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Animali come surrogati umani? Una riflessione sul rispetto e sull’eccesso d’affetto

Posso già immaginare che questo mio articolo potrà provocare in qualcuno un certo prurito, ma assicuro che l’unico scopo è solo quello di portare a una riflessione, in quanto ho l’impressione che si sia oltrepassato il comportamento da tenere nei confronti degli animali.
Personalmente non ho mai fatto del male a nessun animale; mi sono anche rifiutato di uccidere un coniglio o tirare il collo a una gallina per poterli mettere in padella.
Ma sono convinto che ogni animale debba vivere la sua libertà ed esistenza senza alterazioni o imposizioni di comportamenti e abitudini che non gli sono naturali, perché fare questo significa imporgli egoisticamente un nostro piacere.

Credo che bisogna vivere il legame con l’animale con rispetto e senso della misura, mantenendo un rapporto naturale, equilibrato, di buon senso, senza confondere affetto e umanizzazione.
Tra essere umano e animale vi sono differenze sostanziali, e queste non vanno né confuse, né miscelate, né alterate.umanizzazione animali mf ia

Alcuni fenomeni a cui oggi assistiamo non possono non porci alcune domande legittime.
È evidente una crescente tendenza a trattare gli animali come surrogati umani, al punto che talvolta il rapporto con loro pare sostituirsi a quello con altri esseri umani.
Questo attaccamento eccessivo, ripreso anche da Papa Francesco in un suo intervento, porta a una scarsa attenzione verso le persone più fragili e bisognose.

Proviamo a pensare a coloro che lasciano un’eredità al proprio cane, gatto o pappagallo!
Premesso che ognuno dei propri averi è libero di farne ciò che vuole, personalmente faccio fatica ad accettare un simile comportamento, quando penso a bambini malati in attesa di cure costose, o a situazioni penose e difficili.
Questi valgono meno di un animale?

Rispettare gli animali non vuol dire necessariamente umanizzarli. Certo, voler bene a un animale vuol dire averne cura, preoccuparsi della sua salute, ma non è paragonabile all’impegno di accompagnare un essere umano nella sua sofferenza o nei suoi bisogni e fragilità.
Occuparsi di una persona sola, anziana, magari disabile, richiede impegno, fatica, tempo e un coinvolgimento emotivo profondo, mentre occuparsi di un animale è molto più semplice e meno impegnativo.

Ho appreso da una statistica, elaborata da una iniziativa promossa da un gruppo commerciale, che erano stati messi a disposizione circa 400.000 euro da destinarsi ad associazioni, soprattutto nell’ambito del volontariato.
I risultati sono stati abbastanza sorprendenti: la maggior parte dei finanziamenti sono andati ad associazioni per il benessere degli animali, molto meno a quelle che operano nel sociale e nel volontariato per il benessere delle persone.
Qui una domanda non può non trovare spazio, e possibilmente una risposta: perché?
Lascio a ogni lettore la riflessione.

È evidente che il legame affettivo con gli animali è fortissimo e mette in moto energie importanti, ma non si rischia, forse, di lasciare nel bisogno e nella sofferenza proprio i nostri simili?

Ho assistito a persone che, di fronte a dei cuccioli, manifestavano una sincera tenerezza e senso di protezione — un’ottima cosa — ma purtroppo la stessa tenerezza e protezione non erano così manifeste né sentite di fronte a “cuccioli umani”.
Anche in questo caso c’è da domandarsi: perché?

Ci si commuove, e giustamente, di fronte ad animali abbandonati lungo l’autostrada, ma non sempre si prova lo stesso sentimento per bambini abbandonati, vittime innocenti di abusi, o ragazzine sfruttate, o bambini costretti a lavorare in miniere o in contesti inadeguati.
Magari ci si limita a dire: “poverini!”

Credo ci sia qualcosa che non va. La “bilancia” si sta sbilanciando troppo.
Ribadisco: il rispetto per gli animali è sacrosanto — lo ricorda anche San Francesco nel suo Cantico delle Creature — ma rispetto non significa umanizzazione.
Pensiamoci, ma seriamente.

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  • Ultimo aggiornamento il .