L’essenza dell’Arte di Leonor Fini in mostra a Milano
Una delle grandi donne dell’Arte del ‘900 è la protagonista della grande mostra di primavera a Palazzo Reale di Milano.
Dal 26 febbraio al 22 giugno 2025, nelle sale del pian terreno del palazzo di Piazza Duomo, è allestita una delle più complete retrospettive dedicate a Leonor Fini (1907-96), tra le più significative artiste del Novecento internazionale. Curata da Tere Arcq e Carlos Martìn, la mostra, promossa dal Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale e MondoMostre, accoglie circa cento tra dipinti, disegni, fotografie e costumi prodotti dall’artista, a testimoniare la poliedricità della sua creazione.
Il titolo della mostra è Io sono Leonor Fini. Questo scaturisce da una sua celebre frase: “Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: IO SONO”. Un essere che procede sullo stesso binario della creazione artistica e che diventa un vero assunto: creo, dunque sono ed esisto. Senza tale premessa sarebbe difficile comprendere la vera essenza dell’Arte di Leonor ma anche il percorso di mostra, che si snoda in differenti sezioni tematiche e non biografiche. Tuttavia, senza un riferimento biografico, risulta altrettanto difficile capire il personaggio Leonor Fini.
Leonor nasce a Buenos Aires nel 1907 da padre di origine italiana e madre triestina ma, sin dai primi anni di vita, vive in maniera traumatica il burrascoso rapporto tra i genitori. Vive la giovinezza nella Trieste mitteleuropea di inizio secolo, tra circoli filosofici e artistici, e, qui, per due volte, il padre cerca di rapirla per riportarla in Argentina, ma la madre, per farla sfuggire a questo destino, la traveste da maschio. Tale episodio segnerà anche la sua produzione. Tra gli anni ‘20 e ‘30, si muove tra Milano e Parigi, dove conosce i Surrealisti e, tra una mostra e l’altra, stringe amicizia con alcuni di loro e dove diviene una vera icona artistica e mondana. Durante la Seconda Guerra Mondiale, lascia Parigi per soggiornare ad Arcachon, Trieste e Monte Carlo e, qui, conosce Stanislao Lepri, l’uomo con cui vivrà la più intensa relazione della sua vita e con cui si stabilisce, per un periodo, all’Isola del Giglio. Dopo la Guerra, Leonor torna a Parigi e, qui, vive una crisi personale legata a un aborto, da cui solo l’Arte riesce a risollevarla. Con gli anni ‘50, l’artista lavora anche per il teatro, con costumi destinati alla Scala di Milano, e al cinema, con altrettanti abiti per Federico Fellini. Gli ultimi trent’anni della sua carriera risultano segnati da opere sia fotografiche che pittoriche, oltre a quelle per lo spettacolo, legate a temi di sessualità, trasformazione e mistero. Leonor Fini muore a Parigi nel 1996, dopo quasi un secolo d’intensa produzione.
Leonor Fini è una delle più poliedriche ariste del Novecento non solo in quanto lavora tra Pittura, Fotografia e Scenografia, ma anche per il suo non identificarsi mai con una corrente. L’unica sua via per affermarsi è l’Essere un’artista in quanto creatrice, mossa da un costante senso di indipendenza e intraprendenza. Leonor è un’artista estremamente rivoluzionaria perché, per prima, affronta i temi della sessualità non convenzionale e fluida, in anni in cui ciò era ancora un tabù, e ciò la rende anche molto attuale. Questa attenzione nasce proprio dalla terribile esperienza infantile dei due tentativi di rapimento da parte del padre a Trieste, unita a un senso di decadentismo costante e all’analisi psicologica di sé, figlia della Cultura che si respira in città, con letterati del calibro di Italo Svevo. E questa Cultura, l’artista l’avrebbe portata con sé a Milano e a Parigi, durante tutta la sua vita. L’Arte, per Leonor, è un costante confronto con i grandi del passato unita a un messaggio rivoluzionario, aperto a nuove figure e a generi non convenzionali figli di quel cosmopolitismo che solo Trieste, all’epoca, incarnava, in quanto porto d’Europa.
La psicanalisi emerge nelle opere esposte nella prima sezione, legate a ricordi d’infanzia e reinterpretate come “scene primordiali”, che diventano, poi pilastri concettuali. Appare una costante nella produzione di Leonor, ovvero quella Sfinge, da lei ammirata tra le sculture del giardino di Miramare, che simboleggia l’ambiguità e l’ibridismo, ma anche una femminilità ancestrale. Anche il travestimento diviene metamorfosi identitaria, legata al ricordo del tentativo di rapimento, mentre il rapporto con il corpo maschile si configura come un rifiuto del ruolo produttivo imposto dalla società moderna agli uomini. Molto significativa è l’opera che ritrae due figure bendate: questa è legata al ricordo dell’infezione oculare, che la colpisce durante l’adolescenza e che la costringe a stare esattamente come le due figure ritratte, per due mesi. Tale opera è una metafora della vocazione artistica che lei sente in questo periodo, contro il volere della madre, ma anche della visione superiore che già anticipa il Surrealismo.
Il concetto di travestimento legato all’ambiguità sessuale si amplifica nelle opere degli anni ‘30, eseguite a Parigi. In questi anni, come anticipato, conosce i Surrealisti ma non si unisce mai al loro gruppo, in quanto, da lei, ritenuto misogino e omofobo e, preferendo, piuttosto, stringere amicizia con alcuni di loro, in particolare Max Ernst, e cercare convergenze su temi e stili, specie nell’influenza di Bosch e di De Chirico tanto evidenti in opere del periodo, come Il Confine del Mondo oppure Arma Bianca, provocatoria rappresentazione del potere sensuale della femminilità. In questo periodo, Leonor, grazie a Ernst, approfondisce tematiche legate alla magia e all’alchimia, ma stringe anche rapporti con le donne Surrealiste, da Meret Oppenheim a Leonora Carrington e a una giovane Frida Kahlo, in chiave di una ricerca sempre maggiore di indipendenza e intraprendenza personale e creativa.
La Seconda Guerra Mondiale, per Leonor, è un trauma, dal punto di vista umano e artistico, trasposto in opere che mescolano macabro e meraviglioso, ma che esplorano anche un nuovo rapporto tra corpo, morte e bellezza. Il Confine del Mondo è tutto questo: un autoritratto a mezzo busto che identifica l’artista come unica sopravvissuta di un Mondo che, come l’Araba Fenice, un giorno, risorgerà da queste rovine. La donna emerge da una palude simile allo Stige in un paesaggio cupo, figlio della lezione di Bosch, insieme a teschi animali simboli, come nel Seicento europeo, della caducità della vita terrena. Al Seicento, in particolare ad Arcimboldo, Leonor guarda anche per la creazione di opere che raffigurano tronchi, rami e alberi che si trasformano in chiave antropomorfa ma anche con una deformazione figlia del contatto con Surrealisti come Dalì e Magritte. Tale trauma per la Guerra si traduce con Chi è?, opera in cui una figura sola e disperata in uno spazio indeterminato pare porsi domande esistenziali di fronte a presenze spettrali.
L’Arte di Leonor Fini è rivoluzionaria per aver esplorato, per prima, nuovi modelli di famiglia e di sessualità, alternativi alla tradizione e legati al suo vissuto profondamente anticonformista, libero e trasgressivo. Basti pensare alla relazione intrattenuta, in contemporanea, con Stanislao Lepri e con Konstanty Jelenski, con cui suscita scalpore anche tra i Surrealisti, perfettamente esemplificata in Autoritatto con Kot e Sergio. In Alcova, il letto si identifica come un simbolo di quel potere femminile che, partendo dalla Sfinge, diviene concreto nella realizzazione fisica e sessuale della donna. L’esaltazione della fluidità, evidente in Narciso impareggiabile, ma anche nel bellissimo Uomo con civetta, rende Leonor profondamente moderna e attuale, innovativa nel suo essere rivoluzionaria, oltre le avanguardie e i loro canoni. Il corpo maschile non è più un semplice modello, bensì una figura vista da una donna con uno sguardo desiderante e impulsivo e che allude alle teorie psicanalitiche di Jung e di Freud da lei conosciute durante la giovinezza triestina. Nonostante ciò, i modelli restano quelli del passato, specie del Rinascimento e del Manierismo.
Il cosmo artistico rappresentato da Leonor è un regno matriarcale, in cui le donne sono figure potenti, allo stesso tempo dee, guerriere, creatrici e visionarie. In ciò si inserisce il rapporto con la magia e l’alchimia trasmessole da Max Ernst, ma anche con la stregoneria. Non a caso, nelle opere di Leonor, appaiono spesso streghe e sirene, oltre che le sfingi, che divengono alter ego dell’artista. Simbolica di questa tendenza è Stryges Amauri, opera in cui un autoritratto dell’artista veglia su una figura maschile dormiente in una radura, accanto a una misteriosa figura che mostra un uovo, simbolo di fecondità ma anche di potere femminile. Tutto ciò è una sfida al patriarcato (temine attuale che, a mio giudizio, risulta applicabile anche alla provocazione di un’artista del Novecento) dominante nella società e nel Mondo artistico. Un altro simbolo di tale reazione sono i corsetti ritratti dall’artista che divengono armature medievali con cui le donne fortificano il loro potere ed esplicano la volontà di cambiare il Mondo, anticipando, di 20-30 anni, le lotte femministe. Anche l’ammirazione per figure mitologiche come Ecate e Persefone testimonia questo voler evidenziare il potere femminile nella sua forma più selvaggia e primigenia, ma anche anticipatrice di un cambiamento che, prima o poi, sarebbe arrivato.
Leonor Fini, Autoportrait au chapeau rouge, 1968 Oil on canvas 84 x 61 cm, Archivio fotografico del Museo Revoltella - Galleria d'Arte Moderna, Trieste © Leonor Fini Estate, Paris
La mostra si conclude con una sezione dedicata ai lavori di Leonor Fini per il Teatro e per il Cinema, tra cui spiccano i costumi da lei realizzati per il Teatro alla Scala, ma anche i bellissimi bozzetti per gli abiti di 8 e ½ di Federico Fellini, e con una piccola retrospettiva fotografica raffigurante l’artista in differenti (e anche curiosi) episodi della sua vita, culminante nell’opera che chiude perfettamente il cerchio, ovvero quell’Autoritratto con cappello rosso con cui l’artista pare salutare lo spettatore con il suo sguardo intenso e i suoi occhi grossi, quasi come quelli delle sue amate sfingi, che testimonia, come un ciclico ritorno all’inizio, la sua volontà di affermare “Creo, quindi Sono”. Quindi, ora come non mai, Io sono Leonor Fini.
Io sono Leonor Fini
📍 Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
🕒 Orari: lunedì chiuso; martedì-mercoledì-venerdì-sabato-domenica 10.00-19.30; giovedì 10.00-22.30
🎟️ Biglietti: intero €15, ridotto €13
🔗 Info: www.palazzorealemilano.it