Nefarius: il film che scuote coscienze e fa riflettere sul bene e il male
Questa volta, cari lettori e lettrici, vi voglio invitare a vedere un film diverso dal solito, che non lascia indifferenti ma, ai più attenti e sensibili, pone qualche domanda non banale, alla quale dare una risposta è da saggi.
Il film si intitola Nefarius, e il tema che vuole portare all’attenzione non è affatto insensato né privo di attualità.
Preciso che purtroppo non è facile trovare sale che lo propongano ma, con un po’ di buona volontà e fortuna, lo si può trovare.
Vengo allora alla descrizione del film, che non è affatto un thriller, anche se qualcuno lo presenta come tale.
Due sono i registi che vi hanno lavorato: Cary Solomon e Chuck Konzelman, entrambi americani. Il film ha ben poco di politicamente corretto – e questo, per fortuna, alla gente inizia a piacere – perché si comincia ad essere stanchi della solita solfa mainstream in salsa woke.
Va detto che i due registi hanno incontrato parecchi ostacoli nella realizzazione del film, soprattutto da parte della critica, ma non solo. Perché? Perché il film tratta di un tema legato alla religione e alla fede.
La trama
La vicenda ruota attorno a un serial killer condannato a morte, cui però viene sospesa la pena poiché in attesa di una valutazione psichiatrica. Lo psichiatra incaricato del colloquio con il condannato è convintamente ateo, e il suo compito è stabilire se il detenuto stia fingendo la sua presunta possessione diabolica.
Gran parte del film si svolge all’interno del carcere, dove il colloquio tra i due si fa sempre più serrato e dibattuto, fino ad assumere un ritmo da vero thriller.
Il dialogo, però, non è solo tra lo psichiatra e il condannato: è un confronto a tre voci, dove la terza è quella del demonio, che tuttavia, a volte, lascia spazio anche al reo di esprimersi.
Il demonio non mostra alcuna riluttanza nel raccontare quale sia la sua modalità di intervento nella creazione e contro l’umanità, arrivando persino a predire allo psichiatra che, prima che il loro tempo sia scaduto, lui stesso commetterà alcuni omicidi.
Il film intende mettere in discussione molte certezze del mondo attuale. Alle convinzioni dello psichiatra – che rappresenta una società che si crede emancipata e che, ovviamente, non crede all’esistenza del demonio – si contrappone il demonio stesso, che si fa beffe di una società così stolta, la quale, non credendo alla sua esistenza, finisce per fare proprio il suo gioco.
Riferimenti letterari
Vedendo il film, a qualcuno verrà quasi spontaneo fare un accostamento al libro di C.S. Lewis, Lettere di Berlicche, dove un alto funzionario di Satana, di nome Berlicche, deve istruire il nipote Malacoda, un diavolo apprendista alquanto sprovveduto, su come strappare le anime al “Nemico”, ossia Dio.
Altro libro che riprende l’idea delle Lettere di Berlicche è Il manuale del Diavolo, scritto da Rino Cammilleri per le edizioni Cantagalli.
Il Berlicche di Lewis, scritto nel 1942, descrive un diavolo post-vittoriano con riferimento teologico all’anglicanesimo, mentre Cammilleri propone una visione con riferimento teologico cattolico.
In entrambi i casi, gli “apprendisti diavoli” vengono istruiti sui metodi più opportuni e sicuri per indurre un individuo – uomo o donna – a compiere scelte che lo allontanano da Dio, e conseguentemente da Gesù, dalla Madonna e dai Santi.
I metodi d’intervento attingono all’agire dell’essere umano, e sono illustrati dall’istruttore in modo talvolta ironico, ma sempre calato in situazioni realistiche della vita quotidiana.
Ovviamente, ogni lettore trarrà le proprie opinioni, sia rispetto al film, sia riguardo alla lettura di uno o entrambi i libri.