Papa Francesco e Matteo Salvini: due volti dell'Unione Europea
"Chiedete tutti perdono per le istituzioni e le persone che chiudono le loro porte a gente che cerca aiuto e cerca di essere custodita". In piazza San Pietro a Roma papa Francesco si è rivolto così ai suoi fedeli, entrando nel dibattito politico degli ultimi giorni con il suo stile semplice e diretto.
Si può dire che in questo caso, con le sue parole, è il pontefice ad aver subito una scomunica attraverso i microfoni di Radio Padania. Immediato infatti il giudizio del leader della Lega Nord Matteo Salvini:"Il Papa mi piaceva, ora boh".
Difficile dire se questa dichiarazione abbia scosso o meno la sensibilità del Santo Padre, è probabile però che se ne sia fatto una ragione. Tuttavia il segretario del Carroccio non si limita a così poco e aggiunge: “C'è il papa che dice chiediamo perdono per chi chiude la porta ai rifugiati... il rifugiato vero ha tutto il diritto essere accolto ma i rifugiati veri sono un quarto di quelli che arrivano… non abbiamo bisogno di essere perdonati, pecchiamo come tutti ma ci sentiamo buoni e generosi più di altri pseudo cattolici che dicono c'è posto per tutto il mondo".
Nel dibattito generale le accuse di buonismo si alternano a quelle di essere inumani. Il senso pratico rivendica la sua superiorità mentre la morale combatte per far prevalere la giustizia. Logica e razionalità generalmente si astengono. Nel frattempo il mondo non aspetta.
L’Italia non è certo il primo paese che cerca di porre rimedio all’arrivo dei migranti e mentre da noi oggi il governo fa prevalere una via diplomatica attraverso la cooperazione tra tutti gli stati, altrove si è pensato diversamente.
Sono sulla bocca di tutti infatti gli accadimenti degli ultimi giorni, quelli che alcuni non si arrischiano a definire come violazioni del trattato di libera circolazione di Schengen. Si parla in questo caso dei blocchi di flussi di migranti operati da Francia e Austria sulle nostre frontiere.
Ma la Spagna costruì già negli anni novanta barriere di filo spinato ancora oggi esistenti a Ceuta e a Melilla, città spagnole situate sulla costa del Marocco i cui porti fungono da accesso all’Europa. Ugualmente a Calais, città francese affacciata di fronte alla costa inglese sul canale della Manica, la Gran Bretagna, in seguito ad un accordo siglato nel settembre 2014 tra i due paesi, ha finanziato la costruzione di una barriera per bloccare l’accesso ai migranti. Infine la Bulgaria ha già eretto parte del muro progettato per il confine turco, mentre l’Ungheria intende costruirne uno che la renda inaccessibile sul versante serbo.
C’è da chiedersi quanto queste barriere possano essere davvero efficaci. Attualmente coloro che cercando di arrivare in Europa non lo fanno certo perché considerano i nostri paesi più belli dei loro. Ciò che li muove è spesso la morte, la fame e altre condizioni che difficilmente possiamo immaginarci. E’ possibile fermare persone con motivazioni così forti attraverso barriere fisiche?
E’ forse bene ricordare che papa Francesco, oltre a esortare “le istituzioni a non chiudere le porte” ha anche
chiesto che “la comunità internazionale agisca in maniera concorde ed efficace, per prevenire le cause delle migrazioni forzate”. Se facessimo tutti un grande esercizio di memoria andremmo anche a riscoprire le responsabilità che il mondo occidentale ha nei confronti dei paesi da cui oggi vengono gran parte dei migranti. Così facendo forse saremmo più portati a seguire questo monito di Bergoglio. Ma noi e la politica dimentichiamo in fretta e di fronte ai problemi quotidiani che scuotono l’opinione pubblica un governo deve mostrare di agire.
Le difficoltà che oggi l’Unione Europea manifesta nell’adottare misure effettive sull’immigrazione derivano dalla mancanza di un sistema politico unitario che superi gli egoismi dei singoli governi, troppo spesso mossi nelle loro scelte dall’esigenza di ingraziarsi l’elettorato. Le istituzioni europee sono nate deboli e fragili, frutto di mille distinguo e compromessi. Il grande paradosso è che proprio questi gracili organismi potrebbero essere il punto focale per creare la risposta comune che l’Italia chiede e che oggi anche il Financial Time sostiene. Tuttavia il malumore per le istituzioni europee indebolisce ulteriormente la cooper
azione tra i paesi e rafforza le posizioni euroscettiche. Il dramma è che mentre questo enorme gatto che si mangia la coda che chiamiamo Unione Europea sta ferma, paralizzata dai veti incrociati e da interessi divergenti, i barconi continuano ad arrivare e la storia va avanti senza di noi.
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