Io e il Coronavirus: un vecchio cronista si racconta
Sono un vecchio cronista, in quiescenza, per la burocrazia. Ma il giornalismo non è una professione, è una passione che dura tutta la vita.
Posso definirmi un valetudinario, ossia una persona che ha sperimentato la malattia sin dalla tenera età. Particolarmente fragile riguardo all'apparato respiratorio. Infatti le faringiti, le bronchiti e, in misura minore, per fortuna, le polmoniti fanno parte del mio curriculumcome le esperienze professionali.
Ad ogni invernomi raccomandoalla Provvidenza perché sopravviva e quando il freddo si fa pungente, copro con il fazzoletto la bocca e il naso, anche per riscaldare l'ariainalata. Uso i mezzi pubblici col contagocce e al minimo starnuto del vicino, mi prende il panico.
Per me, il coronavirus è la fine del mondo. Da alcune settimanesono avvolto dauna depressione invincibile, con un'altissima propensione alla disperazione. Non mi sono di conforto gli spot martellanti che cercano di instillare nellapopolazione comportamenti virtuosi che tutti dovrebbero seguire sempre.
Mancano in questi frangenti i sostegni psicologici, tutt'altro che secondari. Si muore di virus, ma si muore anche diangoscia.
Termino con una riflessione. Questa pandemia ciinsegna ad amare lavitaperquella che è. Fragile, insicura, stressante e - a volte - insopportabile. Godiamocela, finché possiamo. Latragedia è dietro l'angolo.
Ah,leavvertenze che leggete ogni minutosugli schermi, seguitele anche acoronavirus scomparso. I contaginon finiscono mai.
Gaetano Tirloni
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