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Registrare una conversazione è legittimo se …

  • Mirella Elisa Scotellaro

registrare conversazioneOrmai lo si può fare con un gesto semplice, basta avere con sé un qualsiasi telefono cellulare. Ma ci sono norme da rispettare per fare di una semplice registrazione una prova forte e perfettamente legale.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 18908 del 13 maggio 2011) ha stabilito che i colloqui tra privati che si svolgano a viva voce o tramite uno strumento di trasmissione (ad esempio un apparecchio telefonico) possono essere lecitamente registrati, tanto da uno dei dialoganti quanto da terzi estranei alla comunicazione, purché il soggetto captante – cioè chi effettua la registrazione – non occulti la propria presenza.  

La giustificazione sul piano del diritto è nel fatto che se Tizio e Caio, parlando tra di loro, piuttosto che appartarsi in luogo riservato, lasciano che tranquillamente Sempronio - presente davanti a loro - ascolti quel che dicono, non possono poi pretendere che resti segreto l’oggetto dei loro discorsi. Pertanto, il mancato impiego di alcuna precauzione da parte dei dialoganti comporta in automatico l’accettazione del rischio che le loro parole siano non solo sentite, ma anche registrate; la medesima logica implica pure che l’interlocutore stesso possa registrare. Ciò in quanto la registrazione è intesa quale processo di “memorizzazione fonica di un fatto storico” appreso dal captante senza nascondersi, cosicché il loquente avrà potuto valutare a priori, ed in piena libertà, se dire o meno determinate cose al suo cospetto, assumendosi la responsabilità per tutto ciò che ne consegue.

Affinché la registrazione sia considerata lecita, tuttavia, non basta che il captante sia presente, è necessario che essa venga realizzata con mezzi normalmente prevedibili, e quindi non con sofisticate apparecchiature per la captazione e la riproduzione dei suoni di uso strettamente professionale. Occorre, altresì, che nessuno, essendo posizionato in un ambiente diverso da quello dove si trova lo strumento di captazione, sia all’ascolto della conversazione in tempo reale,  fosse anche la polizia. Ove questo accadesse, saremmo non più in presenza di una registrazione, bensì di una intercettazione, a sua volta sottoposta ad un regime giuridico ben diverso, ammessa dall'ordinamento giuridico solo per iniziativa di un giudice e soggetta a regole particolarmente stringenti, sanzionate con pene decisamente severe. Altro ragionamento riguarda la “diffusione” di una registrazione. L’utilizzo dei dati contenuti in una registrazione è consentito ai privati solamente per uso personale, non per una diffusione o “comunicazione sistematica”. Precisi impedimenti alla predetta diffusione sono oltretutto previsti in talune particolari situazioni previste dalla legge per quel che concerne l’oggetto medesimo del colloquio o la qualità dei soggetti che vi partecipano, come succede ad esempio nel caso del segreto d’ufficio.

La registrazione fra presenti, eseguita a termini di legge, può essere utilizzata in tribunale, e tecnicamente ha il valore di documento. Così ha stabilito la Cassazione, VI sezione penale, in ben due sentenze, la n. 6633 del 1994 e la n. 6623 del 1996. In tal senso dispongono anche sia l’art. 24, lettera f), del D.Lgs 196/2003 (con cui il legislatore consente al soggetto che ha effettuato la registrazione la sua diffusione senza il preventivo consenso degli interessati soltanto per la tutela di un diritto proprio o altrui), sia l’art. 234 del codice di procedura penale, il quale ammette la rappresentazione fonografica (termine tecnico che indica la registrazione) tra i mezzi di prova.

Per contro, chi ha registrato è tenuto ad adoperarsi con diligenza per conservare i dati della registrazione con le opportune precauzioni affinché essi non vadano smarriti, ovvero non corrano il rischio di finire nelle mani di soggetti terzi, i quali potrebbero utilizzarli per scopi illeciti o comunque non conformi alle finalità della loro raccolta.

Fonti: Corte di Cassazione, sentenza n. 18908 del 13 maggio 2011 - Cassazione, VI sezione penale, sentenza n. 6633 del giugno 1994 - Cassazione, VI sezione penale n. 6623 del giugno 1996 -  D.Lgs 196/2003 - Art. 234 del c.p.p.

Mirella Elisa Scotellaro

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