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25 aprile: la non liberazione

  • Stefano Todisco

Milano, 25 aprile 1945, ore 8:00: il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia proclama via radio l’insurrezione contro l’occupazione nazista della nazione chiamando all’appello armato tutti i membri del Corpo dei Volontari per la Libertà. Obiettivi della resistenza sono tutti i presidi tedeschi e repubblichini.

Sandro Pertini, uno dei partigiani, in radio proclama l’ultimatum ai nemici: o resa o morte, sulla falsariga degli episodi di rivolta di Genova e Torino, dei giorni precedenti.

Per Venezia bisognerà attendere il 28 aprile (il 29 aprile per la resa di Caserta) controversa data della morte di Benito Mussolini.

Sta di fatto che dal 25 aprile in poi cambiò l’assetto politico dell’Italia, uscita dal regime fascista, in procinto di accogliere la nascente Repubblica (2 giugno 1946) e la successiva Costituzione (27 dicembre 1947).

Indipendentemente dall’opinione politica di chiunque, il periodo della primavera del 1945 ha significato la liberazione da qualcosa e da qualcuno: chi pensa da Hitler e dal Nazismo, chi da Mussolini e dal Fascismo, chi dalla guerra e dalle sue atrocità, chi dalla persecuzione degli ebrei.

Quella in cui oggi viviamo è una nazione, una repubblica definita democratica ma non percepita così da una parte dei suoi cittadini: uno stato schiavo dell’euroburocrazia, un paese stupendo stritolato dal debito pubblico, dai flussi di immigrazione clandestina incontrollata, dalla svendita del proprio patrimonio demaniale e culturale, dalla paura del terrorismo da una parte e della pressione della politica americana dall’altra, una nazione succube del capitalismo che impone di lavorare anche il 25 aprile ed il primo di maggio.

Ma, allora, se ci siamo liberati in passato da vecchie tirannidi e da incubi ideologici, oggi siamo altrettanto liberi se dobbiamo subire i dettami di un’Unione Europea non molto unita e di un falso stacanovismo che privilegia i centri commerciali, i templi del commercio, l’Expo (che si inaugura proprio nel giorno della Festa dei Lavoratori), se poi si perdono i capisaldi del concetto di festa, una festa che dovrebbe esserlo anche per i dipendenti obbligati a lavorare nonostante sia considerato “giorno festivo”? Dunque il 25 aprile, Festa della Liberazione, è una festa anacronistica se si ricorda la liberazione da un’occupazione quando in realtà oggi viviamo in uno stato non occupato militarmente ma economicamente e politicamente da cerchie di potere mafiose e losche.

Per quanto sia filo-democratico il nostro occidente resta sempre un servo del potere del dio denaro e dei meccanismi che imbavagliano i poteri decisionali di una nazione libera in scacco ai meccanismi economici complessi.

Fa riflettere (anche a posteriori) un concetto di Benito Mussolini, tratto da “La dottrina del Fascismo”, che dice: “Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno. Il fascismo respinge nella democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo politico e l'abito della irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefinito. Ma, se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello stato, il fascismo poté da chi scrive essere definito una 'democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria”.

Il pericoloso potere dei banchieri, delle logge segrete e delle lobby economiche era già stato ben intuito da Mussolini quasi un secolo fa. Nonostante la dilagante ondata democratica che colpisce anche le nazioni arabe nel fiorire delle loro “primavere”, ci dobbiamo preparare a difenderci dal boomerang del buonismo democratico che affievolisce il concetto di patria, di identità, di diversità, di società e di famiglia a favore di un cosmopolitismo e di un multiculturalismo che porterà solo maggior razzismo e maggiori scontri sociali.

Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza, a noi le conseguenze della bufera in corso.

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