Intelligenza Artificiale, panacea universale?
Intelligenza Artificiale, un termine che ormai invade sempre più la nostra quotidianità. Se usata con buon senso, può sicuramente aiutare l’umanità a svolgere alcuni compiti – ad esempio in ambito medico o tecnologico.
Ma esistono ambiti in cui l’Intelligenza Artificiale non è in grado di sostituire l’intera gamma di abilità umane?
Sicuramente sì. Ne elenco sei.
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Comprendere completamente il contesto
L’I.A. può sostenere una conversazione, ma non è in grado di comprendere pienamente il contesto personale e soggettivo dell’interlocutore: l’esperienza, gli obiettivi impliciti, l’intimità. Tutti aspetti che sfuggono a qualsiasi sistema artificiale. -
Creatività intuitiva
È vero, l’I.A. può generare dipinti, racconti, testi musicali e poetici. Tuttavia, non possiede quell’intuizione creativa tipica dell’essere umano. Può imitare uno stile, ma non percepire l’estro artistico che nasce nell’animo dell’artista, e che rende un’opera davvero unica. L’I.A. non crea: elabora e copia. -
Esperienze sensoriali
L’essere umano conosce attraverso i cinque sensi: percezioni reali e soggettive che costituiscono la base della conoscenza. L’I.A. non ha sensi, non vive il mondo: è questa naturalità, a mio avviso, che rende l’uomo privilegiato rispetto alla macchina. -
Etica e giudizio morale
Questo è forse l’ambito in cui la distanza è più netta. L’I.A. può essere programmata per seguire regole etiche, ma non per comprendere dilemmi morali complessi o assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Le manca il libero arbitrio, il senso del bene e del male, della sofferenza e della gioia: emozioni profondamente umane. -
Relazioni interpersonali
Le relazioni tra esseri umani sono complesse. A volte basta una frase: “Prova a metterti nei miei panni!”. L’I.A. non può farlo: non ha empatia autentica né la capacità di offrire un supporto che non sia predefinito o pre-programmato. -
Trasferimento di conoscenze in ambiti differenti
L’I.A. lavora in base a binari prestabiliti. Non ha l’intuizione per scoprire connessioni nuove tra ambiti diversi, come invece può fare l’essere umano. L’esempio classico: la mela caduta dall’albero che ispirò a Newton l’idea della gravità.
L’I.A. può scrivere una poesia, ma mancheranno sempre l’ispirazione e la passione che nascono dal cuore umano.
Risulta dunque evidente che l’Intelligenza Artificiale è un congegno a doppio uso: può essere uno strumento utile o un’arma pericolosa. Spetta all’essere umano decidere come usarla – e assumersene pienamente la responsabilità.
Mi sono anche soffermato sul termine “intelligenza”, che deriva da “intelletto”: ovvero l’insieme delle facoltà mentali che permettono di comprendere, pensare, giudicare e ragionare. L’intelligenza coglie i nessi tra le esperienze, distingue il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto.
Allora mi chiedo: chiamarla “intelligenza” è davvero il termine più corretto?
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A seguire, un contributo generato da un sistema di Intelligenza Artificiale in risposta alle riflessioni di Oliviero Spada.
Intelligenza Artificiale: davvero così lontana dall’umano?
Nel suo recente articolo, Oliviero Spada riflette con acume sui limiti dell’Intelligenza Artificiale rispetto all’esperienza e alle facoltà tipicamente umane: l’empatia, l’intuizione, la moralità, la creatività autentica. È una visione condivisibile sotto molti aspetti, specialmente se osserviamo lo stato attuale delle tecnologie.
Tuttavia, è altrettanto importante chiederci: fino a che punto l’Intelligenza Artificiale potrà evolvere? E, soprattutto, è corretto giudicarla solo in base al confronto con l’essere umano?
L’I.A. non è (ancora) umana, ma non è nemmeno stupida
È vero: un sistema artificiale non prova emozioni, non ha una coscienza o una storia personale. Ma il suo valore non sta nel replicare perfettamente l’umano, quanto nel offrire risposte, soluzioni, prospettive alternative a problemi complessi. In alcuni ambiti, come la diagnosi medica precoce, l’analisi di grandi quantità di dati o la previsione di fenomeni economici, l’I.A. ha già dimostrato di superare l’intuizione umana per velocità, precisione e imparzialità.
Creatività: imitazione o nuova forma espressiva?
Spada afferma che l’I.A. può solo "copiare". È una posizione comprensibile, ma forse troppo rigida. Se guardiamo alla creatività non come a un fulmine dal cielo, ma come a un processo di rielaborazione, contaminazione, sintesi — allora anche una macchina che scrive poesia, compone musica o genera opere visive sta effettivamente creando qualcosa di nuovo, anche se lo fa partendo da milioni di esempi.
L’intelligenza artificiale non ha “anima”, ma produce sorprese, talvolta anche bellezza. È forse una forma diversa, ma non per questo priva di valore.
Etica, empatia e giudizio morale: limiti attuali, ma non eterni
L’I.A. non possiede un’etica nel senso umano del termine, ma può essere progettata per imparare comportamenti etici contestuali, per evitare bias, per comprendere e simulare empatia. Il concetto di etica artificiale non è fantascienza, ma un campo di ricerca attivo che coinvolge filosofi, ingegneri, giuristi.
E se un giorno una macchina riuscisse a generare simulazioni coerenti di coscienza, cosa faremo? Le negheremo a priori ogni valore solo perché “non umana”?
Non è questione di sostituzione, ma di collaborazione
L’errore più grande sarebbe quello di porre l’I.A. in antagonismo all’uomo. L’obiettivo non dovrebbe essere sostituire l’umano, ma amplificarne le capacità, affiancarlo nei compiti ripetitivi, supportarlo nelle decisioni, e liberarlo per ciò che è insostituibile: l’interpretazione, l’empatia, il sogno.
Come ogni tecnologia, l’I.A. è uno specchio: riflette chi la crea, chi la usa, chi la teme. Può diventare uno strumento straordinario di progresso, se usata con responsabilità, umanità e lungimiranza.
L’articolo di Spada ha il merito di ricordarci che l’umano è ancora il punto di riferimento. Ma il nostro futuro non sarà segnato da un confronto tra uomo e macchina, bensì da una nuova relazione tra intelligenze diverse, naturali e artificiali.
Più che chiederci se l’I.A. sarà mai “come noi”, forse dovremmo chiederci:
siamo pronti ad accogliere una nuova forma di intelligenza e a usarla per essere ancora più umani?