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#RegalaMi: tra i premi La vertigine del Drago

vertigine del drago“Statisticamente si spiega tutto, personalmente tutto si complica”. Questa frase di Daniel Pennac potrebbe riassumere la struttura narrativa, quasi classica, de “La vertigine del drago”, non perché si parla di numeri o statistiche, argomento quanto mai lontano dalla violenza xenofoba di una realtà come quella che viene portata in scena, quanto nel processo di chiudere due personaggi appartenenti e raffiguranti due diversi mondi in uno stesso luogo e costringerli a interagire in un ambiente chiuso e isolato, dove le distanze tra di loro, basate su falsi preconcetti, e i loro differenti modi di essere sono costretti ad interagire da vicino.

Si tratta, insomma, di un invito, urgente ai giorni nostri, dalle schematizzazioni di idealismi sbagliati e nel trovare nell'altro la persona, l’umanità, che è sempre fautrice di somiglianza e non di differenza.

I due personaggi in scena sono Francesco, giovane naziskin alle prime armi con un recente passato di marito e di padre sbagliato, e Mariana, una zingara zoppa ed epilettica, con la passione per i film e medico mancato. L’occasione della loro forzata convivenza è un agguato in un campo rom da parte dei compagni di Francesco in cui il ragazzo viene ferito e, per riuscire a mettersi in salvo, prende in ostaggio Mariana e la trascina in uno squallido garage.

Qui può avvenire il "contatto", anche se il linguaggio crudo e verbalmente violento del ragazzo costituisce una grande barriera e mette a nudo come il culto del nazismo e del sopruso non sia altro che uno schermo sui cui l'individuo proietta i propri sentimenti di inadeguatezza verso se stesso e di rabbia verso il mondo. 

Eppure, nella scoperta della comunanza nelle ferite esistenziali, come la sofferenza per l’esclusione, la solitudine e il tradimento, un barlume di pietà e comprensione si fa luce sulla scena, anche grazie alle cure con cui Mariana si prodiga per estrarre il proiettile e sanare la ferita del suo aguzzino.

Nella parte di Francesco, Michele Riondino, regista dello spettacolo, noto al pubblico televisivo per il ruolo del giovane Montalbano, porta in scena bene quella violenza, effigiato di vistosi tatuaggi e da un look stereotipato grida la sofferente forza di un combattimento che, in definitiva, è contro se stesso, come dimostrano alcune scene capaci di mettere a nudo la sua parte più intima e fragile. 

Sua compagna di scena è la stessa autrice del testo Alessandra Mortellitti nel ruolo di Mariana, nome già di per sé simbolico o di un personaggio che per Francesco rappresenta davvero una occasione “salvifica”.

Il testo è poi impreziosito dalla supervisione di uno scrittore di grande fama come Andrea Camilleri.

Lo spettacolo, realizzato dall'Associazione Culturale Artisti Riuniti in associazione con Palomar e in collaborazione con 15 Lune Produzioni ha debuttato nel 2012 in occasione del Festival di Spoleto di quell'anno, raccogliendo una buona critica da parte del pubblico e della stampa, e verrà riproposto a Milano, a quasi due anni di distanza, al Teatro Fontana dal 18 al 23 Febbraio 2014.

Lo stesso Teatro Sala Fontana offre in collaborazione con MilanoFree n° 2 biglietti omaggio al vincitore del contest natalizio #RegalaMi. E allora...Che vinca la fotografia migliore.

G. Masi

Teatro Sala Fontana
Via Gian Antonio Boltraffio, 21, Milano

dal 18/02 al 22/02 ore 20:30
domenica 23/02 ore: 16:00

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