Verdi: Alzira e Aroldo
La seconda opera che porto all’attenzione dei lettori, è ALZIRA; opera in un prologo e in due atti di genere tragedia, su libretto di Salvatore Cammarano, anche se il soggetto fa riferimento al dramma di Voltaire. La prima rappresentazione avvenne il 12.8.1845 al Teatro San Carlo di Napoli.
I personaggi della tragedia sono: Alzira, figlia di Ataliba – Alvaro, governatore e padre di Gusmano – Gusmano, figlio di Alvaro – Ovando, duca spagnolo – Zuma, sorella di Alzira – Otumbo, guerriero americano – Zamoro, capo tribù – Atoliba – ufficiali e soldati spagnoli e uomini e donne americane.
Ecco la trama dell’opera.
L’opera è ambientata a Lima e nel Perù, siamo alla metà del XVI secolo. Zamoro, invaghito di Alzira, si oppone all’oppressione spagnola e, durante una battaglia, è dato per morto. I peruviani catturano, per vendetta, il vecchio governatore Alvaro ma Zamoro, ritorna, più vivo che mai, all’accampamento e ridona la libertà al governatore. Il guerriero Otumbo riferisce a Zamaro che Alzira e suo padre Ataliba, sono stati catturati, Zamoro decide di tentare la loro liberazione. Intanto Gusmano assume il comando delle truppe e riesce a stipulare la pace con la tribù peruviana. Decide inoltre di chiedere la mano di Alzira, ma questa rifiuta. Intanto Zamoro riesce a introdursi tra gli spagnoli e rivede Alzira, però è sorpreso e arrestato. Alvaro allora intercede per lui, memore del fatto che questi gli aveva a sua volta salvato la vita. Zamoro torna libero. Tuttavia, nonostante la pace stipulata, un nuovo scontro e Zamaro cade nuovamente prigioniero, e questa volta è condannato a morte. A questo punto Alzira, per salvare l’amato, promette di concedersi a Gusmano, solo che nel frattempo Zamoro riesce a fuggire travestendosi da soldato spagnolo. Venuto a conoscenza delle prossime nozze, ritorna al palazzo e pugnala a morte Gusmano, il quale, prima di spirare gli rivela il patto di Alzira e, pentito, benedice il loro futuro, ricevendo da suo padre l’ultima benedizione.
Cito dalla scena IV, Ovando e detti, le belle e calde parole dell’innamorato Gusmano.
Colmo di gioia ho l’animo,
più non domando, o bramo
non v’he, non v’he fra gli uomini
chi t’ami quale io t’amo!
L’amor che mi governa,
arde di fiamma eterna!
È tale amor, che un barbaro
nemmeno intender può.
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Lasciate queste parole da innamorato, passo a un’altra opera del grande maestro, l’AROLDO. Quest’opera si svolge in quattro atti, su libretto di Francesco Maria Piave. Si tratta di un rifacimento di Stiffelio, che il grande musicista rappresentò, in prima assoluta, il 16 novembre 1850 al Teatro Grande di Trieste. L’opera si tenne presso il Teatro Nuovo di Rimini il 16 agosto 1857.
I personaggi sono i seguenti: Aroldo, cavaliere sassone, Mina, moglie di Aroldo e figlia di Egberto. Egberto, vecchio cavaliere vassallo di Kent. Briano, solitario, pio, Godvino, cavaliere di ventura ospite di Egberto. Enrico, cugino di Mina ed Elena, cugina di Enrico. Jorg servo di Aroldo. Comparse di cavalieri, dame, scudieri, paggi, eccetera.
Ecco la trama dell’opera.
Siamo nel 1200 nel castello di Egberto presso Kent, solo il quarto atto si svolge sulle sponde del lago Lomond in Scozia. Al ritorno dalle crociate Aroldo apprende dalla moglie Mina di essere stato da lei tradito. Il marito si accorge che al dito non porta più l’anello che la madre gli aveva donato in punto di morte. Chiede spiegazioni, ma sono interrotti dall’arrivo di ospiti. Giunge il padre di Mina e vede che la figlia sta scrivendo una lettera, sospettando una sua infedeltà verso il marito, s’impossessa della medesima. Pretende dalla figlia che lasci il passato alle spalle e si ricongiunga al marito. Mina pare cedere alla richiesta del padre. Frattanto, in occasione di una festa in maschera al castello, Godvino, innamorato di Mina, entra non visto nella sala e nasconde una lettera tra le pagine di un libro di cui possiede la chiave. Briano però, senza essere visto, lo osserva e s’insospettisce, allora avvicina Aroldo e gli rivela i suoi sospetti, tuttavia, ingannato da abiti simili, indica Enrico al posto di Gadvino. Aroldo vuole che la moglie apra il sigillo, ma lei rifiuta di farlo, furente Aroldo lo rompe e una lettera cade a terra, subito raccolta dal vecchio cavaliere Egberto che si rifiuta di consegnarla, subendo così le ire di Aroldo. Egberto, al corrente della tresca, chiede a Gadvino di raggiungerlo al cimitero dove lo sfiderà a duello. Anche Mina si reca sul luogo del duello e invoca l’aiuto della defunta madre. All’arrivo di Gadvino, Mina rivuole l’anello che gli ha regalato, ma sopraggiunge Egberto che, allontanata Mina, da inizio al duello. Interviene allora Aroldo ponendo fine allo scontro, mentre Egberto svela l’oscura trama del tradimento. Briano, nel frattempo giunto sul luogo, richiama tutti alla necessità del perdono. Il cavaliere, deluso per non essere riuscito a uccidere il rivale e per aver perso Mina che considerava come una figlia, tenta il suicidio, salvato però da Briano che annuncia la cattura di Gadvino. Aroldo e Gadvino sono in una stanza del castello, e il marito di Mina suggerisce a Gadvino di nascondersi in una stanza attigua per ascoltare il colloquio che avverrà. Prontamente fa chiamare la moglie, e gli confida che deve tosto partire per un nuovo viaggio, per questo gli presenta una lettera di divorzio.
Mina firma la richiesta, ma precisa che la relazione con Gadvino è frutto di un inganno di cui è stata vittima. Mentre Aroldo rivela che l’amante si trova nella stanza accanto e ha udito tutto, giunge Egberto che annuncia di aver ucciso Gadvino. La scena cambia completamente, infatti, Aroldo e Briano si trovano sulle sponde di un lago, dove si sta per scatenare una tempesta, per cui trovano rifugio in una casetta; nel frattempo una barca raggiunge la riva, e ne scendono Mina ed Egberto in cerca di un rifugio. Bussano a una porta e, aperta, si trovano di fronte Aroldo che, alla loro vista, si lascia trascinare da una sorda ira. Mina lo supplica di ascoltarla almeno un’ultima volta, a un certo punto interviene Briano il quale, richiamando forti indicazioni bibliche, riesce a riconciliare i due sposi.
Il brano che trascrivo è nell’atto primo scena VIII – dialogo tra Aroldo e Mina.
AROLDO
Chi ti salva o sciagurato
(ed Egberto trasalendo)
Dallo sdegno che m’accende?
Cieco l’ira già mi rende,
più non freno il mio furor.
MINA
(frapponendosi tra i due)
È mio padre!... l’ira vostra
su me tutta cada alfine,
ma le nevi di quel crine
rispettatele, signor.
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