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L’Arte resistente di Shirin Neshat in mostra a Milano

La massima esponente dell’Arte contemporanea iraniana è protagonista della grande mostra del PAC di Milano

Dal 28 marzo all'8 giugno 2025, nel padiglione di Via Palestro, è allestita la più grande retrospettiva dedicata a Shirin Neshat, fotografa ma anche regista di cortometraggi ed esponente della Video Arte. La mostra, curata da Diego Sileo e Beatrice Benedetti, promossa dal Comune di Milano e prodotta dal PAC stesso con Silvana Editoriale, è la più grande retrospettiva dell’artista iraniana mai realizzata, con oltre duecento tra fotografie e video. Obiettivo dell’esposizione è calare il visitatore all’interno di un’Arte che, attraverso le immagini, intende proporsi come forma di resistenza in un Mondo che sta rapidamente cambiando.

Shirin Neshat nasce a Qazvin, in Iran, nel 1957, ma, dal 1974, anno in cui si iscrive all’Università di Berkeley, in California, vive tra gli Stati Uniti e la Madrepatria. Nonostante ciò, l’artista non ha mai dimenticato le proprie radici in Terra persiana, tanto da compiere frequenti viaggi dall’altra parte dell’Oceano. La sua Arte visuale, sempre a cavallo tra Fotografia e Video, le ha fruttato premi come un Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999 e un Leone d’Argento per la miglior regia sempre a Venezia, al Film Festival del 2009. Il suo stile è indissolubilmente legato alla denuncia delle difficili condizioni di vita delle donne all’interno della Repubblica Islamica in Iran: i suoi lavori risentono di questo tema a partire dal 1990, quando, tornata in Patria, rimase colpita dalla legislazione imposta alle donne dagli ayatollah, con la quale esse potevano solamente lasciare scoperti mani e viso. Da quel momento, la sua scelta artistica è stata una forma di denuncia, ma anche di resistenza a condizioni considerate ingiuste e inique. La sua rappresentazione, però, non è mai stata polemica, bensì mirante a celebrare il ruolo femminile attraverso l’identità e la Storia del suo Paese, con frequenti riferimenti a testi e calligrafie del passato.

La mostra milanese è il giusto tributo a un’artista che ha lavorato sulle donne e per le donne, attraverso un uso del corpo con valenza estetica ma anche di denuncia. In questo solco si colloca il titolo della mostra, “Body of Evidence”, traducibile come “Corpo del Reato”. Il corpo del reato è simbolo, ma anche mezzo di resistenza e resilienza, a un Mondo sempre più ingiusto: prova di ciò è la scelta di Shirin di raffigurare non solo donne iraniane ma anche statunitensi, con un focus sulle immigrate ispaniche, in quanto vittime, sullo stesso livello, di ingiustizie e privazioni di diritti. Le donne ritratte dall’artista sono figure certamente impaurite ma sempre orgogliose della loro identità e della loro volontà di resistere all’ingiustizia, a riprova che il tema femminile narrato da Shirin è ormai qualcosa di universale, non più confinato all’Iran.

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Shirin Neshat Fervor, 2000 Stampa ai sali d’argento Copyright Shirin Neshat Courtesy l’artista e Gladstone Gallery

L’opera più significativa esposta in mostra è la serie chiamata Women of Allah. Si tratta di grandi fotografie in primo piano eseguite negli anni ‘90 su soggetti femminili vestiti con hijab nero su sfondo bianco, con l’obiettivo di far risaltare in particolar modo il volto. I volti stessi sono segnati da versi poetici in Farsi, l’antica calligrafia persiana, a ricordare il legame profondo con la Terra d’origine. Le donne raffigurate impugnano armi che hanno sia un significato di denuncia, relativo all’invito al martirio propugnato dagli ayatollah, ma anche uno metaforico che considera il corpo come arma di resistenza alle ingiustizie e alle privazioni a cui il regime teocratico sottopone costantemente le donne. L’altra grande serie fotografica è The book of Kings, del 2012, in cui viene utilizzata la stessa tecnica calligrafica sui volti dei soggetti raffigurati, sia con citazioni dal poeta Ferdowsi, dell’anno 1000, che con altre di scrittori contemporanei, a sottolineare il concetto di Eroismo legato all’opposizione al governo di Mahmoud Ahmadinejad. Degna di nota è anche Land of Dreams, del 2019, serie fotografica di circa centodieci ritratti che raffigura cittadini statunitensi, perlopiù selezionati tra le minoranze, a sottolineare il ruolo dell’artista come immigrata di origine mediorientale e anche il suo sentirsi parte del loro vissuto.

I video proposti in mostra partono dalla costante dicotomia Uomo – Donna per esplorare campi nuovi e scoprire altrettante scelte poetiche innovative, sempre a cavallo tra sogno e realtà, tra esilio americano e appartenenza iraniana. La scelta di ambientare i video sempre su due schermi è una palese allusione alla separazione tra i sessi evidente nella società iraniana ma anche al peso differente delle donne imposto dalle restrizioni degli ayatollah, ma anche ciò è un simbolo di resistenza all’ingiustizia. La questione è evidente in Turbulent, del 1998, in cui, sullo schermo sinistro, Shoja Azari recita un brano del mistico duecentesco Rumi accompagnato da una platea maschile che applaude, mentre, su quello destro, la voce gorgheggiante della cantante Sussan Deyhim si staglia solitaria su una sala vuota, palese allusione al differente ruolo delle donne nell’Iran contemporaneo. Talvolta, i video esplorano il vissuto della stessa Shirin: la prova migliore è Roja, del 2016, che altro non è se non una proiezione di un sogno dell’artista. Protagonista è la scrittrice Roja Heydarpour, alter ego di Shirin che, in un’atmosfera desertica che ricorda le opere di Dalì e di Man Ray, esce da un teatro ambientato in un curioso edificio razionalista con forme ellittiche simili a un’astronave per addentrarsi in una palude con sabbie mobili in cui ritrova una donna, allusione alla madrepatria iraniana vittima delle ingiustizie e dei soprusi degli ayatollah e dei pasdaran, che la spinge via, facendola cadere all’indietro. Dalla caduta, però, la giovane donna si rialza e si staglia verso il cielo, con un tono quasi catartico. Il video è un rimando alla condizione di esule di Shirin ma con un tocco estetico che rimanda al Surrealismo. Anche Fury, del 2023, rimanda alle condizioni degli immigrati lontani dai loro Paesi d’origine, narrando di un’immaginaria prigioniera politica che, sempre in chiave onirica, rivisita i traumi subiti fino a cercare una forma di ribellione di fronte alla diffidenza e alla xenofobia.

Shirin Neshat. Body of Evidence
PAC, Via Palestro 14, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10.00-19.30; giovedì 10.00-22.30
Biglietti: intero 8,00 €, ridotto 6,00 €
Info: www.pacmilano.it

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