Appartamento condiviso: per moda o per necessità?
L’appartamento condiviso, cosiddetto flat sharing, è una realtà sociale ed economica sempre più interessante e diffusa anche nel nostro Paese ormai non più soltanto tra gli studenti fuori sede, ma anche fra giovani coppie, lavoratori precari, pendolari, famiglie in difficoltà nel sostenere le spese d’alloggio.
Ma ciò che per i ventenni può essere vissuta come la novità di un’esperienza extrafamiliare che introduce a stili di vita ispirati a curiosità, voglia di cominciare ad autogestirsi, interscambio delle conoscenze e nuovi bisogni commisurati alla propria età, nonché al desiderio di vivere un’esperienza con dei coetanei, complice la perdurante crisi, può diventare – innalzandosi l’età di chi fruisce di una simile soluzione abitativa - una vera e propria necessità imposta da un reddito troppo basso che costringe le persone ad economie di scala realizzabili solo attraverso la condivisione con altri coinquilini del canone d’affitto, delle bollette di energia elettrica, acqua, gas, condominio e riscaldamento.
L’approccio al regime della condivisione, che registra una tendenza in netta crescita ed altri dati essenzialmente positivi, pur rappresentando frequentemente una tappa esperienziale importante e quindi un momento di arricchimento per i ragazzi, non sempre si presenta agevole.
La tutela della propria privacy, la inevitabile razionalizzazione nell'uso dei servizi comuni come il bagno e la cucina, le diverse abitudini igieniche, le differenze culturali degli abitanti di una casa condivisa, comportano un costante impegno - oltre che uno spirito di reciproca tolleranza - che vanno non solo impostati all'inizio della coabitazione, ma soprattutto rinnovati e mantenuti nel corso della vita quotidiana.
Talora sono le stesse famiglie che, non riuscendo più a sostenere i costi di un affitto o di un mutuo, decidono loro malgrado, di dare in locazione una stanza della propria casa, privandosi di uno spazio che pure avrebbero preferito tenere nella propria disponibilità; queste ultime situazioni, ben distinte da quelle già illustrate, sono riconducibili ad un oggettivo impoverimento del tessuto sociale, rappresentando una vera e propria forma di regressione per alcuni versi paragonabile alla condizione organizzativa della Russia post-rivoluzionaria degli anni Venti (in quei luoghi tutt’oggi ancora in essere nei suoi aspetti strutturali), per cui interi nuclei familiari di ogni estrazione sociale si ritrovavano a condividere lo stesso appartamento nella misura di dieci mq per ogni adulto e di cinque mq per ogni bambino, avendo cura di tenere ciascuno nella propria stanza abiti e scarpe, avendo in comune gli spazi dedicati ai servizi con una tinozza per il bucato e una tavoletta di sapone per ogni famiglia.
Naturalmente il raffronto qui operato è intenzionalmente grossolano poiché prescinde dai diversi contesti in cui i predetti fenomeni vanno necessariamente inquadrati, volendo sottolineare il dato di fatto che - nel momento in cui la condivisione non è più conseguenza di una libera scelta - le limitazioni insite nella coabitazione con persone estranee possono pesare fino a diventare difficilmente sostenibili, in particolar modo quando trascendono l’autonomia del singolo individuo per andare a coinvolgere quella dell’intero nucleo familiare.
Mirella Elisa Scotellaro