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Dorothea Lange in mostra a Milano: le fotografie che raccontarono l’America del Novecento

dorothea lange milano

Fino al 19 ottobre, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita una mostra dedicata a Dorothea Lange, fotografa statunitense il cui lavoro ha segnato la storia della fotografia sociale, contribuendo a dare voce a chi viveva nelle condizioni più difficili.

A 135 anni dalla sua nascita, la mostra – curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino – propone un centinaio di scatti che raccontano i momenti più drammatici e trasformativi della società americana del XX secolo.


La vita di Dorothea Lange

Dorothea Lange nacque nel 1895 a Hoboken, nel New Jersey, ma fu a San Francisco che iniziò la sua carriera fotografica. Dopo aver studiato sotto la guida di Clarence H. White alla Columbia University, nel 1919 aprì uno studio di ritrattistica.

Gli eventi turbolenti degli anni Trenta – tra cui il crollo di Wall Street e la Grande Depressione – la spinsero ad abbandonare il ritratto classico per dedicarsi a una fotografia impegnata, volta a documentare le difficoltà sociali ed economiche.

Il punto di svolta nella sua carriera arrivò nel 1935, quando, insieme all’economista Paul S. Taylor, intraprese un viaggio nel cuore degli Stati Uniti per documentare le condizioni di vita dei lavoratori agricoli.

La sua presenza tra i contadini delle aree colpite dalla siccità e dalle tempeste di sabbia – fenomeno noto come Dust Bowl – fu fondamentale per raccontare la disperazione di milioni di americani.

I suoi scatti, che ritraggono famiglie impoverite e sfollate, comunicano con empatia la drammatica realtà della povertà.


Nel 1935, Lange entrò a far parte della Farm Security Administration (FSA), un programma governativo nato per sostenere le politiche del New Deal, con l’obiettivo di documentare le condizioni più estreme della povertà rurale.

La FSA le commissionò numerosi lavori, tra cui quello che la rese celebre in tutto il mondo: Migrant Mother, ritratto iconico di una madre disperata con i suoi sette figli. L'immagine divenne simbolo della sofferenza e, allo stesso tempo, della speranza di milioni di persone colpite dalla crisi. Ancora oggi, è una delle fotografie più emblematiche della storia e un’immagine potente della Grande Depressione.

In quelle stesse terre, tra le piantagioni di piselli in California e quelle di cotone nel Sud degli Stati Uniti, Lange documentò anche il razzismo e la segregazione razziale, mostrando le condizioni disumane dei lavoratori neri.


Un altro capitolo fondamentale della sua carriera fu durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, il governo americano ordinò l’internamento di migliaia di cittadini di origine giapponese.

Pur nutrendo riserve politiche sull’internamento, Lange fu incaricata di documentare la vita nei campi. L’immagine di un’anziana donna che guarda tristemente attraverso le sbarre di una finestra divenne un potente simbolo della sofferenza causata dalle leggi razziali e della perdita delle libertà civili.


Nel corso della sua carriera, Lange cercò di dare forma visiva a emozioni e vissuti che raccontano le contraddizioni del mondo moderno: povertà, crisi climatica, migrazioni, discriminazioni. Le sue immagini continuano a parlare al pubblico, suscitando riflessioni ancora attuali.

Dopo la guerra, Lange proseguì il suo lavoro collaborando con Life e insegnando fotografia, fino alla sua morte nel 1965.

La sua ultima mostra, che avrebbe dovuto essere inaugurata al Museum of Modern Art di New York, rimase incompleta.

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  • Ultimo aggiornamento il .