Utoya: il terrorismo norvegese in scena al Filodrammatici
Una sala gremita, una lista d’attesa e diverse personalità del mondo dello spettacolo, accolgono la prima di Utoya, in scena fino al 14 gennaio al Teatro Filodrammatici.
Ad accogliere il pubblico, invece, la suggestiva e minimale scenografia di Maria Spazzi (Premio Hystrio Altre Muse 2017): tronchi d’albero recisi, fumo e polvere, una sorta di memoriale-cimitero, per ricordare i ragazzi morti. Co-produzione ATIR Teatro Ringhiera e Teatro Metastasio di Prato, patrocinata dalla Reale Ambasciata di Norvegia in Italia, firmata da Serena Sinigaglia con Arianna Scommegna e Mattia Fabris, la drammaturgia viene realizzata da Edoardo Erba, già collaboratore di diversi successi ATIR, con la consulenza di Luca Mariani, autore del saggio Il silenzio degli innocenti.
Come da titolo, lo spettacolo è ispirato ai fatti che hanno colpito la Norvegia il 22 luglio 2011, quando un uomo vestito da poliziotto ha prima fatto esplodere una bomba al Palazzo del Governo di Oslo e poi si è recato sull'Isola di Utoya dove ha iniziato a sparare su dei ragazzi in campeggio. Anzi, non un uomo: un Norvegese. E non dei ragazzi qualsiasi, ma dei socialdemocratici. La vicenda si dipana attraverso tre storie, con sei inaspettati protagonisti che davanti alla Storia non possono fare altro che mettere in secondo piano i loro problemi quotidiani, che per un attimo si sgonfiano per poi esplodere più intensi di prima insieme ai colpi del fucile di Anders Behring Breivik.
Troviamo marito e moglie, prima intenti a discutere dell’acquisto o meno di un gatto tra una frecciatina e una frase pungente, poi a parlare di divorzio, idealismo, fede, omicidio della loro unica figlia, mandata al campeggio socialista su Utoya solo per volere del padre.
Troviamo il capo della polizia e un’agente: la discussione iniziale è legata al fatto che lui non le concede mezza giornata di permesso per potare i figli dalla nonna, poi legata al fatto che non sono intervenuti, pur sentendo gli spari e vedendo i ragazzi tentare di scappare a nuoto dai proiettili.
Troviamo fratello e sorella, lei malata, lui con un ritardo mentale, convinto che il loro vicino sia un troll. Ma i genitori hanno insegnato loro “buonasera, buongiorno, finito” e che quindi non ci si impiccia negli affari degli altri, che quindi non si indaga sul furgone di fattura italiana parcheggiato nella fattoria davanti alla loro, che quindi non ci si chiede cosa farà mai il loro vicino con tutto quel fertilizzante, perché non penseresti mai al fatto che stia costruendo una bomba.
Così come nessuno ha pensato che quell’esplosione potesse essere accaduta davvero in Norvegia: “Ci sono stata a Oslo, quella non è Oslo, è Baghdad”.
Così come nessuno ha pensato che l’attentatore potesse essere “uno scandinavo, uno di noi”. Si è pensato subito alla matrice islamica, e il pensiero di alcuni personaggi diventa specchio del pensiero di un Paese che in quel momento di incredulità ha pensato immediatamente “hanno fatto entrare troppi stranieri”.
Spettacoli come questo trovano sempre profondi agganci con la contemporaneità e sono sempre motivo di arricchimento. Sia per coloro che la vicenda l’avevano già sviscerata sei anni fa, sia per coloro i quali si erano fermati all’orrore del gesto, volendo pensare solamente che era stata opera di un pazzo, priva di qualsiasi matrice politica o razionale. Lo spunto di riflessione sta proprio qui: “la fede è una malattia”, che sia il socialismo, Allah o i nazisti, e “tutte le fedi sono inutili. L’uomo deve solo essere consapevole del fatto che dovrà morire”.
Le evocative musiche e luci di Roberto Innocenti, accompagnano il dipanarsi della vicenda, che tiene con il fiato sospeso e commuove, senza nessun uso di effetti facili o sensazionalistici e senza mai cadere nel patetico.
L’ATIR non sbaglia un colpo e i loro spettacoli sono ormai una garanzia. Risulta quindi quasi superfluo e ridondante evidenziare la maestria di Serena Sinigaglia che firma una regia pulita con momenti emozionali davvero alti, guidando gli strepitosi attori attraverso tre ruoli che mettono in luce tutto il loro istrionismo, la loro precisione e il loro affiatamento in una sincronia di movimenti impeccabile. Quasi, però. Perché in un mondo dove si è persa l’abitudine al bello, gli atti di bellezza devono essere esaltati e Utoya è uno di questi.
In scena fino a domenica 14 gennaio.
Teatro Filodrammatici
Via Filodrammatici, 1
Dal 9 al 14 gennaio
Orari: martedì, giovedì e sabato ore 21.00, mercoledì e venerdì ore 19.30, domenica ore 16.00 e 19.00
Prezzi: intero 22 euro, ridotto convenzionati 18 euro, ridotto under30 16 euro, ridotto over65 e under18 11 euro