Il serio problema degli Ospedali dismessi
Alla morsa della pandemia da Covid-19, che sta affliggendo le nostre società, si affianca un altro grande malato: la sanità italiana, specie sotto l’aspetto dell’accoglienza e la presa in carico dei cittadini bisognosi di cure.
Abbiamo assistito, negli anni Novanta, a un depotenziamento del Servizio sanitario nazionale, tendenza che si è fatta strada con esecutivi di diverso colore politico e che, nell’ultimo decennio ha assunto connotati drammatici.
Con l’avallo dei governi Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, la sanità ha perso ben 37 miliardi. La riduzione del numero di ospedali è un trend in atto da almeno 25 anni, ben prima che scoppiasse la crisi economica nel 2008. Una ricerca del Censis del 2018 evidenzia come tra il 2008 e il 2016 il tasso di ospedalizzazione sia crollato in Italia da 192,8 a 140,9 per 1.000 abitanti, i ricoveri diminuiti del 25,6 per cento, e tra il 2011 e il 2015 le giornate di degenza si siano ridotte del 10 per cento.
Secondo l’analisi, è l’esito della normativa che ha imposto 2,7 posti letto ospedalieri per 1.000 abitanti, quando la media dei Paesi europei è di 4 posti letto per 1.000 abitanti. L’ospedale è stato l’epicentro di tagli lineari mentre la sanità territoriale non è mai decollata. A tale politica non ha fatto riscontro una riduzione della spesa del settore anzi. I costi dello Stato per la sanità sono costantemente cresciuti in valore assoluto negli ultimi 20 anni. Dal 2010 in poi, da più parti viene evidenziato come la spesa sanitaria abbia iniziato a calare come spesa in percentuale del Pil (dal 7 per cento al 6,6 per cento). Ma tra il 1998 e il 2010, è sicuramente aumentata e parecchio. In valore assoluto, da meno di 60 miliardi di euro (a prezzi correnti) a più di 112 miliardi di euro, quasi il doppio; in percentuale del Pil dal 5,1 per cento al 7 per cento.
Se i posti letto nel 1998 erano circa 311 mila nel 2007 erano calati di quasi 90 mila unità, arrivando a circa 225 mila. Nel 2017 erano circa 191 mila. Siamo passati da 5,8 posti letto ogni mille abitanti del 1998 a 4,3 nel 2007 e a 3,6 nel 2017. In alcune aree di Roma Est si scende addirittura a 2,9. Su tale improvvisa deprivazione, si sono inserite le difficoltà provocate ai nostri giorni dalla pandemia da Covid-19, che hanno solo esasperato un vulnus presente da tempo. Così, paradossalmente, ci siamo trovati di fronte a soluzioni tampone quali l’allestimento di tendopoli o spazi di fortuna come reparti di degenza riconvertiti a infettivi per sopperire alle emergenze, mentre in tutto il Paese più di 170 ospedali sono stati chiusi in dieci anni e almeno la metà di questi giace nel più completo abbandono senza alcuna idea su come riutilizzarli.
Destrutturare i piccoli centri ospedalieri favorendo l’accorpamento dei servizi ha fatto sì che da Nord a Sud Italia si assistesse a fenomeni ingiustificabili sotto ogni punto di vista: l’oblio, o peggio lo snaturamento di un patrimonio di alto valore storico, artistico e ambientale.
Contestualmente, non si sono fermati faraonici investimenti in edilizia sanitaria, con il favore di datate normative risalenti addirittura agli anni Ottanta, e con l’impiego di corposi finanziamenti rivelatisi spesso ridondanti. Come non citare, quale esempio paradigmatico, l’abbandono del San Carlo Borromeo a Milano Nord e del San Paolo, al polo opposto della città, per dar vita a una nuova struttura nel parco sud di Milano, in area vincolata, al costo di 500 milioni di euro, il quadruplo dell’investimento previsto per la ristrutturazione del San Carlo, con 500 posti letto in meno in nome di una presunta “razionalizzazione”, andando a interessare una pregiata area di verde pubblico.
Diversa sorte è stata riservata all’ex sanatorio di Sondalo intitolato a “Eugenio Morelli”, riconvertito da anni a ospedale generale, destinato in questo periodo a pazienti affetti da coronavirus “in ragione – si legge nella delibera regionale – della sua lunga storia di ex sanatorio e della sua vocazione tisiologico-infettiva”. Ora è tornato sede di alte specialità chirurgiche “in un’ottica di ascolto, confronto e collaborazione con il territorio”, specifica sempre l’assessore al Welfare della Lombardia Letizia Moratti. Di legami con il territorio questo edificio razionalista degli anni Trenta ne ha moltissimi.
Uno dei più forti è quello riferito alla salvezza di centinaia di opere d’arte dei musei milanesi nel corso della Seconda Guerra Mondiale, che trovarono riparo nei padiglioni di queste montagne, ritenute all’epoca “dispensatrici di benessere”, con l’acquiescenza del comandante della guarnigione tedesca di stanza nel villaggio, già professore di storia dell’arte italiana. Come non provare un sussulto di tenerezza, rammentando poi la storia dell’ex dispensario antitubercolare di Piacenza in cui dal 1938 si svolse un’opera di prevenzione per i bambini. Durante la guerra divenne ospedale dei partigiani poi occupato dalle truppe nazi-fasciste. Fino agli anni Sessanta riprese le sue funzioni ma oggi versa nel più completo abbandono.