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Economia nel 2020: quale ripresa?

  • Mirella Elisa Scotellaro

economia mondo pixabayLa guerra commerciale USA-Cina tiene in ostaggio l’economia globale, mentre l’economia italiana oscilla tra la crescita 0 e (nella migliore delle ipotesi) una crescita dell’1%: le speranze di un miracolo economico, ad oggi, paiono quasi un miraggio.

In riferimento all’economia globale, il dato di base è che qualunque previsione non può prescindere dagli esiti della guerra commerciale in atto tra il presidente americano Donald Trump e la Cina. Sviluppi positivi potrebbero riavviarsi anche nel breve termine solo con la distensione dei rapporti tra i due giganti, soprattutto se sostenuta da adeguati strumenti monetari.

Anche nella più ottimistica delle ipotesi, comunque, difficilmente gli USA potrebbero farsi promotori di un effetto rimbalzo capace di sovvertire il trend attuale, che purtroppo vede un calo importante delle attività produttive americane in diversi settori di primo piano, come ad esempio la manifattura.

In linea di massima, pertanto, in assenza di eventi geopolitici nuovi e di grande rilevanza, una ripresa globale potrebbe riguadagnare terreno solo temporaneamente - più che altro nei mesi iniziali del nuovo anno - per poi affievolirsi se non sorretta da politiche di contenimento di dazi e altre misure protezionistiche.

La causa principale di tanta incertezza è l’elevatissimo indebitamento interno degli Stati Uniti, frutto velenoso della superficialità con cui sono stati emessi negli anni scorsi fiumi di bond aziendali ad alto rendimento che, avendo trovato collocazione nell’immediatezza della loro emissione grazie ai consistenti valori dei tassi, ora rischiano di strozzare l’economia con un passivo spaventoso pari a 10.000 miliardi di dollari, approssimativamente la metà del PIL statunitense.

La spirale che alimenta il meccanismo perverso sottostante alla condizione attuale delle aziende americane è nel fatto che gran parte di queste hanno finito essenzialmente con l’indebitarsi per saldare gli interessi dei bond scaduti (la cui affidabilità è oramai prossima al livello “spazzatura”), per distribuire dividendi agli azionisti e per riacquistare le proprie azioni, nulla o poco riservando agli investimenti produttivi.

Com’è facile immaginare, le accennate e oramai diffuse strategie di pura “sopravvivenza” delle imprese, nulla hanno a che spartire con un’oculata pianificazione e gestione degli assetti logistico/produttivi che sarebbero indispensabili, ma di cui non v’è traccia. Si giustificano così le valutazioni sconfortanti delle agenzie di rating, che esprimono preoccupazione non tanto per le conseguenze a breve termine, quanto per il caso di una eventuale nuova crisi, i cui effetti sarebbero amplificati dal ruolo del dollaro nello scenario dei traffici commerciali internazionali.

Sullo sfondo di un quadro americano – ma anche europeo – molto degradato, la speranza di ripresa dell’economia globale potrebbe sorprendentemente essere coltivata dai Paesi emergenti, e in ogni caso non oltrepasserebbe una crescita attesa del 3,4%, in discesa rispetto ai dati del semestre precedente.

Quanto alla situazione macroeconomica italiana, si prospetta la stagnazione, stante l’assenza di progetti politici in grado di dare una scossa al sistema.

La caccia aperta ai piccoli elusori, in affanno per rimanere vivi sotto il tintinnio delle manette; la tolleranza del legislatore verso i grandi evasori internazionali, le cui sedi rimangono arroccate nei paradisi fiscali sotto lo sguardo indulgente del fisco italiano; una macchina burocratica infernale; il sistema bancario compromesso assai più di quanto non si stimasse; la produttività in calo; la disoccupazione alle stelle; il decremento demografico; un’immigrazione incontrollata: senza voler essere catastrofisti, tutto nel nostro Paese pare disattendere le legittime aspettative di un vero cambiamento.

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