Aborti, in Lombardia calano le interruzioni di gravidanza: 7 ginecologi su 10 obiettori di coscienza
In un’indagine relativa all'attuazione della legge 194, i cui dati sono stati presentati dal PD lombardo, emerge che così come nelle altre regioni italiane anche in Lombardia diminuiscono le interruzioni volontarie di gravidanza.
Ben 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza ed in alcuni ospedali (Calcinate, Iseo, Gavardo, Oglio Po, Melzo, Broni-Stradella e Gallarate) lo è addirittura la totalità del personale.
Secondo quanto emerge dai dati, nel 2014 sarebbero state effettuate 15.912 ivg, circa 43 al giorno con una diminuzione del 5,2% rispetto all'anno precedente.
Ma l’elemento più importante rivelato dall’indagine è che, a 6 anni dalla sua introduzione, l’aborto farmacologico con la Ru486 il cui utilizzo è stato autorizzato dall’Aifa nel 2009, è fermo al solo 4,5% del totale.
La Regione Lombardia sarebbe ben lontana dai risultati raggiunti altrove, in primis in Liguria che si attesta al dato record del 30%, seguita dalla Valle d’Aosta (27%), dal Piemonte (23,3%), dall’Emilia Romagna (21,8%) e dalla Toscana (11,7%).
Oltretutto per la mancanza di personale, le strutture ospedaliere sono costrette a ricorrere ad un personale esterno, i cosiddetti gettonisti convocati ad hoc per questo genere di interventi.
Spesso accade che in alcune strutture l’aborto farmacologico non venga neppure proposto come metodo alternativo a quello chirurgico.
Secondo gli addetti ai lavori, consultati appositamente per l’indagine in questione, i fattori che impediscono ad oggi di ricorrere all’aborto farmacologico riguardano prevalentemente l’applicazione ferrea dei 3 giorni di ricovero in caso di utilizzo della Ru486, a differenza dell’ivg chirurgica che richiede invece il solo day hospital.
Ma buona parte delle motivazioni è racchiusa anche nell'obiettivo particolarmente diffuso in Lombardia di rendere ancora oggi difficoltoso l’accesso all'interruzione di gravidanza.
Spesso però incidono anche motivazioni di carattere burocratico di non poco conto: dall'indagine emerge infatti che nella regione Lombardia i tempi di attesa tra la certificazione e la data dell’intervento risultano essere particolarmente lunghi, incorrendo frequentemente nella scadenza della finestra temporale dei 49 giorni entro cui è possibile utilizzare il metodo farmacologico.
Da qui la denuncia di Sara Valmaggi, vice presidente del Consiglio Regionale del Pd che ha lanciato un appello alla Regione ad impegnarsi affinché “le strutture propongano l'Ivg farmacologica a tutte le donne che sono nei tempi previsti, e di imporre l'obiettivo di incrementarne l'utilizzo, almeno parificando la degenza e il regime all'Ivg chirurgica, così da portare la Lombardia al livello delle altre regioni”.