolchoziana, destinata a troneggiare sul padiglione sovietico all’Esposizione Universale di Parigi del 1937. Venne scelta la sua opera per il vigore creativo che caratterizza i due protagonisti, statue di una freddezza quasi neoclassica ma in voga con i gusti dell’epoca di Stalin, che, con gesti grandiosi, alzano al cielo la falce e il martello. L’opera, ingrandita, fu fusa in acciaio inossidabile per la prima volta nella storia, come testimoniato dal video che, in sala, mette in evidenza sia le fasi preparatorie dell’opera che, in un secondo momento, il padiglione sovietico completato.
Divine Avanguardie. Le donne nell’Arte russa
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: martedì – domenica 10.00-19.30; lunedì chiuso
Biglietti: 14,00 € intero, 12,00 € ridotto
Info: www.divineavanguardie.it