Contratto a tutele crescenti e nuovo regime dei licenziamenti
Il "Jobs Act" ha portato grandi novità nel mondo del lavoro, un nuovo contratto a tutele crescenti ed il nuovo regime dei licenziamenti. Vediamo quali sono i punti principali della nuova legge sul lavoro.
A chi si applica
Il Decreto Legislativo n° 23 del 6.03.2015, in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, attuativo della Legge Delega 10 dicembre 2014, n° 183 - noto come “Jobs Act” - introduce un nuovo regime dei licenziamenti, superando di fatto l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970).
Il nuovo regime si applica ai lavoratori “assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (quindi dal 7 marzo 2015) e non fa distinzioni tra aziende che occupino più o meno di 15 dipendenti. La nuova normativa prevede una specifica clausola per le aziende che dovessero trovarsi a superare tale soglia a seguito di assunzioni effettuate successivamente all’entrata in vigore del provvedimento: in tali casi, infatti, si stabilisce che la nuova disciplina dei licenziamenti si applica anche nei confronti dei lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto. Si applica, inoltre, ai partiti politici, ai sindacati ed alle realtà che svolgono senza fini di lucro attività politica, culturale, di istruzione, di religione o di culto. Si applica anche nei casi di conversione di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato, successiva all'entrata in vigore del decreto.
Ai lavoratori destinatari di tale nuova disciplina non si applica la procedura prevista dall’art. 7, L. 604/1966.
Il licenziamento può anche essere revocato entro quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione da parte del lavoratore.
In caso di revoca, il rapporto si ripristina senza soluzione di continuità ed il lavoratore ha diritto alla retribuzione maturata nel periodo intercorrente tra il licenziamento e la revoca.
Licenziamento discriminatorio, nullo ed intimato in forma orale
Nel caso in cui il giudice accerti il carattere discriminatorio del licenziamento (ai sensi dell’art. 15 della L. 300/1970 - Statuto dei Lavoratori), o comunque ne dichiari la nullità, e nei casi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace perché intimato in forma orale o per difetto di motivazione relativamente all’inidoneità fisica o psichica del lavoratore (anche ai sensi delle L. 68/1999), è previsto per il lavoratore il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e ad un risarcimento, non inferiore a cinque mensilità, commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del Trattamento di Fine Rapporto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’avvenuto reintegro nel posto di lavoro, dedotto quanto eventualmente percepito, in tale periodo, per lo svolgimento di altre attività lavorative. Per tale periodo, il datore di lavoro dovrà provvedere anche al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Il lavoratore potrà comunque optare, in luogo della reintegrazione, per un’indennità pari a quindici mensilità (fermo restando il risarcimento sopra richiamato). Tale indennità non è coperta da contribuzione previdenziale.
Licenziamento per giustificato motivo o giusta causa
Nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa (disciplinare), seppure il giudice accerti che non ne ricorrono gli estremi, il rapporto di lavoro si estingue dalla data del licenziamento ed il lavoratore avrà diritto esclusivamente ad un’indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro mensilità ed un massimo di ventiquattro. Tale indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale. Tale indennizzo è dimezzato ed ha un limite massimo di sei mensilità, nel caso di aziende che non superino i quindici dipendenti.
Solo nei casi in cui sia dimostrata in giudizio “l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”, o il difetto di motivazione per motivi inerenti l’inidoneità fisica o psichica del lavoratore (anche ai sensi delle L. 68/1999), il giudice potrà ordinare la reintegrazione del lavoratore ed il pagamento di un risarcimento commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino a quello dell’avvenuto reintegro nel posto di lavoro, dedotto quanto eventualmente percepito, in tale periodo, per lo svolgimento di altre attività lavorative e quanto avrebbe percepito accettando una “congrua offerta di lavoro”. Per tale periodo, il datore di lavoro dovrà provvedere anche al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Tale risarcimento non potrà essere superiore a dodici mensilità. Tale diritto al reintegro non si applica nelle aziende che non superano i quindici dipendenti. Il lavoratore potrà comunque optare, in luogo della reintegrazione, per un’indennità pari a quindici mensilità (fermo restando il risarcimento sopra richiamato). Tale indennità non è coperta da contribuzione previdenziale.
Con l’indicazione della “insussistenza del fatto materiale” il Legislatore ha inteso comprimere l’ambito di valutazione del giudice, evitando il ricorso ad interpretazioni che intendessero la nozione di “fatto” quale “fatto giuridico”, cioè come fatto globalmente accertato, sia negli elementi oggettivi (fatto materiale) che in quelli afferenti l’elemento soggettivo (intenzionalità della condotta) nonché relativamente alla valutazione di proporzionalità tra il fatto contestato ed il provvedimento adottato (licenziamento).
Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (economico), seppure il giudice accerti che non ne ricorrono gli estremi, non potrà in alcun caso ordinare il reintegro: il rapporto di lavoro si estingue dalla data del licenziamento ed il lavoratore avrà diritto esclusivamente ad un’indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro mensilità ed un massimo di ventiquattro. Tale indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale. Tale indennizzo è dimezzato ed ha un limite massimo di sei mensilità, nel caso di aziende che non superino i quindici dipendenti.