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Civiltà islamica e valori dell’Occidente: un incontro difficile ma possibile

  • Mirella Elisa Scotellaro

islamE’ innegabile la grande distanza tra il complesso di valori alla base della cultura islamica e quelli fondanti dell’Occidente (ricomprendendo in questi ultimi sia gli aspetti di totale laicità, sia quelli prettamente cristiani), nonché la differenza di approccio al più generale tema del rispetto per la vita verso tutti gli esseri viventi da parte degli appartenenti alle rispettive civiltà.

La Sharia’ah, che deve essere osservata da tutti i mussulmani se non altro in qualità di codice etico (mentre in alcuni Paesi islamici, essendo anche legge dello Stato, viene applicata alla lettera),  com’è ampiamente noto prevede la pena di morte non solo per chi commetta un omicidio, ma anche per chi si renda responsabile di adulterio, bestemmia contro Allah ed apostasia (cioè abbandono della fede islamica).

Ci sono, inoltre,  diversi usi e costumi di ispirazione religiosa - assai meno conosciuti - e pur tuttavia indicatori di un sistema di valori neppure lontanamente  comprensibile per le popolazioni occidentali. Ad esempio, non tutti sanno che il  buon mussulmano dovrebbe mangiare soltanto carne macellata “Halal” (esclusa la carne del maiale che è considerato un “animale impuro”), vale a dire carne di “animali uccisi senza preventivo stordimento” con un metodo crudele che assicura una fine lenta e dolorosa per dissanguamento; e la straziante agonia tra i lamenti di creature innocenti viene giustificata da una necessità religiosa del tutto incomprensibile per i valori della comunità e della legge italiana la quale, in linea generale, ragionevolmente impone il rispetto di normative atte ad assicurare agli animali da macellazione una morte quanto più possibile indolore.donne islam

Ciò nonostante, contravvenendo al senso di una legislazione così attenta ed evoluta, il nostro Paese  permette (come purtroppo  accade pure nel resto dell’Europa tranne Svezia, Islanda, Svizzera, Norvegia) che, in nome della tolleranza religiosa, sia consentito ai mussulmani di praticare un tipo di macellazione secondo una tradizione anacronistica e conforme ad un’autentica barbarie (pure il diffusissimo kebab, che noi Italiani abbiamo imparato ad apprezzare in questi ultimi anni, in passato era preparato sistematicamente con carne Halal, anche se c’è da augurarsi che oggi non sia più così, quanto meno dalle nostre parti!).

Ad ogni buon conto, per completezza di informazione su un argomento così delicato, va specificato che le regole sulla macellazione rituale non sono più concordi fra i mussulmani, sussistendo al riguardo un recente dibattito che si è aperto concretamente alla possibilità di una macellazione previo stordimento anche nel contesto di riti religiosi: è un timido segnale positivo, un piccolo passo in avanti, senz’altro da raccogliere e da incoraggiare.

Possiamo comunque sostenere che, in linea di massima, siamo al cospetto di una cultura islamica percepita da molti come irriverente nei riguardi della sofferenza dei viventi e della sensibilità umana dei popoli occidentali i quali, per loro buona sorte non avvezzi ai lamenti di morte e allo scorrimento del sangue intesi come tradizione da custodire e tramandare, inorridiscono senza capire di fronte ad usanze di tal genere, reputate da taluni addirittura intrinsecamente idonee a trasmettere negli individui elementi di una disumanità intollerabile e – sotto un certo profilo -  anche socialmente pericolosa (almeno in via teorica) proprio per il fatto di sollecitare, nelle persone che compiono  atti di soppressione della vita con le antiche modalità Halal, un livello molto alto ma soprattutto inutile di aggressività e di cruenza. Così, la scena del sacrificio dell’agnello, timido e indifeso, ucciso senza stordimento (e quindi in uno stato di piena coscienza) tra terribili sofferenze, versi strazianti e sangue che scorre, si presenta all’uomo occidentale come un atto di una crudeltà inaudita e gratuita che - al di là di qualsiasi posizione ideologica al riguardo - potrebbe avere effetti di profondo turbamento nei più giovani, oltre che conseguenze  potenzialmente destabilizzanti in soggetti portatori di determinate fragilità psichiche o emotive.

Il timore, alquanto diffuso, è che si tratti di una mentalità dell’orrore almeno in apparenza alimentata da una sorta di ferocia latente che potrebbe rafforzarsi e propagarsi con maggior vigore attraverso la realizzazione di nuovi centri di aggregazione islamica, nel totale dispregio dei principi di libertà e di tutela della vita sanciti dalla nostra Costituzione, a parere di molti indegnamente sacrificati sull’altare di una pretestuosa integrazione che vedrebbe oggi l’Occidente piegarsi - giorno dopo giorno - ai dogmi di un islamismo per certi aspetti primitivo ed invadente. Con una visione di questo genere, siamo di fronte ad una posizione molto forte, che tuttavia non  può ritenersi affatto isolata.

A conferma di ciò, una piccola indagine giornalistica svolta attraverso brevi interviste ad un campione di Italiani della strada in apparente età compresa tra i 20 e i settant’anni rivela che - a stragrande maggioranza – la giustificazione della sussistenza di un’esigenza religiosa per tanto “scempio” non viene accolta né sul piano etico, né sul piano emozionale ma, potremmo azzardare, forse nemmeno da un punto di vista squisitamente giuridico: e se domani arrivasse una minoranza etnica che per motivi religiosi richiedesse dei sacrifici umani o degli atti di cannibalismo? A rigor di logica dovremmo accettare anche quelli, vista la “superiore finalità ultima” dell’appagamento di un intimo bisogno di natura religiosa; eppure non lo facciamo. Perché? Quale sarebbe la differenza? Il rispetto per la vita e per la sofferenza degli esseri viventi è un valore talmente alto da essere “concettualmente indivisibile”, al punto da non poter accettare discriminazioni all’interno di un mondo animale dove tutti – uomini e bestie – secondo la ragione e secondo la scienza sono accomunati da un’unica capacità di rispondere agli stimoli del dolore!

Da quanto precedentemente esposto, infine,  è possibile rilevare anche punti di criticità con riferimento ad alcuni principi oggetto della predicazione islamica che paiono di dubbia costituzionalità in quanto non soltanto "non improntati” al rispetto  della vita, ma nemmeno al rispetto dell’uguaglianza delle persone nonché della parità dei sessi, in aperta violazione del dettato costituzionale. Precisamente, l’art. 8, comma 2 così statuisce “Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”, ma la violazione della parità di genere o del principio di uguaglianza tra le persone, fino a prova contraria, costituisce l’attuazione di un comportamento anticostituzionale che impedisce il “pieno sviluppo della persona umana”, valore espressamente tutelato dall’art. 3, comma 2 della Costituzione!

A fronte di tanta discussione, non c’è dubbio che l’incontro tra Islam e Mondo Occidentale debba essere in ogni caso un obbiettivo molto importante da continuare a perseguire, pur se restano evidenti le molteplici contraddizioni nonché le enormi difficoltà sulle quali c’è da lavorare con impegno e con “animo costruttivo” da entrambe le parti.

Si riporta, di seguito, la dichiarazione di Sheykh 'Abd al-Wahid Pallavicini - Presidente CO.RE.IS. Italiana – nel suo intervento alla conferenza stampa in occasione della richiesta di apertura delle trattative per l'intesa su tavoli separati promossa dalla CO.RE.IS. Italiana nell'aprile del 2000: «Sappiamo che l'Islam ci impone per legge di comportarci secondo l'ordinamento giuridico dello stato che ci ospita, sia questo il nostro, o sia di adozione. Ciò di cui siamo sicuri è il fatto che la nostra adesione sincera all'Islam non ha in alcun modo alterato la nostra identità di cittadini italiani, e possiamo pertanto costituire, per i nostri correligionari  immigrati, l'esempio di una vera "integrazione" dovuta alla nostra integrità religiosa».

Queste parole, che sembrano dettate da buon senso e buona volontà, costituiscono una sorta di pietra miliare sulla via del dialogo. Esse meritano davvero di essere opportunamente prese in considerazione in un’ottica di progresso delle relazioni.

Mirella Elisa Scotellaro

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