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Leonora Carrington a Palazzo Reale: mostra a Milano (20/09/2025–11/01/2026)

Dopo il talento di Leonor Fini, un’altra grande figura femminile dell’arte del XX secolo è la protagonista di una mostra a Palazzo Reale di Milano.

Alla pittrice inglese Leonora Carrington (1917-2011) è dedicata un’esposizione che, nelle sale del piano terreno della sede museale di piazza Duomo, dal 20 settembre 2025 all’11 gennaio 2026, consente al visitatore di esplorare un percorso biografico e artistico all’interno della produzione di una delle massime esponenti non solo del Surrealismo mondiale, ma anche dell’intera arte contemporanea. L’esposizione milanese è quasi un proseguimento della mostra, svoltasi nei mesi passati sempre a Palazzo Reale, dedicata a Leonor Fini, seguendo un percorso legato alla tematica surrealista e all’esaltazione della creatività femminile, e viene a costituirsi come un parallelo dell’altra grande retrospettiva in corso a Palazzo Reale, dedicata a uno dei geni della corrente surrealista, ovvero Man Ray. Promossa dal Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale, MondoMostre, Civita ed Electa, l’esposizione è curata da Carlos Martín e Tere Arcq e, attraverso un corpus di opere provenienti da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, costituisce un’occasione straordinaria per conoscere un’artista ancora poco nota al grande pubblico.

Luogo comune è identificare il Surrealismo con due figure: Salvador Dalí e Max Ernst. Il luogo comune viene sfatato scoprendo il sottobosco di artisti che lavorarono insieme a loro, tra cui molte donne, da Meret Oppenheim (grande musa di Man Ray) a Leonor Fini e a Leonora Carrington. Da Leonor a Leonora, si viaggia su due binari a volte paralleli e altre tangenti: entrambe frequentarono il gotha surrealista, da Breton a Éluard e da Magritte agli artisti topici come Dalí ed Ernst, ma con sfaccettature diverse. Leonora Carrington, contrariamente alla Fini, delusa dal machismo di molti esponenti della corrente, aderì al movimento surrealista, anche in virtù della sua relazione con Max Ernst, pur mantenendo un carattere artisticamente schivo ma caratterizzato da uno stile nuovo, rivoluzionario e dissacrante come prevedeva lo spirito dell’avanguardia, ma ancorato al passato e all’arte antica italiana ed europea.

Forse, verrebbe da dire che senza una mostra sul Surrealismo, a Londra, la Carrington non sarebbe nemmeno un’artista di rilievo. Nata nel 1917 in un villaggio del Lancashire, la giovane Leonora, sin da piccola, mostrando grande interesse per la mitologia, le fiabe irlandesi raccontate dalla madre e la lettura dei romanzi vittoriani, iniziò a mostrare precoci inclinazioni artistiche, che ben si adattarono al suo carattere ribelle e anticonformista. Espulsa da vari collegi cattolici, da adolescente, grazie alla ricca famiglia d’origine, poté compiere un viaggio in Italia che le aprì gli occhi, artisticamente parlando. E fu in Italia che la ragazza lavorò, a soli quindici anni, alla serie di acquerelli Sisters of the Moon, in cui mescolò l’influenza dei grandi maestri con un immaginario interiore che sarebbe stato il germe della sua successiva produzione surrealista: in questa serie, figure femminili potenti e autorevoli si fondono con ricordi della sua infanzia e con elementi mitologici ed esoterici. In Italia, la Carrington fu colpita dall’arte di Giotto e dalle creazioni fiorentine di Michelangelo, di Masaccio, di Botticelli e di altri grandi dell’epoca d’oro medicea, ma colui che le illuminò la strada, imprimendo in lei la volontà di diventare un’artista, fu Max Ernst. Il padre del Surrealismo fu, per lei, inizialmente, guida e fonte spirituale, un vero e proprio idolo al pari di quanto potrebbe essere una pop star per una ventenne di oggi. Leonora venne fulminata sulla via del Surrealismo a diciannove anni, nel 1936, a Londra, quando visitò la mostra del movimento nella capitale inglese, vedendo le opere dell’artista tedesco. Bella, determinata e tenace, la giovane Leonora riuscì a conoscere Max a una cena e i due iniziarono a frequentarsi, per poi stabilire una relazione clandestina. Scoperti dal padre di lei, i due cercarono rifugio in Francia, prima a Parigi, dove Leonora conobbe i grandi del Surrealismo, da Breton a Éluard, da Dalí a Magritte, e anche Man Ray, Leonor Fini e Meret Oppenheim, e poi nell’Ardèche, dove vissero in una villa concepita come “opera d’arte totale”, e qui Leonora eseguì le prime opere di impronta surrealista, segnate da un notevole legame con l’inconscio e con l’onirico, in linea con le teorie del movimento, ma anche indissolubilmente legate al suo vissuto personale.

L’idillio con Max Ernst finì nel 1940, quando lui venne arrestato in quanto tedesco in terra di Francia e, quindi, a torto, considerato nemico. Leonora iniziò a mostrare segni di spaesamento e, in seguito a ciò, fuggì in Spagna ma, a Madrid, un altro episodio terribile la segnò nel profondo, in quanto venne violentata da un gruppo di soldati franchisti. Travolta dallo shock, Leonora venne rinchiusa in un sanatorio a Santander, dove subì trattamenti durissimi. Dopo essersi ripresa, anche grazie al rapporto con un amico di vecchia data, lo scrittore messicano Renato Leduc, che sarebbe poi divenuto suo marito, fuggì a New York, dove ritrovò, in gran parte, quella comunità surrealista incontrata a Parigi e che fu, per lei, un farmaco per combattere, insieme alla sua arte, i traumi vissuti. In questo periodo, le opere di Leonora mescolarono lucidità e follia, oltre a essere caratterizzate da un profondo senso di spaesamento e di disillusione per l’esilio forzato e a esorcizzare, attraverso un ritorno alla fantasia letteraria e alla figura fiabesca, quei traumi legati alla perdita e alla violenza subita.

Nel 1942, insieme a Renato, Leonora si trasferì in Messico. Il Paese del Centro America, in virtù della sua cultura ancestrale maya e per il carattere rivoluzionario dei suoi artisti, da Frida Kahlo a Diego Rivera, fu, per l’artista inglese, l’inizio di una nuova vita. Dopo un anno si separò da Renato, ma, ben presto, iniziò una nuova relazione con il fotografo ungherese Emerico Weisz. Giovi sottolineare che gli uomini della sua vita, per Leonora, furono non solo fonte d’ispirazione, ma anche materia prima per lo sviluppo di tematiche evidenti nella sua produzione pittorica, sempre a cavallo tra inconscio e vissuto personale. Le sue opere, dalla metà degli anni ’40, cambiarono radicalmente: tornavano sempre i ricordi d’infanzia ma, da allora, la stabilità relazionale e la maternità segnarono una nuova fase artistica. Quanto allo stile, Leonora ritornò al suo viaggio in Italia condotto da adolescente, ispirandosi ai grandi del ’400 toscano, come provato dall’uso delle tempere e dei formati orizzontali, a predella, tanto cari a figure come Piero della Francesca, Filippino Lippi e Ghirlandaio ed evidente in opere come The Elements, del 1946. Notevole, però, fu anche l’influsso di un altro grande artista del Rinascimento europeo: Hieronymus Bosch. Il pittore fiammingo, per il carattere mostruosamente misterioso dei suoi dipinti, che reinterpretavano, in chiave fantastica e grottesca (con tratti comici) l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso immaginati da Dante nella Divina Commedia, fu particolarmente apprezzato dai Surrealisti, che ne approfondirono l’opera in chiave onirica. Così fece anche la Carrington, lavorando a un tema tipico di Bosch, ovvero le Tentazioni di sant’Antonio, nel 1945. L’influsso di Bosch è evidentissimo nella damigella sulla destra che suona la tromba oppure nella figura che rovescia un orcio, da cui sgorga un fiume, ma il sant’Antonio in primo piano, che giganteggia con il suo saio bianco, pare quasi un alter ego di Leonora, che resiste alle tentazioni dei ricordi bui del passato, preferendo concentrarsi sul presente.

Con gli anni ’50, Leonora approfondì un altro tema apprezzato in gioventù, quello dell’esoterismo e dell’alchimia, e anche in questo fu affine ad altre artiste surrealiste, come Leonor Fini, che si fece fotografare come una maga o come una strega. Il tramite fu la mitologia, interpretata come “viaggio dell’eroe”, in chiave psicanalitica, quindi ricerca ancestrale dentro il nostro io e nella nostra coscienza più recondita, al fine di risvegliarla. La via, invece, per l’artista, fu un mix di credenze e culti sia arcaici che contemporanei, che si configuravano come una via salvifica per uscire dalle tenebre. Sin da giovane aveva apprezzato figure come Buddha e Gesù, ma, in virtù di una rivalutazione degli aspetti mistici, recuperò personalità della mitologia e della filosofia greca, da Orfeo a Platone, ma anche il persiano Zarathustra, caratterizzate da un percorso di vita catartico e liberatorio e da cammini di vita concepiti come profondo, totale e radicale rispetto di ogni altra forma di vita. Lo stile scelto, in questa fase, fu quello simbolista. Basti guardare la rappresentazione di uno Zarathustra più simile a un fantasma che a un profeta oppure l’Arca di Noè tratteggiata, con il suo corteo di animali, con linee tenui, semplici tratti di bianco che definiscono, appunto, una forma di vita, mentre la grande barca assume forma antropomorfa in mezzo a bagliori di luce che ricordano le migliori prove di Redon o di Moreau. Anche l’occultismo esoterico fu particolarmente approfondito dall’artista britannica, ma in chiave giocosa. In quanto mistero, la Carrington nascose queste tematiche attraverso curiose e ironiche rappresentazioni, concepite per scherzare con l’osservatore che, di certi rituali, non è pratico.
mostra leonora carrington grandmother moorheads aromatic kitchen 1974

Leonora Carrington, Grandmother Moorhead’s Aromatic Kitchen, 1974, The Charles B. Goddard Center for Visual and Performing Arts - Ardmore, Oklahoma © Estate of Leonora Carrington, by SIAE 2025

Logica conclusione della mostra è una sezione dedicata all’interesse per l’alchimia, riassunto in un termine che la studiosa Susan Aberth definì “cucina alchemica”. Si tratta di un mix di elementi magici, simboli arcaici e misteriosi e metamorfosi spazio-temporali, tutte riunite intorno al luogo per antonomasia associato, per secoli (a volte ancora oggi, a sproposito e per pregiudizio), alla donna: la cucina. La donna, però, in questo spazio domestico, non è più cuoca o angelo del focolare, ma creatura libera, che si emancipa attraverso l’alchimia, la magia e la stregoneria e, grazie a questa, acquista potere. Ci troviamo di fronte alla chiusura di un cerchio, apertosi con le potenti donne della serie Sisters of the Moon che ora diventano riflessi della realtà, in nome di ideali nuovi. Un motto, ancora oggi popolare, legato alle recenti rivolte in Iran, è “Donna, Vita, Libertà”, ma anche lo slogan delle femministe italiane degli anni ’70, quel “Tremate, tremate, le streghe son tornate”, pare adattarsi a questa situazione. Quanto allo stile, Leonora scoprì la tecnica medievale della tempera a uovo, che le permise di ottenere colori scintillanti e grande luminosità. Il cerchio si chiude alla perfezione con un’opera iconica, capolavoro dell’artista, che è La cucina aromatica di nonna Moorhead, in cui, sullo sfondo di una cucina dalle pareti di un intensissimo rosso pompeiano, si stagliano figure più simili a spettri, che osservano una natura morta esposta sul tavolo, sotto l’occhio vigile di una gigantesca papera, la Nonna Moorhead del titolo. Anche in quest’opera, l’alchimia è mezzo di liberazione e di catarsi, e l’evidenza l’abbiamo, osservando attentamente l’opera, sulla destra, dove, al di là della porta aperta, si intravede uno spicchio di luna, probabile allusione alla dea mesopotamica Ishtar e, quindi, al potere femminile.

Leonora Carrington
Palazzo Reale, piazza Duomo 12, Milano
Orari: martedì – domenica 10.00 – 19.30; giovedì 10.00 – 22.30; lunedì chiuso
Biglietti: intero € 15,00; ridotto € 13,00
Info: www.leonoracarrington.it

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