Stranieri come noi
Più o meno un milione e mezzo di anni fa, nasceva in un’anonima tribù nomade dell’Africa centrale, un anonimo uomo che avrebbe passato la sua vita a spostarsi da un territorio all’altro, così come avevano fatto suo padre, e il padre di suo padre, e così come avrebbero fatto suo figlio, e il figlio di suo figlio, ancora per parecchie generazioni. Quell’uomo, che per la fantasia del destino e per un fatale incrocio di geni aveva sviluppato la capacità di restare in posizione eretta, dava origine ad un fenomeno destinato a far discutere per secoli e millenni: la migrazione.
La migrazione, intesa come lo spostamento temporaneo o definitivo di gruppi etnici da una sede ad un’altra, è un fenomeno che ha caratterizzato la storia dell’umanità, come detto, fin dalle sue origini, e che ha coinvolto tribù barbare in epoca romana, Arabi e Turchi nel Medioevo, Europei dopo la scoperta dell’America e al termine dei conflitti mondiali, e che oggi è particolarmente proprio di popolazioni nordafricane che fuggono dalle loro terre alla ricerca di poco più che nulla, perché nulla è ciò che hanno.
Ma com’è allora possibile che in una zona come quella europea, frutto di un albero che affonda le sue radici nei più diversi terreni, si tema ancora il diverso come se fosse necessariamente causa di immense rovine? Com’è possibile che si possa definire un individuo sulla base del pigmento che caratterizza le sue cellule?
Si pensa ormai che ciò che discorda dalle idee generali e dalla realtà che possiamo osservare attraverso i nostri occhi ogni giorno sia estremamente affascinante, sì, ma purché mantenga da noi una certa distanza di sicurezza. La sempre più diffusa tendenza a confondere lo straniero con un nemico da tenere lontano fa dimenticare che, se ci fossero state barriere doganali e controlli alle frontiere un milione e mezzo di anni fa, di certo non saremmo ciò che siamo oggi; non saremmo parte di quel presente che vediamo come futuro, ma che è destinato a diventare passato, e a lasciare in eredità a coloro che verranno tutto quel che abbiamo visto, vissuto, e rappresentato.
Le migrazioni hanno fatto emergere culture differenti, e talvolta in antitesi con la nostra, ma hanno anche permesso all’umanità di fare enormi falcate in avanti nel processo evolutivo, e di comprendere che usi, tradizioni e idee hanno medesimo valore, che provengano da uomini con la pelle bianca, nera o gialla.
Non guidiamo forse auto tedesche o giapponesi, indossiamo magliette prodotte in Bangladesh, utilizziamo un alfabeto latino, beviamo tè cinese, e contiamo attraverso numeri arabi? Giudicare come negativo ciò che è differente impedisce di cogliere la bellezza della diversità.
Federico Tosi