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Cassius Clay: campione sul ring e nella vita

cassius clay 1“Volare come una farfalla e pungere come un'ape”

Nella sua vita, due Olimpiadi.

Una nel 1960, a Roma, giovanissimo pugile che stupì il mondo, la seconda nel 1996, ad Atlanta, ultimo tedoforo che, accendendo il braciere olimpico, commosse il mondo.

Fra queste due date una vita intensa, combattuta più che vissuta, una vita che non è certo finita oggi, ma resterà nella storia.

Cassius Clay, poi noto con il nome islamico di Muhammad Ali, nacque il 17 gennaio 1942Louisville, Kentucky, frutto di un vero crogiuolo di razze. Avi che arrivavano dal Madagascar, schiavi liberati, meticci e con sangue irlandese.

Prese il nome dal padre, pittore d’insegna, a sua volta così battezzato in onore di un politico abolizionista del XIX secolo.

Iniziò a interessarsi al mondo della boxe quando, mentre stava cercando la bicicletta che gli era stata rubata, finì casualmente in una palestra, dove conobbe un poliziotto di origini irlandesi Joe E. Martin, che divenne il suo mentore.

All’età di dodici anni Cassius ebbe le sue prime vittorie nelle categorie dilettantistiche del pugilato, per poi diventare campione olimpico dei mediomassimi a Roma nel 1960, in un momento che sarebbe passato alla storia.

Ma nel suo paese, gli Stati Uniti, il giovane pugile iniziò la lotta contro il suo avversario più temibile, la segregazione razziale, al punto di prendersi a cuore i casi dei ragazzi di colore meno fortunati di lui.

E fu proprio un caso di razzismo a spingere Clay a buttare il suo oro olimpico nelle acque del fiume Ohio e solo nel 1996 ad Atlanta il Comitato Olimpico Internazionale gli donò una medaglia sostitutiva.

Dopo i duri allenamenti di Angelo Dundee, Clay arrivò al mondiale e, a soli ventidue anni, sconfisse in un match di sette riprese il leggendario pugile Sonny Liston.

Nello stesso periodo il giovane boxeur si fece conoscere anche per le sue dichiarazioni provocatorie e sopra le righe che portarono molti a parlare di lui, anche grazie al suo enorme carisma sui media e a un modo di comportarsi che era spavaldo fino ad arrivare alla spacconeria. Tutto questo aveva una presa molto forte e immediata sul pubblico.

Subito dopo la conquista del titolo, Cassius Clay annunciò di essersi convertito all'Islam e di aver assunto Muhammad Ali come nuovo nome. Una scelta che scosse non poco il mondo conservatore americano e non solo.

Ma i guai di Ali continuarono fino a quando nel 1966, dopo la chiamata alle armi per il Vietnam, sostenendo di essere un ministro della religione islamica, dichiarò di essere obiettore di coscienza e si rifiutò di partire per l’Indocina, con la celebre frase: “Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro”. Una presa di posizione che lo portò a non poi a essere condannato da una giuria composta di soli bianchi a cinque anni di reclusione.

Amareggiato, Ali prese la decisione di ritirarsi e si dedicò a sostenere le lotte condotte da Martin Luther King e Malcolm X contro il razzismo, fino a quando nel 1971, grazie alla scoperta di un’irregolarità nelle indagini, poté tornare sul ring.

Al rientro due match vinti per ko tecnico, il famoso “incontro del secolo” per il titolo mondiale contro Joe Frazier, in cui Ali venne sconfitto ai punti. Ma non vinto: ancora pugni, ancora tante provocazioni, ancora qualche sconfitta (inclusa quella contro il ”mandingo” Ken Norton).

cassius clay 2Ma, dopo aver perso ai punti il match contro Joe Frazier, il campione tornò a essere il campione del mondo AMB solo nel 1974, nel corso di un leggendario incontro contro George Foreman a Kinshasa in Zaire, l'attuale Repubblica del Congo. Passato alla storia come “The Rumble in the Jungle”, la rissa nella giungla, uno dei più grandi eventi sportivi di sempre, ricordato anche in uno storico documentario. Fu uno dei primi eventi sportivi televisivi planetari, a tutti gli effetti. Con la folla locale che si strinse attorno a lui, gridando in maniera ossessiva “Ali boma ye!” (“Ali uccidilo!”).

Però, quando nel 1978 il giovane Larry Holmes lo sconfisse per K.O. tecnico all'11a ripresa di un durissimo match, Ali iniziò a meditare il ritiro, che avvenne effettivamente l'11 dicembre 1981. Questa è la data della sua ultima salita sul quadrato, dove a 39 anni, verrà sconfitto ai punti da Trevor Berbick. Il suo score alla fine dirà di 61 incontri disputati con 56 vittorie, di cui 37 per ko, cinque invece le sconfitte, di cui una sola prima del limite a opera di Larry Holmes nel 1980, nell'ultimo tentativo da parte di Ali di riconquistare il titolo mondiale Wbc.

Negli anni Ottanta il campione si dedicò sempre di più in una campagna per la diffusione dell'Islam e la ricerca della pace, che culminò nel 1991 con un viaggio a Bagdad per parlare direttamente a Saddam Hussein, con lo scopo di evitare l’imminente conflitto con gli Stati Uniti.

Quando all’inizio degli anni Novanta scoprì di avere il terribile morbo di Parkinson, Muhammad Ali continuò a combattere le sue battaglie.

Rimane impressa l'immagine, che lo vede, ormai scosso dal morbo di Parkinson, accende tremante la fiaccola delle Olimpiadi di Atlanta 1996, commovendo l'opinione pubblica di tutto il mondo, con la sua fragilità così in contrasto con quello che era stato.

Muhammad Ali è morto il 3 giugno di quest’anno a Phoenix, in Texas, dopo essere stato ricoverato in ospedale per le gravi complicazioni del morbo di Parkinson.

Resterà nella storia del pugilato e non solo…… una vita vissuta intensamente.

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