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La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza: fugge dalla campagna per un tutù rosa

  • Mariella Bussolati

La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza è un dramma ma anche una parodia: quella di chi è costretto a vivere in scatole chiuse mentre si comporta come se fosse libero.
Il destino di Ciccio, una figura imponente di contadino che per trasformarsi da larva in farfalla indossa un esuberante e femminilissimo tutù rosa, è purtroppo segnato. Ma la finzione teatrale diventa una scusa per ricordare che la sua storia assomiglia a quella di tutti coloro che sfuggono ai classici schemi: da chi fa scelte diverse rispetto al proprio genere sessuale, a chi – nato in una famiglia di ingegneri – decide di diventare artista.

Ciccio ha un problema, anzi due. Il primo è il suo corpo fuori misura. Il secondo è la sua famiglia, o meglio ciò che ne resta dopo la morte della madre.
E la sua via di fuga ha un che di glorioso e provocante: danza, sognando di poter diventare un ballerino e, in questo modo, seppur solo per un attimo, si libera da ogni schema.

Già all'inizio è possibile intuire la dimensione in cui vive: sulla scena ci sono il fratello maggiore (Federico Bizzarri) e il padre (Alberto Gandolfo), che si sfidano a una morra che, più che un gioco, sembra uno scontro violento. Il padre incarna l’archetipo del contadino patriarcale tiranno, il fratello la tipica mente poco acuta.

Nelle loro teste c’è solo l’avara campagna, che – grazie a un duro lavoro – permette di sopravvivere. Il che, nella loro grettezza, è anche l’unica cosa importante nella vita.
Il teatro però ribalta ogni situazione, e le poche cose presenti sulla scena – un tavolo e delle cassette – si trasformano in recinto, tino, cuscini e fornelli.

Ciccio (Damiano Spitaleri) incarna una netta contrapposizione alla logica dei suoi parenti: quella di chi sfugge da quella brutalità scegliendo il mondo dell’espressività e della leggerezza, nonostante la sua massa. E i suoi movimenti sulla scena rendono reale quello che potrebbe essere solo uno scontro tra mentalità.

Damiano Spitalieri in tutùPer sottolineare la durezza della situazione, gli attori parlano un gramelot, un impasto di dialetti e spagnolo che diventa colonna sonora più che messaggio.
L’opera di Les Moustaches (testo originale di Alberto Fumagalli, regia di Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli) si basa su una ricerca linguistica che porta i corpi a parlare, permettendo così il superamento della comprensibilità verbale.

La giovane compagnia bergamasca – che ha già vinto diversi premi – partecipa alla rassegna Nuove Storie 2025 del Teatro dell’Elfo anche con un altro spettacolo, I cuori battono nelle uova (dal 16 al 18 maggio), che racconta la complessità della gravidanza.

La commedia ha in realtà un fine preciso: ricordarci che noi siamo i nostri sogni, ed è dunque giusto che li viviamo.

E questo vale per Ciccio, che danza ma poi viene ricatturato dalla trama a cui appartiene, fatta di cassette, vanghe e montagne di letame da spalare.
Ma vale per ciascuno di noi.
E nonostante ci sia una certa crudezza che avvolge il palcoscenico e non lo lascia mai – sebbene la trama della pièce possa suggerire poesia – il sogno di Ciccio non morirà mai, neppure nel finale.


Teatro Elfo Puccini
Corso Buenos Aires 33, Milano
Dal 13 al 15 maggio

Prezzi per lo spettacolo:

  • Intero: €34

  • <25 anni: €15

  • 65 anni: €20

  • Online da: €16,50

Biglietteria:
Tel. 02.0066.0606
Email: biglietteria@elfo.org

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