Francesco, il pastore rivoluzionario
Papa Francesco, o più semplicemente Francesco, il Gesuita.
Era il vescovo che a Buenos Aires viaggiava con i mezzi pubblici e abitava in un casa normale, cucinandosi i pasti da solo, ogni giorno a diretto contatto con la gente comune, lontanissimo da qualsiasi privilegio, avendo rinunciato alla sede episcopale, che pure gli sarebbe spettata; il pontefice che, appena eletto, si tiene le sue vecchie scarpe perché “sono ancora buone” chiedendo di donare quelle nuove “a qualcuno che ne ha più bisogno”; l’unico sovrano che non indossa mai monili d’oro, e che sceglie di stabilire la propria dimora in un appartamentino di cinquanta metri quadrati, perché questo gli basta; colui che parlando delle controverse finanze vaticane rivendica che “Pietro non aveva una banca”: un modello di cristianità e di coerenza per tutti, fedeli e non fedeli.
Non ci sono protocolli che tengano, se lui vede un disabile in mezzo alla folla, è capace di scendere dalla papa-mobile per andare ad abbracciarlo, e, quando può, telefona personalmente a chi gli scrive per chiedergli conforto. Nel discorso con cui fa gli Auguri di Natale agli altri prelati della curia romana sostiene convinto che “Sarebbe una grande ingiustizia non esprimere una sentita gratitudine e un doveroso incoraggiamento a tutte le persone sane ed oneste che lavorano con dedizione, devozione, fedeltà e professionalità, offrendo alla Chiesa e al successore di Pietro il conforto delle loro solidarietà ed obbedienza”, ma con altrettanta determinazione parla di malattie curiali, “Malattie che richiedono prevenzione, vigilanza, cura e – purtroppo – in alcuni casi interventi dolorosi e prolungati”, e prosegue con un “catalogo” delle virtù necessarie per i prelati curiali, insistendo sulle riflessioni da fare sul tema della misericordia e sul senso stesso della fede. Così conclude: “Siamo manovali, non capomastri; servitori, non Messia. Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene”.
Potrebbero sembrare parole scontate, ma Francesco le arricchisce di contenuti nuovi, svuotati dalla retorica, pregni di concretezza, tali da immettere nella Chiesa una ventata d’aria fresca, che davvero sa di pulito. Verrebbe proprio da dire che era giunta l’ora che qualcuno finalmente trovasse il coraggio e l’energia di fare quella che si propone come una vera e propria rivoluzione dei ruoli e delle priorità relative ai massimi responsabili delle istituzioni cattoliche: vescovi e cardinali ornati di croci e anelli d’oro, dediti a spese pazze, forniti di scorta e appartamenti lussuosi, protagonisti di eventi mondani e di gestioni quanto meno opache delle opere di carità, custodi - e a loro volta dispensatori - di privilegi evidentemente inopportuni rispetto alle funzioni che debbono connotare la vita di un religioso … sono tutte questioni che saranno oggetto di un’azione riformista e riorganizzatrice da parte di Francesco in vista di un agognato ritorno ai valori fondanti del cristianesimo, ad una solidarietà umana più autentica e più attenta ai bisogni interiori, oltre che meno interessata ai beni materiali.
L’annuncio della dirigenza del Premio Carlomagno 2016 è che proprio il Papa, in Germania, è stato designato come vincitore per il suo impegno in favore della integrazione europea, e lui accetta, ringraziando con umiltà, dedicando questo prestigioso riconoscimento a tutti gli operatori di pace dell’Europa e del mondo intero.
In un momento storico in cui moltissimi potenti, avidi e corrotti, troppo spesso danno di sé uno spettacolo degradato e indecente, a prescindere da qualsiasi posizione personale o ideologica si voglia guardare al sommo pontefice, non resta che inchinarsi di fronte al suo fulgido esempio di integrità morale ed intellettuale.
Mirella Elisa Scotellaro