Skip to main content

Aperto a tutti l’armadio della vergogna: consultabili online 13.000 pagine sugli eccidi nazifascisti

marzabottoSono trascorsi ventidue anni da quando il procuratore militare Antonino Intelisano, lavorando al processo contro l'ex SS Erich Priebke, trova in uno sgabuzzino di Palazzo Cesi-Gaddi un armadio, con le ante rivolte verso il muro. All’interno ci sono documenti scomodi, che si è voluto far sparire. Come se bastasse voltare un armadio per seppellire decenni di atrocità.

Intelisano scopre così 695 fascicoli e un registro generale relativi a crimini di guerra commessi in Italia durante l’occupazione nazifascista, quali l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, l'eccidio delle Fosse Ardeatine, la strage di Marzabotto e altri ancora. Testimonianze, elenchi delle vittime, nomi e cognomi dei carnefici: quanto basta per mandarli in carcere. Quanto sarebbe bastato, perché ciò non accadrà mai. Nel 1996 Franco Giustolisi e Alessandro de Feo pubblicano su “L’Espresso” un articolo relativo al ritrovamento del mobile (l’“armadio della vergogna”, come sarà in seguito battezzato da Giustolisi), denunciando l’occultamento dei fascicoli conservati al suo interno; fascicoli che, nel dopoguerra, non avrebbero certo giovato ai rapporti tra Belpaese e Germania occidentale.

Seguono indagini sul fatto e processi a carico di ufficiali e sottufficiali delle forze tedesche: molti vengono assolti, altri condannati all’ergastolo. Tuttavia, le sentenze non saranno mai applicate.Tra il 2003 e il 2006, una commissione d’inchiesta parlamentare lavora sul mistero dell’occultamento dei fascicoli, senza giungere a una relazione condivisa.

Ora (dallo scorso 16 febbraio 2016) testimonianze tenute nascoste per decenni sono consultabili da chiunque, semplicemente compilando la domanda online sul sito della Camera. Ciò non basta a rendere giustizia alle vittime – circa 15 mila – di quelle stragi, ma dopo decenni di silenzio lancia un messaggio forte, di trasparenza. Forse, a distanza di più di 70 anni, l’Italia può dirsi in grado di guardare al suo passato, senza provare a nasconderlo in un “armadio della vergogna”.

Pin It