La Fattucchiera in una poesia di Trilussa
Ho già avuto occasione di citare alcune poesie di Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, poeta romano. Tuttavia, essendone un grande estimatore, voglio tornare su questo autore con la sua poesia La fattucchiera.
Prima, però, vorrei fare un breve excursus sul termine fattucchiera, che, preciso subito, è diverso da strega. Tra le due figure, infatti, esistono distinzioni significative che riguardano non solo le loro credenze e pratiche, ma anche il ruolo culturale e sociale che ricoprivano.
Chi era la fattucchiera?
Rispetto alla strega, la fattucchiera è una figura più legata alla cultura rurale e contadina, con una forte connotazione folcloristica. Il termine deriva da fatto o fattura e si riferisce alla capacità di compiere incantesimi, preparare pozioni ed effettuare guarigioni.
Le pratiche delle fattucchiere erano più orientate alla vita quotidiana e ai bisogni immediati delle persone. Esse erano in grado di:
- preparare pozioni e rimedi erboristici;
- realizzare fatture e scongiuri per influenzare persone o eventi;
- offrire consigli e soluzioni a chi si rivolgeva a loro.
Nel proprio entourage, la fattucchiera era rispettata ma anche temuta. Molte di loro provenivano dalla provincia di Roma, in particolare da Monterotondo e Ponzano, ed erano specializzate nel togliere il malocchio o nel predire il futuro.
Per guarire alcune malattie, le fattucchiere utilizzavano foglie di sambuco, foglie di lattuga, vari unguenti (spesso preparati con lardo di maiale) e, soprattutto, la mandragola, considerata una pianta miracolosa in grado di curare quasi tutti i mali. Particolarmente prezioso era anche l’olio fiorito.
Non bisogna dimenticare che, per aumentare il valore e il potere delle loro "medicine", le fattucchiere accompagnavano le cure con segni e preghiere, spesso inventate sul momento.
Dopo questa doverosa introduzione, passo a citare la poesia di Trilussa, un componimento ironico che, con la sua tipica sagacia, riflette sulle abitudini e i comportamenti delle persone che si rivolgevano a queste figure.
La fattucchiera – poesia di Trilussa
Abbita in borgo, in un bucetto scuro,
pieno de ragni che te fa spavento:
c’è ‘na scanzia, du’ sedie, un letto a vento
e quarche santo appiccicato ar muro.
Tra le pile e le carte ce tiè puro
un sacco de barattoli d’unguento,
erbe e noce pijate a Benevento,
bone pe’ fa’ qualunque sia scongiuro.
Benanche che ‘sto sito è così infame,
in certi giorni c’è de le giornate
ch’è sempre pieno zeppo de madame.
E ce ne vanno nun se sa se quante!
Tutte signore oneste, maritate,
che vonno le notizzie de l’amante.
Appena ch’entrai dentro, un gatto rosso,
che stava a sgnavolà su la scanzia,
invetrì l’occhi drento a quelli mia,
arzò er groppone e diventò più grosso.
Parla, fece la strega, tira via:
t’ha piantato l’amico? Sputa l’osso.
Vôi scoprì un ladro? Ah, qui nun posso:
io fo la strega, mica fo la spia!
Perché ‘sta fattucchiera è un po’ curiosa:
se ce vai p’interessi o per amore
lei t’indovina subbito la cosa;
se invece, viceversa, tu ce vai
pe’ scoprì un ladro, è peggio der questore:
nun so perché, nun c’indovina mai!
Io ce provai, je dissi: l’antra sera
hanno arubbato una catena d’oro
a ‘na famija a vicolo der Moro,
la quale stava drento a ‘na peschiera …
Benone: disse, e in cammera chi c’era?
Dico: un commennatore amico loro …
Poi venne un capo mastro a fa’ un lavoro …
È chiaro! borbotto la fattucchiera.
Senza che cerchi tanto, spòsa mia,
la robba che te manca l’ha rubbata
er capo mastro prima d’annà via.
Defatti fu arestato er muratore …
e la catena d’oro fu trovata
ne le saccocce der commennatore.
Glossario di alcuni termini
- bucetto = tugurio
- letto a vento = branda
- pile = pentole
- infame = miserabile
- sgnavolà = miagolare
- peschiera = portagioie
Anche questa volta siamo giunti alla fine, sperando che la fattucchiera non ce ne voglia! 😄
Con questa poesia, Trilussa ci offre uno spaccato ironico della società romana del tempo, giocando sulle superstizioni e sulle abitudini delle persone. Un piccolo capolavoro di satira che, ancora oggi, ci strappa un sorriso.