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L'Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi in mostra al Museo Diocesano

Per le Feste natalizie del 2019, la risposta del Museo Diocesano all'Annunciazione di Filippino Lippi esposta a Palazzo Marino è l’Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi.

artemisia gentileschi adorazione dei magiDal 29 ottobre 2019 al 26 gennaio 2020, è possibile osservare da vicino questa grande tela, opera di una delle più grandi, ed emozionanti, pittrici della Storia dell’Arte. A cura di Nadia Righi e Roberto Della Rocca, all'interno di una particolare installazione, la mostra intende valorizzare questo raro soggetto sacro, legato al Nuovo Testamento, della pittrice che, come nessun’altra mai, rappresentò, per prima, il dramma della scarsa considerazione delle donne in un settore, come l’Arte, di predominio maschile, rendendolo ancora più accentuato a causa della sua terribile vicenda biografica, segnata dall'esperienza dello stupro subito da un collega, Agostino Tassi, a Roma.

Artemisia Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, 1654 ca.) era figlia di Orazio, un pittore pisano attivo nella Città Eterna come frescante e autore di pale d’altare. Dopo gli esordi romani e la terribile vicenda dello stupro e del conseguente processo, Artemisia fu in Toscana e a Venezia, e, poi, a Napoli, da cui mai si allontanò salvo due parentesi, una romana e un'altra alla corte di Carlo I a Londra.

L’Adorazione dei Magi si colloca esattamente durante questo primo soggiorno partenopeo. La pittrice arrivò a Napoli nel 1630: la città era la capitale di un vice-regno e, proprio in virtù di questo ruolo, una delle più popolose d’Europa e una delle più ricche, a livello culturale e di committenze (basti pensare ai nomi transitati sotto il Vesuvio negli anni precedenti, da Caravaggio ad Annibale Carracci). A Napoli, Artemisia entrò subito nelle grazie dei nobili spagnoli che amministravano la città e l’intero Sud Italia e, grazie a loro, entrò in contatto con l’ambiente artistico cittadino, dominato da personaggi come Massimo Stanzione e Jusepe de Ribera. A Napoli, Artemisia divenne quell'icona che, ancora oggi, ne ha fatto uno dei simboli della Pittura moderna.

Tra i suoi tanti committenti spagnoli a Napoli, Artemisia ebbe il Duca di Alcalà, grazie a cui dipinse due capolavori come la Giuditta e Oloferne e l’Annunciazione, oggi a Capodimonte, ma anche il suo successore, il Conte di Monterey, il quale la mise in contatto con il vescovo, anch'egli spagnolo, di Pozzuoli, Martin de Leon y Cardeñas, che, tra il 1635 e il ’40, aveva pensato a una riqualificazione della Cattedrale puteolana, la quale ha una storia alquanto curiosa.

La Chiesa madre della Diocesi di Pozzuoli sorge nel cuore del Rione Terra, un quartiere sempre “a rischio” a causa dell’attività sismico-vulcanica del bradisismo, tipico della zona Cumana. In quel punto, sul luogo più alto dell’antica Puteolis romana, venne costruito un tempio dedicato a Giove, Giunone e Minerva, che venne, poi, rifatto in epoca augustea con un portico dalle colonne in stile corinzio. Il tempio divenne, nel IV secolo, sotto Costantino, la sede di una diocesi legata alla storica presenza cristiana in città, a partire dalla visita, nel 61, dell’apostolo Paolo. I cristiani puteolani dedicarono la nuova chiesa a Gennaro, Artema e Procolo, i tre santi martiri titolari della Diocesi. Durante il Medioevo, la chiesa mantenne l’aspetto del tempio, anche se i frequenti terremoti ne danneggiarono la struttura. Nel 1630-31, il vescovo Leon y Cardeñas, vedendo risparmiata la Cattedrale dall'eruzione del Vesuvio, promosse ingenti lavori di ristrutturazione della chiesa, con l’erezione di un nuovo coro e la sua decorazione pittorica, affidata ad alcuni noti artisti dell’epoca, napoletani o foresti presenti in città. I lavori terminarono intorno al 1640. La chiesa mantenne il duplice aspetto romano, con l’antica porzione di colonnato, e barocco, con il coro e la cupoletta maiolicata.

Nel 1964, la Cattedrale venne devastata da un incendio: subito iniziarono i lavori di restauro, che dovettero, frequentemente, interrompersi, a causa dei movimenti tellurici cumani e, poi, del terremoto che colpì l’intera Campania nel 1980. Solo nel 2003, i lavori sarebbero ripresi e, da pochi anni, la basilica è tornata svolgere il ruolo di Cattedrale. Essa unisce due parti distinte, l’antico portico classico del tempio romano con il coro barocco, tramite strutture moderne in vetro.

Artemisia fu tra i nomi chiamati dal vescovo Leon y Cardeñas per la decorazione del nuovo coro. Il tema dominante doveva essere quello della presenza cristiana a Pozzuoli a partire dalla figura di Cristo e dei suoi primi seguaci, Pietro e Paolo, fino ai primi martiri cittadini, a cui la Cattedrale è dedicata. Per il coro, Artemisia dipinse tre grandi tele, raffiguranti San Gennaro nell’Anfiteatro, I santi Procolo e Nicea e, appunto, L’Adorazione dei Magi. Gli artisti che le si affiancarono furono lo spagnolo Jusepe de Ribera (I santi Ignazio di Loyola e Francesco Saverio), Massimo Stanzione (Predica di San Patroba), Paolo Finoglio (San Pietro consacra San Celso vescovo di Pozzuoli), Agostino Beltrano (Miracolo di Sant'Alessandro e Martirio di San Gennaro), l’emiliano Giovanni Lanfranco e bottega (Martirio dei Santi Onesimo, Alfio, Filadelfo e Cirino, Arrivo di San Paolo a Pozzuoli e Martirio di Sant'Artema) e i pugliesi Cesare (Adorazione dei Pastori) e Francesco Fracanzano (Cristo nell'orto degli ulivi). Si trattava di un programma iconografico di ampio respiro, che intendeva glorificare una diocesi rimasta, quasi sempre, all'ombra di quella, più importante, napoletana, con la quale intendeva costruire un ponte culturale e artistico.

La mostra, attraverso la sua singolare installazione, intende esporre, dapprima, una ricostruzione virtuale della disposizione delle grandi tele puteolane all'interno del coro della Cattedrale: ciò funge da introduzione all'osservazione diretta dell’opera di Artemisia. La tela si colloca, attualmente, nel registro inferiore della parete destra del coro. Quello che colpisce, sin da subito, l’osservatore, è la sproporzione tra la Vergine con il Bambino e i Magi. I tre Re sembrano decisamente più grandi rispetto alla figura di Maria, vista la vicinanza tra i due gruppi. Non è certo una questione di studio anatomico, ma, secondo la critica, di una scarsa abitudine da parte di Artemisia, con soggetti sacri, da pala d’altare, di grandi dimensioni (3 x 2 metri).

Adattandosi al gusto della committenza locale, Artemisia scelse un naturalismo stemperato dalla presenza di colori freddi, ma calando sempre la rappresentazione nella realtà dell’epoca: Maria sembra, a tutti gli effetti, una popolana del Rione Terra, in linea con la lezione caravaggesca che la pittrice ebbe come Stella Polare per tutta la sua vita. Caravaggesca è anche la resa del dato realistico e lo studio attento del gioco tra luce e ombra. Tipica dello stile di Artemisia è la resa del dettaglio, in particolare delle vesti dei Magi, ricchi broccati che ricordano molto il rosso porpora intenso delle sue Giuditte.

L’Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi
Museo Diocesano, Piazza Sant’Eustorgio 3, Milano
Orari: martedì – domenica 10.00-18.00; lunedì chiuso
Biglietti: Intero 10,00 €; ridotto 8,00 €

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