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Anno scolastico 2020/2021: Intervista al Presidente Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici Paolino Marotta

Dott. Paolino MarottaUn anno scolastico sta per concludersi, un anno analogo al precedente, con eccezione in alcune regioni, in base alle ordinanze regionali ci sono stati ampi ed alternati spiragli di riaperture, in altre regioni gli istituti sono rimasti completamente chiusi.

Una didattica alternativa, lontana dai canoni classici, alternando la presenza a scuola distanziati tra i banchi con mascherina e misure di sicurezza, con la didattica a distanza (DAD) con insegnanti e alunni incollati agli schermi dei PC.   

Pochi giorni alla chiusura dei cancelli della scuola, alcuni studenti termineranno tranquillamente l’anno, altri dovranno prepararsi per gli esami di Stato che anche quest’anno prevedono una sola prova orale.  

Abbiamo voluto chiedere al Prof. Paolino Marotta, Presidente dell’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici, cosa pensa di tutto questo e quali sono i suoi auspici per il futuro.  

Presidente Marotta, un anno diverso anche questo, la pandemia ha colpito soprattutto la scuola, molte scuole sono rimaste chiuse, altre hanno subito riaperture e chiusure, secondo l’andamento pandemico e le varie ordinanze regionali.  

Cosa pensa di tutto quello che è successo? 

Nei  mesi di emergenza sanitaria le istituzioni scolastiche italiane si son viste costrette ad attivare, per periodi più o meno lunghi, la didattica a distanza. Si è trattata di un’esperienza di apprendimento/insegnamento del tutto inedita per la scuola italiana, certamente con un alto grado di difficoltà iniziale sia per i docenti che per gli alunni perché mediata esclusivamente dall’utilizzo del mezzo tecnologico.  

Questa modalità di formazione da remoto si è rilevata soprattutto nella primavera 2020 impacciata e per lo più poco efficace a causa delle non sempre adeguate competenze digitali dei docenti, del digital divide, delle difficoltà di organizzazione delle famiglie.

In ogni caso, nei periodi di sospensione forzata delle attività scolastiche, la DAD ha avuto il merito di mantenere in piedi il rapporto alunni-insegnanti, come pure di garantire ai ragazzi la stabilità dei legami sociali e il senso di appartenenza alla classe e alla scuola.  

L’anno scorso siamo stati colti impreparati da un evento imprevedibile, quest’anno si è cercato di non chiudere adottando tutte le possibili precauzioni per evitare lunghi periodi di chiusura. 

La didattica a distanza ha incontrato tante difficoltà, spesso anche per la situazione economica delle famiglie. Secondo lei, che cosa non ha funzionato? 

Intanto mi piace ribadire, come ha affermato il Ministro Bianchi, che la scuola non ha mai chiuso, l’istruzione è stata sempre erogata se pur con modalità miste (in presenza/a distanza) a seconda dell’andamento epidemiologico.

In molte regioni le attività in presenza sono state sospese a singhiozzo se pur per poche settimane, in altre regioni invece i periodi di DAD sono stati eccessivamente lunghi a causa delle restrizioni prudenziali imposte dai Governatori.

Volendo fare un bilancio di fine anno, credo che si debba prendere atto che la modalità della didattica a distanza abbia sortito risultati differenti nel Paese, anche per cause connesse ai divari socio-economici e culturali esistenti tra i territori e all’interno degli stessi territori.

Alcune indagini condotte da istituti specializzati hanno messo in luce l’insorgere negli studenti di problemi di dispersione e di demotivazione allo studio derivanti dalla mancanza in famiglia di dispositivi digitali e di connettività, dalla presenza di più ragazzi in età scolare all’interno dello stesso nucleo familiare, dalle scarse competenze dei genitori nell’uso degli strumenti, dalla sussistenza di disabilità o di bisogni educativi speciali. Riguardo a quest’ultimo tema, un’indagine dell’IPSOS sostiene che il 23% degli alunni con disabilità (circa 70.000) non ha preso parte alla DAD (la percentuale al Sud sale al 29%).

In conclusione, anche sulla base di studi pubblicati da psichiatri, psicologi e psicoterapeuti, credo che nonostante l’encomiabile comportamento della maggior parte dei docenti e degli alunni la DAD abbia provocato a molti studenti ansia e depressione, perdita di motivazioni, sofferenza mentale e stress dovuti non tanto al ritmo incalzante delle video lezioni, quanto piuttosto al venir meno dello spazio psicologico della classe fatto di sentimenti, relazioni, socialità.

Tanti giovani preparati e qualificati in una situazione di precariato, cosa pensa quando si parla di assumere nuovi docenti, quanto ha pesato tutto questo e come bisognerà agire?  

Il problema dei docenti precari esiste da diversi decenni, nessun Governo ci ha messo rimedio a causa degli enormi costi che comporterebbe la copertura degli organici.

Da alcuni anni viaggiamo con oltre 200.000 contratti a tempo determinato, che coprono sia i posti vacanti in organico che i posti che si rendono liberi per assenza temporanea dei titolari.

Credo che tale situazione proseguirà anche per il prossimo anno, forse con numeri diversi, considerata l’intenzione dichiarata dal Governo di procedere all’assunzione di alcune decine di migliaia di docenti nei prossimi mesi.

Il problema di cui si discute in questi giorni riguarda le modalità di reclutamento. E’ noto che in Parlamento si fronteggiano due posizioni molto nette ma antitetiche, quella della stabilizzazione dei precari con tre anni di servizio e quella dell’assunzione per concorso.

Il rischio è che si arrivi alla fine dell’estate senza che si riesca ad assumere i contingenti che le risorse disponibili nel Bilancio 2021 consentirebbero di assumere.

In futuro, anche grazie ai finanziamenti disponibili nel PNRR, bisognerà affrontare seriamente la questione della piena copertura degli organici, finanziando adeguatamente l’operazione e mettendo in piedi la macchina organizzativa che dovrebbe consentire il reclutamento di numeri così alti di insegnanti in tempi certi.

Strutture scolastiche spesso vecchie prive di certificazioni. Secondo lei è stato fatto qualcosa, c’è qualcosa ancora da fare?  

Quella dell’edilizia scolastica è un’altra emergenza che si trascina da decenni.

Partiamo da un dato: le 8.300 istituzioni scolastiche utilizzano attualmente circa 44.000 edifici, buona parte dei quali versa in condizioni pessime e comunque non rispondenti alle nuove esigenze della didattica.

Il dato più allarmante è che più della metà degli edifici scolastici non ha il certificato antincendio né quello di agibilità e che un terzo di essi avrebbe bisogno di interventi urgenti di adeguamento antisismico.  

Qualche anno fa il Governo Renzi licenziò un consistente finanziamento che avrebbe dovuto affrontare sia il tema della costruzione di nuovi edifici che quello della ristrutturazione e dell’adeguamento antisismico del patrimonio esistente. Sta di fatto che un terzo dei fondi stanziati ad oggi risulta non utilizzato dai Comuni e dalle Province che hanno beneficiato dei finanziamenti.

Il problema non sta quindi solo nelle risorse finanziarie occorrenti (per le quali nemmeno il Recovery Plan investe tutte le risorse che occorrono) ma soprattutto nella capacità di progettazione e di realizzazione delle opere da parte degli Enti Locali.

Speriamo che le nuove norme sulle semplificazioni (a cui il Governo sta lavorando) possano essere varate dal Parlamento al più presto in modo da consentire agli Enti proprietari di velocizzare gli appalti e i lavori di costruzione/ristrutturazione degli edifici.

Si parla di ripartenza, la scuola è importantissima per la crescita e lo sviluppo di ogni ragazzo, cosa significherebbe ripartire per la scuola italiana?  

Il tema della “ripartenza” è davvero cruciale, ancor più oggi che occorre riparare i danni economici e sociali prodotti dalla pandemia.

L’istruzione e l’educazione dei giovani possono contribuire a ridisegnare il futuro del Paese se saremo capaci di ripensare il ruolo della scuola in rapporto alle istanze che si vanno affermando in Europa e nel mondo.

La prima sfida che dobbiamo saper cogliere sta nella capacità di orientare le nuove generazioni verso la riconversione ecologica, la sostenibilità ambientale e gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU, come pure verso i valori della Costituzione e di un nuovo umanesimo.

La scuola dovrà tornare ad essere fattore di progresso e di avanzamento sociale e lo potrà fare, come sostiene in questi giorni il Prof. Sabino Cassese, investendo di più sul merito: da una parte gli studenti dovrebbero scoprire i valori dell’impegno personale, del conseguimento degli obbiettivi, dell’importanza della misurazione dei risultati; dall’altra gli insegnanti dovrebbero condividere le finalità della formazione permanente e della valutazione delle prestazioni. Il decisore politico dovrebbe procedere alla piena realizzazione dell’autonomia scolastica ma anche sanare il debito di riconoscenza che il Paese ha verso i docenti, introducendo progressioni retributive nella carriera docente.

Un grande Gap tra il Nord e il Sud, non solo dal punto di vista economico, lo stesso dal punto di vista scolastico, ribadito spesso da lei su tanti quotidiani, come bisogna agire? 

La pandemia ha portato alla luce le disuguaglianze e i divari esistenti nel nostro Paese.

La più odiosa delle disuguaglianze di cui abbiamo preso coscienza quest’anno è la povertà educativa, che priva bambini e adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, scoprire le proprie capacità, sviluppare competenze, coltivare aspirazioni.

E’ noto che i ragazzi che provengono da famiglie deprivate tendono a conseguire livelli di apprendimento più bassi della media, come emerge dalle rilevazioni nazionali dell’INVALSI.

Gli studiosi ci dicono che ai mancati apprendimenti consegue il fenomeno della dispersione scolastica, i cui tassi variano in modo considerevole, dal 9% nel nord-est al 17 % nel sud.

Secondo l’Osservatorio sulla povertà educativa con i bambini in Italia i minori in povertà assoluta e relativa sono 3 milioni e 600 mila. Non si tratta solo di dispersione o di abbandono scolastico, ma anche di povertà di competenze e di “dispersione di futuro” per larghi strati della popolazione giovanile.

Occorre allora intervenire con una perequazione capace di sanare i forti squilibri esistenti nel Paese in termini di infrastrutture e di servizi (nidi, scuole dell’infanzia, tempo pieno, tempo prolungato), squilibri che si ripercuotono in modo drammatico anche sui risultati dell'azione educativa.

Auspichiamo che gli investimenti previsti per il Sud dal PNRR possano affrontare con successo questa piaga. 

Un esame di stato quest’anno “diverso” come nello scorso anno. Cosa ne pensa e cosa vorrebbe augurare a tutti gli studenti?  

Nel mese di gennaio, nel corso dell’audizione del Forum delle Associazioni Professionali dei docenti e dei dirigenti con il Ministero, mi sono espresso favorevolmente per la riconferma del modello dello scorso anno, con le seguenti motivazioni:

- non è il caso di procurare ulteriori disagi a ragazzi e adolescenti che già pagano il peso di un anno svolto quasi interamente in DAD;

- le modalità di svolgimento degli esami di Stato 2019/20 sono state molto apprezzate dagli studenti e dagli insegnanti coinvolti;

-  la maggior parte degli studenti si aspetta dall’Amministrazione la riconferma delle modalità di svolgimento attuate nello scorso anno.

Sono d’accordo con il Ministro nel sostenere che non si tratta di un esame light, che l’elaborato preparato nel mese di maggio con il sostegno dei docenti della classe possa essere una buona base di partenza per sostenere un colloquio a tutto campo e per far emergere le conoscenze e le competenze acquisite.

Non sono d’accordo con il Ministro nel sostenere tout court che tale formula potrebbe andare a regime nei prossimi anni, in quanto sul tema non si è ancora aperto un dibattito tra gli addetti ai lavori per cui conviene non fare voli pindarici.

Un grande in bocca al lupo ai ragazzi che saranno impegnati negli esami di compimento di I e II ciclo. Le Commissioni sapranno apprezzare non solo gli apprendimenti conseguiti nel corso degli studi, ma anche le qualità personali, le esperienze, le certezze, le abilità maturate nel percorso.

Sono stati emanati dei fondi per promuovere attività scolastiche anche d’estate cosa ne pensa di tutto questo e come gli studenti si comporteranno, quali sono i suoi pronostici? 

Il Piano Estate, lanciato lo scorso 27 aprile dal Ministro Bianchi, ha riscosso grande successo presso le scuole se consideriamo che sono arrivate al Ministero dell’Istruzione circa 6.000 candidature per ottenere i fondi PON, che rappresentano una delle tre fonti di finanziamento messe a disposizione per la realizzazione delle attività.

Nei prossimi giorni conosceremo l’elenco delle richieste approvate in base ai criteri del bando e l’ammontare delle risorse attribuite alle scuole.

Intanto già da qualche giorno tutte le Istituzioni scolastiche hanno ricevuto una parte (18mila euro in media) delle risorse del primo decreto sostegni per attivare iniziative estive.

Altri fondi saranno destinati alle scuole ricadenti nelle aree ad alta dispersione scolastica o caratterizzate da povertà educative.

Credo che tutte queste risorse potranno essere utilizzate dalle scuole - a partire dall’estate e per tutto il prossimo anno scolastico - per recuperare la socialità che i ragazzi hanno perso a causa dell’emergenza sanitaria, ma anche per potenziare le conoscenze e le competenze in modo da gettare un ponte verso il prossimo anno.    

A settembre si ricomincerà, un auspicio che lei rivolge ai suoi colleghi?  

 Auspico che, dopo la terribile esperienza della pandemia, la scuola sappia essere più accogliente e inclusiva, che ogni Consiglio di classe sappia definire “regole di ingaggio” con i propri alunni come  fa l’allenatore con i gruppi sportivi, nei quali i ragazzi non vengono mortificati per quello che non riescono a fare bensì affiancati, orientati e sostenuti nel percorso di miglioramento e di affermazione personale e di gruppo.

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