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Gergo milanese e parlar furbesco

Un aspetto interessante nella storia dell’umanità è sicuramente quello attinente il linguaggio. Non è mia intenzione scriverne qui la storia, anche perché bisogna esserne all'altezza, per cui, più modestamente, mi limito a considerarne un aspetto, quello legato al “gergo o al parlar furbesco”, della mala milanese nel XIX e inizio XX secolo.

mala milanese

In tutte le culture, da quando il linguaggio è divenuto parte indispensabile alla comunità umana, spesso, all'interno delle stesse comunità, si sono creati linguaggi particolari e/o modi di esprimersi diversi o alterati o criptati per non far intenderne a tutti il vero significato.

ligera milano

Ligera: il significato

Il significato etimologico di gergo è piuttosto oscuro, forse da gola, gorgoglio; comunque sottintende un modo di parlare oscuro, sotto metafora, che vuole mantenere una certa segretezza. I gerghi di cui qui voglio brevemente parlarvi, attengono a quel parlar furbesco legato soprattutto alla malavita milanese; ovviamente i termini a volte sono triviali e crudi, comunque mi sono limitato nell'esposizione.

I gerghi parlati non sono tutti necessariamente legati alla malavita, milanese o meno, ma attengono anche altre categorie, ad esempio possiamo trovare un gergo particolare nel “gai”, un linguaggio parlato dai pastori della Valle Camonica e della Valle Seriana; un linguaggio, vi garantisco, davvero indecifrabile. Ancora, il gergo parlato dai commercianti o dagli ambulanti; quello dei salumieri di Norcia, degli orchestrali italiani; dei giostrai, degli zingari, della camorra, di gruppi sociali particolari, i gerghi giovanili, quelli legati a sette religiose, gerghi militari, insomma, come potete vedere sono un settore molto vasto.

Nella mia esposizione, prendo in considerazione solo vocaboli o modi di dire tipicamente milanesi, tuttavia non voglio fare una specie di vocabolario, anche se seguo l’ordine alfabetico, ma per ogni termine adatterò una frase opportuna, sperando di non tediare il lettore. Vado allora a incominciare.

Se, trovandosi in città, si voleva chiedere di un albergo, siamo nell’800, conveniva non dire: “Vo all’albergh di do campann”, perché era la prigione del palazzo Pretorio.

A volte erano usati nomi propri per indicare difetti o comportamenti, come ad esempio “Ambroeus”, che era indice d’individuo bonario e facilmente raggirabile, un sempliciotto.

L’amido, prodotto usato per bagni o utile alle massaie nello stirare, ha però, nella parlata in gergo, un altro significato non certo simpatico, infatti, se si diceva: “L’a ciappà l’amid”, voleva dire che era rimasto stecchito, morto.

Passami “L’archett”, gridò Carlo a Pasquale. E Pasquale gli passò un piccolo arco, infatti, non sapeva che in milanese l’archett era il fucile.

La definizione dei Carabinieri, e non solo di loro, nella malavita milanese, ha diverse locuzioni, mi limiterò ad accennarne qualcuna che leggerete lungo il percorso di questo lavoro. Iniziamo con il primo, dove erano detti: “Aringhe”.

Attento a non andare al “Babbi”! Proprio così, perché andare lì, voleva dire entrare nel manicomio criminale.

Baggio, è un quartiere di Milano, e allora, sentirsi dire “Andà a Bagg”, in questo caso non a suonare l’organo, significava finire male, andare a morire. Questo modo di dire è legato al fatto che a Baggio sorgeva l’ospedale per i tubercolosi, e purtroppo era una malattia che non perdonava.

Baggiana”. la baggiana è una varietà di fava dai semi grossi, e questo ha dato modo di identificare la vulva, e, per estensione, ragazza, donna. “Bagian” invece significa contadino, grullo, sciocco.

Nei tempi passati vi era, per le strade di Milano, il venditore di lucido da scarpe che, di solito, enfatizzava il suo prodotto per invitare all'acquisto, da questo fatto ecco l’arguzia del popolino che, a chi le sparava troppo grosse, lo chiamava: “Bagolon del luster”.

La roba rubata, il furto, allora a Milano si diceva: “Balla”. Tra ladri che si confidavano, si potevano sentire queste parole: “avevem giust spartì la bala in su la teppa”, che tradotto significa, avevamo appena spartito la refurtiva sul letto. Mentre il “Ballottin” era il truffatore.

Vuoi andare sulla Balilla? Che subito uno pensa, quasi quasi un viaggetto sulla Balilla me lo faccio volentieri. Solo che in questo caso la “Balilla” non è l’automobile, ma il letto di contenzione del carcere e dei manicomi.

Per identificare balordi, vagabondi, imbroglioni si potevano usare questi tre termini. “Baloss” – “Baluba” – “Baltrescànt”.

A Milano chiamavano “Bardassa” un giovane mariuolo. Dice il Porta in un suo sonetto: Bardassa, l’hoo semper ditt, che te me voeu fa morì. Ossia, Mariuolo, l’ho sempre detto tu, mi vuoi far morire.

-  Ho citato un verso del Porta e, poiché lo ritroveremo, preciso che Carlo Porta è considerato il maggior poeta in milanese, convinto difensore del dialetto e profondamente meneghino. Le sue poesie non mancano d’ilarità, d’invettive contro l’ipocrisia del tempo, sanno dire pane al pane e vino al vino, usando a volte termini non privi di trivialità.

Da che mondo e mondo i latitanti sono sempre esistiti, ebbene, un termine dell’epoca che li identificava era questo: “Vess in bandera”.

L’agente di custodia o la guardia carceraria erano detti “Bassot”.

Batta – Bastion, (da battere, esercitare la prostituzione, da cui il gergale battona).  I batta, erano i pederasti che, nei primi del ‘900, erano soliti battere la zona dei bastioni. Anche “batt la frusta”, da cui “batafrusta”, che sta per donne di facili costumi.

Chi non ha mai sentito questo termine riferito a un milanese, alzi la mano. “Bauscia” che sta per altezzoso, millantatore.

Quando si sentiva un cantare volgare e triviale popolare della mala, si diceva che stavano cantando una “Bavarda”.

Il protettore, il pappone, a Milano era chiamato “Becch”.

Se fossimo sulle acque di un lago o in quelle del mare, vedere il beccheggiare di una barca ci sarebbe naturale, sentire invece nel vecchio parlare milanese a dare a uno del “Beccheggio”, significava dargli del cornuto. Come capite è ben tutt'altra cosa.

Nella Milano del 1700, il rubare o il più poetico lavorar di mano, si diceva con questi due termini:  "Bev” e “Bever”.

Mi raccomando, vieni con la berta. Che uno che ascoltava pensava che fosse una bella ragazza, invece per “Berta”, intendevasi la rivoltella.

Se non è mora, è bionda. Solo che in questo caso non ci si riferisce alla capigliatura femminile, ma per “Bionda”, s’intendeva la sigaretta di contrabbando, e ancor oggi questo termine la identifica, ma nella vecchia Milano per bionda si voleva intendere anche una solenne sbronza, ubriacatura. Il Tessa in una sua poesia dice: “E poeu, se la ven fada, andemm in bionda e femegh su ona biccerada”.

-   Delio Tessa nasce a Milano nel 1886, in una casa di ringhiera in via Fieno. I temi preferiti della sua poesia, ovviamente in vernacolo milanese, sono quelli della vita quotidiana della gente comune, non distinta comunque dalla realtà della vita sociale e politica del momento. Molto del suo interesse poetico va agli emarginati dalla società, con i quali intesse un rapporto spesso di amicizia.

Se si vedeva qualcuno con la capigliatura ricciuta, gli si dava del “Biscela-lla”, ma in realtà si voleva intendere un bulletto di periferia, uno spaccone del tutto inoffensivo. Era così chiamato anche il controllore tramviario o ferroviario.

Il questurino o l’agente era, allora, apostrofato “Bissa”.

Ma che bel “Bògol” che tiene! E anche la “Brija de polenta” è davvero interessante. Non so voi cosa intendete, ma i nostri antichi concittadini di mano svelta, intendevano un ottimo orologio attaccato a una catena d’oro, ovviamente da sgraffignare.

L’ha lei il documento? Che documento? Ma il “Bollettòn”, perbacco! Che però non è una grossa bolletta, ma era il documento che la polizia rilasciava alle prostitute di strada, al che la redarguita rispondeva: “mi ghe lò si el bollettòn”, e mostrava all'agente l’autorizzazione.

Il “Borlacàtt”, nella vecchia Milano, era il daziere oppure la guardia di finanza.

Bòrtol”, o meglio “andà al bòrtol”, significava andare in carcere.

Che belle quelle “Briosche”! Guardi che si dice brioches. No, no, la dizione è giusta, perché per briosche s’intendevano le tette, le mammelle insomma.

Segui quella signora che porta al dito un bellissimo “Bròsa”. Avete capito che si tratta certamente di un anello di valore.

Nella Milano tra le due guerre il mediatore per la ricettazione era chiamato “Bru Bru”.

Bufettosa” era la pagnotta che si dava in carcere.

Nel gergo dei contrabbandieri lombardi la Dogana era chiamata “Burlanda”.

"Bùs negher” Non è quello che, malignamente i maschietti pensano, ma, nei dialetti lombardi, era così chiamata la prigione.

Sei un incapace, un sempliciotto, un cretino! Oggi diciamo così, ma nella vecchia Milano si diceva: “Butunàa de drè”.

Adesso iniziamo con la lettera ci, ed esordiamo con “”, che in questo caso stava per postribolo. “Cà bassa” era invece un infimo postribolo.

Se v’invitavano alla “Cà di can”, era meglio rifiutare l’invito, poiché era una malfamata locanda fuori Porta Ticinese.

Cà Granda” era, ed è ancora, chiamato l’Ospedale Maggiore.

Cà di sass” così si identificava il Duomo, poi, verso la fine del 1800, s’identifica la Cassa di Risparmio.

Cà traversa”, nella Milano dell’800 era il Carabiniere. Traverse era un bagno penale.

La “Califfa” non è la moglie del califfo, ma era così chiamata la mezzana, la ruffiana.

Quando siete a passeggio per porta Ticinese, attenzione a non percorrere un vicolo malfamato, che nel parlar gergale si diceva “Calusca”.

Calzon rigaa”. Altro modo per identificare i Carabinieri.

Nella Milano dell’800 il vagabondo era nominato: “Camminant”. Facile l’accostamento.

Quando qualcuno bussava alla porta di un postribolo, la donna che ti veniva ad aprire era detta: “Can da guardia”.

Capponèra de meneghit”, per i milanesi era la Galleria. Mentre per “Capponera” s’intendeva la stanza da letto e la camera di sicurezza della polizia. Il termine era altresì esteso alla meretrice, e anche all'organo sessuale femminile.

Se state cercando un avvocato difensore, cercate un “Carbonàtt”.

Attenzione se state per ricevere la visita di un “Carbonista”, perché è un ladro specializzato in furti d’appartamenti.

Hai preso la “Carretta”?  Tranquillo, l’ho presa. Solo che in questo caso per carretta s’intende l’automobile da rubare.

Carrozzòn d’ii peccàa”, era la vettura che riportava a casa le ballerine dei cafè chantant, nella Milano fine ‘800.

Lei è un “Carpiòn”, si vergogni! Diceva la signora al ladro che gli aveva appena rubato il portafoglio.

Meglio attendere di salire sul “Caretòn”, perché significava montare in orizzontale sul carro funebre. Diceva il Gadda in un suo sonetto: “ Quel che ho fàa, ho fàa. Speti domà il caretòn ch’el me mena a Musòcch. (Musocco è il cimitero).

Essere mandati alla “Casa Felìs” voleva dire essere condannati all'ergastolo.

Se vi dovesse fermare un agente della Polizia Stradale, attenzione a non apostrofarlo come lo si chiamava con linguaggio furbesco, cioè “Cascherin”.

Castagnole”, preciso subito che non hanno nulla a che vedere con le castagne, hanno invece a che vedere con le manette, infatti, erano delle catenelle per legare i polsi, chiuse da un lucchetto.

Nel linguaggio gergale il giornalista era chiamato “Casciaball”; anche se non sempre a ragione.

Una volta, per le strade, si vedevano spesso personaggi che si fermavano per raccogliere le cicche di sigarette che altri fumatori gettavano, con scarsissimo senso civico, per terra. Questi erano detti “Cattamòcc”.

Auguriamoci tutti di incontrare più tardi possibile “Catterinin la secca”, perché? Oh bella, perché nel gergo furbesco è sorella morte.

Quando si procedeva alla spartizione del bottino, bisognava far attenzione al “Cavaleta”, perché nel dividere il malloppo tendeva a imbrogliare.

Non andare con quella che sta all'angolo dopo il bar, è ormai una “Cicca”, che stava a significare prostituta troppo sfruttata e fuori servizio.

Non sono riuscito a entrare nella villa per colpa di un maledetto “Ciocchet”, cioè un cane di guardia.

Mi fai vedere il tuo “Cirlo”? Ora, il punto è chiarire bene, perché potrebbe intendersi l’orologio ma anche il membro virile.

Client abitual”, è il pregiudicato sottoposto a sorveglianza con obbligo di presentarsi periodicamente all’autorità.

Guarda chi si vede, ma dov'eri andato? Mi sono fatto un “Cocumer”, ossia, un anno di prigione.

Ti hanno dato trent'anni! Meglio trent'anni che la “Collarinna” al collo. Dal che si deduce che questa era la fune della forca, il capestro.

Colombin”, che non è un piccolo colombo, ma erano così apostrofati i figli di N.N., nati da padre ignoto nell'Ospedale di Niguarda.

Comàa Ranzonna”, ossia comare con la ranza, vale a dire la morte. Dice il Porta in una sua poesia: “ quand ghe va incontra la comàa ranzonna, a fagh pientà lì el frutt de tucc i struzzi”. ( struzzi = stenti).

Di che compagnia fai parte? Non certo della “Compagnia del taccheggio”, che era quella che si occupava di rubare nei negozi con una destrezza da veri maestri del furto.

Invece la “Compagnia del fil de ferr”, erano una banda di ladri che, negli anni trenta, operavano in Milano.

Poi c’era anche la “Compagnia del bus”, che erano ladri esperti nel rubare forando i muri o i pavimenti.

Il “Complott” è il processo, il dibattimento penale.

La camera della questura in cui sono provvisoriamente  custoditi gli arrestati, veniva detta “Comuna” .

Il termine “Condòmini”, tutti sappiamo cosa significhi, tuttavia nel gergo furbesco questo termine stava a indicare lui, lei e l’altro.

Domani mi occuperò della “Contessa” , che non è una nobildonna, ma una cassaforte. Ovviamente da svuotare.

Presto, presto, chiama subito i “Coo d’Or”, che sennò va tutto a fuoco. Avete capito che si tratta dei pompieri.

Corrivolo”; tirar su un corrivolo è rubare un’auto.

La compagna del locch, in parole povere la bulla, era detta “Crappa”.

Penso che tutti conosciamo il giochetto con la moneta del “testa o croce”, nel vecchio furbesco milanese, questo giochetto si chiamava, “Crappòn o barchetta”.

Crenna”, letteralmente “ fessura”, è la vulva femminile. Dice il Tessa. “L’è la crenna, in tripudi che buji, che se desbria, in l’ultema allegria”. Traduzione: “ è la fessura in tripudio che bolle, che si scatena nell'ultima allegria”.  Invece la “Crenna di ciapp” è la fessura tra le natiche.

Nelle case di tolleranza, chi si metteva seduto in un angolo e non saliva in camera, non dando così commercio, era chiamato “Cù alègher”,   per cui la frase completa era: “el cantonscel di cù alègher”.

Rimanendo in tema, il “Cù postissi”, cioè sedere posticcio, era una rigonfia tura posteriore nelle gonne per nascondere merce di contrabbando.

Una donna che si dava tante arie, ma che in realtà era una del popolino né più né meno, veniva apostrofata “Damazza de ringhera”.

Lo vedi quello? È un “Dervascatòl”, ossia uno scassinatore.

L’ispettore di Pubblica Sicurezza era detto “Dispettòs”.

Dondina”, cioè poliziotto. Negli ultimi decenni dell’800 il capo della Squadra Volante milanese era soprannominato “ El Dondina”, per la sua andatura dondolante, tanto che gli fu dedicata una canzone popolare che dice: “ El Dondina quand l’è ciocch, el va intorna a ciappà i locch, e i je mena a San Vittor, a sentì quanti hin i or. Eccetera. Anche la guardia scelta della questura era chiamata allo stesso modo.

Dona del sciall”, o “ Vel giald”, era la prostituta, infatti, anticamente queste erano tenute ad esibire uno scialle o velo giallo come distintivo professionale.

Il poliziotto in borghese che setaccia il territorio veniva apostrofato, il “Draga”.

Informazione, delazione, spiata passata alla polizia, dare indicazione per un possibile colpo, era detto dare una “Dritta”. Termine che ancor oggi si usa.

I girovaghi, o i venditori ambulanti che però non disdegnavano compiere, se vi era l’occasione, anche un furto, erano detti “Dritti”.

Numero “Duu” – due – era considerato la prigione di San Vittore, poiché situata in via Filangeri al due. Poteva anche dirsi “ la metà del Quatter”.

Certo che l’ironia non mancava, sapete come veniva apostrofato un mendicante spastico che camminava a saltelli? Era detto “ Elettrich” , mentre il detenuto che si faceva ricoverare all'infermeria come epilettico, era detto “Elettricista”.

Entrada” ( fa l’), indicava fare il furto all'entrata di uno spettacolo, poiché vi era molta ressa, o rubare su un’autovettura.

Evangelista”, non fatevi trarre in inganno, con i quattro Evangelisti non centra nulla, con questo termine infatti  si indicava il vigile annonario, che è poi l’addetto comunale che deve far rispettare i prezzi, i pesi e le misure.

“Fa andà l’ongia”, rubare, sgraffignare con abilità.

A chi vuol cambiare le carte in tavola, ditegli pure: “Fà minga berlicch berlocch”.

Spartirsi il bottino era “Fà torta”.

Truffare, raggirare, frodare, si diceva “Fabbricare”.

Quel lì l’è on “Falcòn”, ovvero un portinaio. Invece un bidello – che oggi non si definiscono più così – era detto: “Falcòn di draghett”.

La fascia dei pantaloni dove si teneva il coltello si diceva “Falzett”.

Rumori corporali sconci erano detti “Fanfara”.

Farfalla”, non si intende l’insetto, ma un biglietto clandestino che  viene fatto volare dalla finestra del carcere.

Farfalloni”, invece, era un altro nomignolo affibbiato ai Carabinieri.

Truffatore, furfante, cioè un “Farisèe”.

Il sempliciotto, l’ingenuo, la vittima di turno era detto “Fasàn”.

Guarda la signora che bei “Fasoeuj”, chiaro che si allude ai gioielli.

Saper frugare delicatamente senza farsi accorgere è “Fass legger”.

Se ti danno un “Fazzoletto”, ti danno un assegno di conto corrente in bianco.

Mandare all'ergastolo è “Fermà l’orelogg”.

Attento perché spara con un “Ferr longh”, un mitra.

La tangente su un affare criminale è chiamata “Fètta”.

Fiàa d’occa”, acquistare merce a rate ma senza l’intenzione di pagarla.

Passare un messaggio segreto in carcere, tra un gruppo d’interessati, era detto: “Fibbia”.

Negli anni trenta, a Milano, era in azione una compagnia di ladri di automobili che, per rubarle, si servivano di un semplice filo di ferro. Dal volgo sono subito stati battezzati la banda del “Fil de ferr”.

Anche tra i borsaioli esiste l’aristocrazia, ebbene quegli aristocratici erano chiamati i “Fini”.

Ti andrebbe una “Fiorentina”? Alt! Sarà meglio prima precisare cosa si intende, perché se ci si riferisce al letto di contenzione del carcere, la risposta è senz’altro un secco no.

Un omosessuale passivo era detto “Flobert”.

Una merce scadente era chiamata “Foffa”. Un antico mercato posto fuori Porta Ticinese, era detto “Mercaa de la foffa”.

Fare il “Foffign” è frodare, ingannare.

Meno male che c’è il “Fond de previdenza”, che però non ha nulla a che fare con l’INPS, ma era l’aiuto che il compare del delinquente in carcere, prestava alla famiglia di questi.

Foraggià” significava svignarsela.

Per indicare l’oro, l’argento o le monete, si diceva “Formaggio o Formaj”.

Nei gerghi militari, il soldato di fanteria era detto “Formiga”.

I teppisti milanesi apostrofano il questurino così: “Formigh de la giusta”.

Il re era apostrofato “Formigone”, mentre “Formigone rosso” era il Presidente della Repubblica.

Ancora sui Carabinieri, apostrofati questa volta così: “ Fratelli Branca”, perché vanno a due a due e perché “brancano” i malfattori

Sei un tipo squattrinato? Allora te ghe “Frècc i pee”.

Oggi te mangiaa la “Fritura”? Ossia, oggi hai fatto sesso?

Gabiola”, gruppo di amici o di complici, banda.

Il “Gabolista” è il truffatore, l’imbroglione. Si dice anche oggi far le gabole.

Attento, c’è in giro la “Gaffo”, ossia la pattuglia.

Come dite voi sbornia? A Milano diciamo “Gaina”, da cui “Gainàtt”, persona dedica all'alcool, al bere.

Invece la “Gainna con i speron”, è una donna piuttosto anziana che vuole mostrarsi giovane.

Dove è stata signora? Sono stata al “Garage”, che, contrariamente a quanto si pensa, era così chiamato l’albergo a ore che la prostituta solitamente frequentava.

È pronta la “Gemella”? Che in questo caso non è una bella ragazza, ma è una valigia opportunamente appesantita, dai truffatori, e pronta per essere scambiata a danno di qualche viaggiatore.

Il “Ghicc”, altro non è che il deretano.  “tremàa el ghicc”, voleva dire aver paura.

Quest’affare per me è troppo complicato, è proprio un “Ghiringhell”.

Com'era apostrofato il vigile urbano a Milano? “Ghisa”.

Occhio a non finire nella “Giardiniera”! Che non è essere messo sottovuoto, ma salire sul furgone cellulare della polizia, impiegato nelle retate.

Gli specialisti del borseggio in tram o in treno erano detti “Giocolieri”.

Hai sentito che Carletto è andato al “Gippa de Beltràmm”; ossia in prigione?

Non hai ancora finito di fare il “Gir del gess” ? cioè fare il giro di tutti i postriboli.

È meglio “Girà la guggia”, ossia squagliarsela a gambe levate.

Capo, lo posso “Gnicà”? Uccidere, schiacciare?

Un’informazione sbagliata che metteva il ladro su una falsa pista era detta: “Gobba o Goeba”.

Nel gergo dei rapinatori milanesi, l’automobile era detta “Gumàda”.

Osserva il riccone dietro di te, ha una bella “Gotta”. Che tu pensi, poveretto, una vera scocciatura! Invece i ladruncoli intendevano dire che ha sulla cravatta una spilla di valore da rubare.

Graffi al martellett”, cioè commettere un furto su un autotreno, dopo aver distratto il conducente.

Bisogna sempre seguire il “Gran sopran”, cioè la Legge.

Nell'antico gergo, lo spioncino della cella si chiamava “Grattaroeula”.

Sei proprio un “Grebano”, vale a dire un delinquente di mezza tacca.

La milanese via “del Guast”, era uno dei centri della malavita organizzata.

Ieri sera il greco è stato “Impacchettaa”. Arrestato.

Ci sono in giro una moltitudine di “Indiàn” a controllare. Questi altri non sono che la Guardia di Finanza.

Anche allora i politici avevano il loro soprannome, e non certo edificante, ma chiarissimo, quello di “Inganna popol”.

Attenzione a non farsi “Intaccaa”, ossia imbrogliare.

Passami “L’ingegnosa”, svelto! Che voleva intendere la chiave falsa.

Una persona ridotta alla fame che, pur di sfamarsi, ricorre a commettere furti, era detta “Làder de pan de mej”.

Se ti dicono che c’è un “Lampiòn”, ti vogliono avvertire che c’è una guardia.

Essere latitante si veniva apostrofati con la battuta “Lattee” – ves del

Chi compiva un furtarello di poco conto, aveva fatto un “Laurà loffi”.

“Lavorà de forchetta”, derubare introducendo nella tasca l’indice e il medio a modo di forchetta.

Mentecatto, stupidotto, incapace, cioè “Lèlla”. Se invece ti rivolgevi ad un avvocatucolo di poco valore, lo chiamavi: “avvocat del lèlla”.

“Lendenòn”, un barbone, vagabondo, male in arnese.

La famigerata cambiale era invece definita come “Lengua de can”.

Per favorire il borseggio al complice, uno gli alzava il bordo della giacca o del cappotto della vittima, questa operazione era detta: “Levà el pes”.

Mentre “Levà i scarp”, era il furto delle ruote dell’automobile.

“Liber master”, per la mala di allora era il Codice Penale.

Nel furbesco milanese il sangue si diceva: “Libera me”.

Borsaiolo che alleggerisce le tasche altrui era il "Ligera”, che ha dato il nome anche a una banda di delinquenti.

Possiedi una barba ben coltivata, allora hai una “Lisciòsa”.

Il “Lòcch” era il duro della mala milanese. Un teppista.

Loeugia”, era un modo piuttosto volgare per apostrofare la meretrice. Scrofa.

Chi è che ha mollato un “Loffa”? Ossia un peto silenzioso ma molto puzzolente.

Un soggetto malato, brutto, equivoco, cattivo, era detto “Loffio”.

Lucerna” era un altro appellativo dato al Carabiniere.

Ho acquistato una “Lugànega”, che nel gergo malavitoso era una pistola di marca.

La guardia o lo sbirro erano definiti “Lughera” o “Lugher”.

Speriamo di non finire al “Lugubrio”, cioè all'obitorio.

Giorno era detto “Lùster”. Pianificare un furto si diceva “mett in lùster”.

Un giudice istruttore ritenuto un furbastro, lo si definiva “Macciavèll”.

Macinato” era detto un tipo losco o un lazzarone.

Madama”, termine ancor oggi in voga, è la Polizia o la pattuglia in perlustrazione.

Invece “Madamìn” era un termine per identificare la tenutaria di un bordello.

Occhio, sta arrivando il “Maggiordom”, che non è il classico maggiordomo, ma il commissario.

Il “Maggiorengo” invece è il capo guardia delle carceri, o il prefetto.

Il notaio era apostrofato “Magnacarte”.

Un uomo astuto, esperto, abile, era detto “Mago”; vi ricordate la canzone di Gaber del Cerutti Gino? In una strofa è detto: “ il suo nome era Cerutti Gino, ma lo chiamavan Mago, gli amici eccetera, eccetera”. Anche il portinaio veniva apostrofato così.

Mammalucch”, villanzone, farabutto.

Se vado dal “Manegh” sono finito. Il manegh altri non è che il boia.

Se invece si vuole intendere una ninfomane, si diceva “Magna manegh”.

Chi intrallazza, magari con qualche funzionario governativo, si dice essere in

Manetta”.

Mangià l’erba da la part di radis”, uno dei modi per dire di essere andati sotto terra, morti e sepolti.

Un truffatore era anche un “Mangiacaparra”.

Mangiare il fritto” era un modo per dire che avevi fatto sesso.

Arriva il “Maràsch”, cioè il maresciallo.

Marcaa in ross”, era il pregiudicato marcato in rosso sul certificato penale.

La “Marchetta” era un piccolo disco di metallo con le quali le meretrici tenevano il conto delle prestazioni effettuate; facile l’accostamento  “Fa marchetta” per dire prostituirsi.

Il questurino era anche chiamato “Mardochee”.

“Maresciall”, cioè maresciallo? Assolutamente no, infatti, nella malavita milanese era così chiamato un coltello ricurvo da loro usato.

Diceva un boia all'altro: guarda che la “Margarita”, sia ben saponata. Avrete capito che si parla della corda della forca.

Margherita”, nome  o fiore? Nel gergo furbesco nessun dei due, ma “Sfojàa la margaritta” significa sottoporre a un interrogatorio di quelli duri.

Per lui è arrivata la “Margniffa”, cioè la morte.

In quella villa c’è una bella “Marmotta”, dobbiamo svaligiarla. La marmotta in questione altro non è che la cassaforte.

Dove hai nascosto il tuo “Marsuppi”? Il tuo denaro, il tuo gruzzolo?

Fare la “Mascarada” è fare una rapina mascherati.

Mi raccomando, stai lontano da “Master Peder”! Perché? È il boia.

Meco de la giusta” era il questore, mentre “Meco de la bola” era il sindaco.

Un individuo viscido, sempre sulla scia dei potenti si apostrofava “Menacoa”.

Se vedete una donna sculettare, ebbene la “Mena el fettòn”.

Nel vecchio gergo “Mentin” era l’orologio.

Guardati dal “Meo” perché potrebbe divenire “Merlos”. Da spasimante ad amante, magari proprio di tua moglie.

Merlino”, che però in questo caso non è il mago ma il ladro esperto.

Quando qualcuno fa un lavoro fatto male, ditegli pure che ha fatto un “Mestee con foeura i ball”.

“Mett giò”, è andare a fare sesso in un albergo a ore.

Milanesa, lavurà a la milanesa” , significa derubare qualcuno con il taglio della tasca.

Mina” non è l’ordigno esplosivo e neppure la grande cantante, ma voleva significare donna procace; ragazza; amante; ragazza di vita. Una canzone di E. Jannacci dice: “ Uei, t’el lì ‘l pistola, ghà la mina che la rola”. Traduzione: guardalo lì lo scemo, ha la ragazza che batte il marciapiede.

Un “Miscèe” è un vecchio libidinoso a caccia di sesso a pagamento.

Ti trovi nei guai? Allora “te se a Mòll”.

Un individuo goffo, facilmente raggirabile era nominato “Morlacch”.

Mort – avegh el mort in cà”, cioè, avere ancora presso di se la refurtiva.

L’essere rilasciati, mollati, era detto “Mularin”.

Il cappellano del carcere era chiamato “Mulengo”.

I consiglieri della Corte di Cassazione, dalla mala meneghina erano apostrofati  come “Mummie”.

Il cacciavite da scasso si diceva “Nàn”.

Al ragazzino moccioso e un po’ sbruffone gli si diceva: “Nariggiatt”.

Napoleoni” erano gli agenti di polizia nella Milano del dopoguerra.

Il segnale convenzionale che non cera nulla da fare era “Nebbia”.

Il “Negher” era il ladro che esercitava sui treni.

Negozi de la passarina”. C’è bisogno di traduzione?

Il complice del borsaiolo che distrae la vittima prescelta; la sentinella, il palo, era detto “Nona”.

Nell'antico furbesco, l’Europa era detta “Nostra”.

“Fa l’Ocarina”, segnalare un pericolo mediante un fischio apposito.

Gli “Oggiaj de Cavour” altro non erano che le manette.

Il portinaio della casa di tolleranza era detto “Omm di donn”.

Il cuore, poiché batte, era detto “Orelògg”.

Orfanej”, che non sono poveri orfanelli, bensì una banda di ladri.

Lo zucchero portato dai contrabbandieri era detto “Oss da mort”.

I dadi da gioco erano detti semplicemente “Oss”.

Il “Pacèl” era l’amante di una padrona di un postribolo.

Pagà”, scontare in prigione il proprio debito alla giustizia; “Paga”, il carcerato.

Se avete debiti da pagare usate il “Pagadèbitt”, che non è una carta di credito speciale, ma un bastone con il quale i nobili usavano “pagare” i creditori.

Il mediatore di matrimoni, un tempo presente anche da noi, si diceva:  “Pagnacuu”.

Palazzetta” era l’ergastolo di Porta Nuova nella Milano del 1800.

L’Atto giudiziario era detto “Palpèe”. “Gh’è rivàa a cà el palpèe”. È arrivata la citazione.

Palpeggiare una ragazza era detto “andà a Palpignana”.

Paltorèll de legn”, ossia la cassa da morto. Uno spaccone era solito minacciare così: “ Staa atent che te foo al paltorèll de legn”.

Un uomo molliccio, una pappa molla, uno smidollato era detto “Pan pòss”.

Papa”, non è il Vescovo di Roma, ma era così chiamato il giudice in quanto le sue sentenze non erano discutibili, proprio come un dogma papale.

Un capitano di giustizia era invece detto, sempre nel gergo furbesco, “Papà”.

Una coppia di guardie era la “Paranza”.

Quando chiedete il passaporto provate a dire: mi rilascia il mio “Passa balord”?

Se la “Passarina” è la vulva, il “Passarin” è il pene. Ecco perché il donnaiolo era definito “caccia passere”. Sempre ovviamente nel parlar furbesco.

Passatèmp”, molto ironicamente era il tribunale.

Un uomo privo di energia, di nerbo, era considerato un “Pattamolla”.

Pedigree”, l’incartamento che riguarda e raccoglie i precedenti di un pregiudicato.

Lo sbirro era anche chiamato “Pelucch”.

Peltrèra” è il banco dove si siedono gli imputati.

Il poliziotto e il cameriere, era apostrofati “Pepiatt”.

Uno straccione, un miserabile, anche moralmente era detto “Perdabàll”.

Il “Persegh de pelà” era la vittima da derubare.

Far debiti e magari impegnare qualche oggetto era detto “Pertegà”.

Pescadòr”, cioè borsaiolo. “Pescadòr de santa gesa”, borsaiolo che ruba in chiesa.

Un borsaiolo in fondo cosa cerca col furto se non i “Pessitt”? Cioè i soldi?

Pes e contrapes”, nel Porta e nel Belli sono i testicoli.

A prendere la medicina dove vai? Dal farmacista, no, dal “Pestapèver”.

Piantà ciòd” voleva dire indebitarsi.

La guardia carceraria era anche apostrofata “Piantella”.

Pic” – “ Ves a pic”, essere al verde, non avere soldi.

È “Picco”, ossia ricercato dalla polizia.

Sborsare denari si diceva “Piccià”.

Pilàtt” è il capo, il prefetto, il notabile. Mentre la “serva de Pilàtt” è una donna sudicia, schifosa. “Pilàtt in pontificae” è il re dei sudicioni.

Pinza” la mano, e per estensione il borsaiolo. Così come “Pironista”.

La “Piòda” era l’osteria.

Piotta”, dire “Stemm in piotta” equivaleva a stiamo allerta.

Una persona di poco conto, uno sciocco, uno piuttosto sleale era apostrofato col termine di “Pistola”.

Inserzione: la ditta tal dei tali sta cercando un “Pitagora” con esperienza. È semplicemente un ragioniere.

Il giudice istruttore si prendeva del “Pittor”.

Pizzicare” è togliere abilmente il portafoglio a qualcuno.

Pollèe” è il carcere, mentre il “Pollin” era la guardia.

La “Porchèra” era un locale adibito a incontri sessuali extra coniugali. Altri nomignoli erano “càarbona” o “foinèra”.

Il trucco mediante il quale si metteva una finta rastrelliera per biciclette che poi, una volta piena, si asportava, era detto “Postègg fantasma”.

Pròlonga”, ossia bagno penale.

Un celebre ritrovo della mala milanese era al “Pulegg”.

Puntadòr” non è il ciclista che punta l’avversario, ma il pubblico ministero.

Un timoroso, un pavido era detto “Pusi”.

Quaglia”, magari arrosto! No perché voleva dire portafoglio. “Rostì el quaia”, è rubare il portafoglio.

I questurini che “abbracciano” i fermati per arrestarli, erano chiamati “Quei de la brasciàda”.

Il ricattatore era detto “Quietista”.

Il venditore di acquavite si diceva “Raccagnatt”.

I carcerati a volte comunicavano battendo colpi sul muro, questo sistema era detto “Radio boiolo”, conosciuto anche come “ radio carcere”.

Un gruppo di guardie, una squadra di poliziotti  e, a volte, lo spionaggio, era detto “Rama”.

Rampin” era il ladruncolo.

Una squadra di agenti si diceva “Ranca”.

Odor de “Ransc” era sentire odore di pericolo.

La borsa era detta “Redin”. “Intant che ghe se fa el redin”, intanto che gli rubiamo la borsa.

L’amnistia era chiamata “Remission”.

L’omicidio era fare un “Requiescat in pace”. Quindi “Vess titolar de on requiescat”, significava aver subito una condanna per omicidio.

Ribattin” era la rivoltella o l’arma da fuoco automatica.

Ribonsa o Ribonza” era la refurtiva, la cosa rubata.

Riconoscenza”, era così chiamata la parte di bottino che aspettava a ciascun complice. ( a volte anche “ gratitudin”).

Il famoso Monte di pietà, era detto “Ricorrente”.

La refurtiva rubata di notte si diceva “Ròba de luna”.

Lo sfruttatore di donne, il magnaccia era apostrofato “Rocchetèe”.

Lucrare, combinare affari, magari non sempre puliti, era detto “Rodà”.

Ancora una volta i Carabinieri, qui chiamati “Rodai”.

Rollà o Rollare” era battere il marciapiede.

Una pistola automatica che sgrana i colpi era chiamata dalla mala milanese con il termine “Rosari”.

Rost”, buono a  nulla.

Sacch de carbon” era il prete perché vestito di nero.

Il borsaiolo che si accontentava di poco era detto “Sacchetta”, se era anche alle prime armi, era un “Tira sacchett”.

Salta sgabej” lo si diceva a un sergente quando si arrabbiava di brutto.

Sanmichelisti” non erano devoti di San Michele ma ladri specializzati nello svaligiare ville e appartamenti.

Chi “pescava” nelle cassette delle elemosine nelle chiese, era soprannominato “San Peder”.

Andare a “San Quintin” voleva dire andare a finire male.

L’imbroglione, il truffatore era apostrofato “Santangiolin”.

Santificetur” era l’ipocrita.

Santo”, dà el sant, cioè avvisare, preavvertire del pericolo.

La lima era chiamata “Saracca”.

Il “Saraff” era il compare sostenitore al gioco dell’imbroglione per acchiappare i gonzi e creduloni.

Sarasù” è, ovviamente, la prigione.

Un delinquente alle prime armi, perciò ancora inesperto, era chiamato dai complici “Sbarbaa”.

Andiamo a far baldoria, ossia a “Sbavazzà”.

Sbianchì” era l’atto del difendere, dello scagionare.

Il mitra era detto “Sbròffa”.

Qualcuno che si nasconde o scappa perché inseguito è detto “Scappin”.

Scapuzzà” è l’assassinare.

Un gruppo di agenti era detto “Scarafaldom”.

Fa “Scaraffòn” è fallire il colpo e darsela a gambe.

Giocare il tutto per tutto era “Scartà el bagàtt”.

La refurtiva o la merce d’indubbio valore era detta “Scèlpa”.

Fare “Sciambola ricamada” era fare baldoria con donne.

Sciampa”, è il ladro che vuole sempre di più, che non si accontenta.

Lo “Sciampin” è il ladro, lo "Sciampon” è il ladro incallito.

Una donna elegante era una “Sciancona”.

L’accompagnatrice, la mezzana, era detta “Sciaperòn”.

Un “Sciàtt” è un individuo petulante, che non demorde nelle discussioni.

Rimasto senza soldi, derubato, è uno “Scoppià”

Nella Milano fra le due guerre, uno “Scorno” era un furto con scasso.

Un giudice era detto “Scorpi”, mentre “Scorpionà” era arrestare, processare.

Scovìtt” prostituta ospite di una casa di tolleranza, nella Milano di fine ‘800.

Il furto era detto anche “Scrùsc”, mentre “Scrusciass” voleva dire acquattarsi per sorprendere.

“Scusì” era uccidere di coltello.

Un interrogatorio che comprendeva percosse era detto “Sderenada”.

Sto aspettando il “Senza gamb”, oh poveretto! Quale poveretto, è l’ascensore!

Mi sono fatto un “Serpent”, cioè un anno di galera.

Lo “Sferra” era un coltello ricavato da un cucchiaio, nelle carceri.

Evadere o emigrare si diceva “Sforaggià”.

Lo “Sfrosadòr” è il contrabbandiere, che vive sullo “Sfròs” per frodare il dazio.

Se nel dialetto milanese “Sgobbà” significa lavorare, per la malavita era invece rubare.

Sgurà la preja” è andare in fallimento.

Sifolott de menta” era un uomo che vale poco o nulla.

Far moine, fingere o il muoversi con moine per sedurre, si diceva “Simonà”.

La “Simonna” era invece la strega.

Passami la “Slarga”, che è il crick per allargare le sbarre.

Slongà el mur” era scappare a ridosso del muro per non farsi scorgere.

Slongà la vita” invece, era finire impiccato.

Smerdà” era il lubrificare la chiave falsa col grasso.

Nell’ottocento si usava uno stiletto molto affilato detto “Smilzo”, invece se diciamo “Smilza” si intende amante. Dice il Tanzi in un suo versetto: “Chi per andà in del trep, chi a michegià la smilza”; la traduzione è, chi va dove c’è folla, chi ad amoreggiare con la ragazza.

Unirsi a una compagnia di malviventi si diceva “Sommàss”.

“Sonapiffer” si diceva di uno indebitato fino al collo.

Un pluripregiudicato era definito “Sorabollaa”.

Se eri sotto processo eri “Sott  asee”.

La “Spada de foeugh” è la chiave falsa.

Attenzione perché c’è in giro lo “Spicciolista”, il ladro di biciclette.

Stellòn” era chi faceva la guardia per i ladri, il palo insomma.

Stellònn” erano invece quelle ragazze ingaggiate da un locale per attirare i clienti.

Un autista trasandato o maldestro era detto “Strasciacantòn”.

Streppa bottòn “ altro modo di definire i Carabinieri.

Lo “Strill” era la sentenza emessa dal giudice, e anche la notizia di cronaca nera.

Vado a “Tacchettà”, cioè vado a rubare.

Un vigile urbano presuntuoso e che fa pesare la sua autorità con protervia era apostrofato “Tacchino”.

Quando andate per strada, attenti al “Tajacantòn”, perché potrebbe saltar fuori il bandito che assalta agli angoli della strada.

Tutti prima o poi andiamo dal “Tajapioeucc”, il parrucchiere.

Il “Tajon” è una grossa cesoia da scasso.

Talebo”, equivale a essere indigente, povero, non avere soldi. Ecco una frase in gergo di uno scassinatore milanese – non saremo più a talebo quando le marmotte si apriranno per noi -, che tradotto, significa. Non saremo più senza soldi quando si apriranno le casseforti.

Tapascià” è scappare.

Spettegolare è “Tarlescà”

A “Taroch”, essere convocato dal direttore del carcere per punizione.

La prigione era anche detta “Teàter”.

Tintarella di luna”, termine per indicare un evaso, fuggito via tetti.

Un vecchietto che si tinge i capelli vistosamente era detto “Tintoretto”.

Tirar su le calze”, cercare di far parlare una donna della malavita.

Il “Tirador de spada” non è uno spadaccino, ma un mendicante che allunga la mano per chiedere l’elemosina. Così si apostrofa anche un borsaiolo.

Spazza “Tombos”, ladro di cantine. “ Vegnì su de la tombosa”  è rubare salendo dalla cantina.

Fa el “Tovaja”, fare lo gnorri.

L’autobus era detta “Trafumm”.

Tranatt” era un frequentatore di osterie.

L’omicidio era anche detto “Trapass”. “Vess titolar d’on trapass sul liber master”, equivaleva a dire di essere titolare, sul certificato penale, di un omicidio.

La Pretura era definita “Tribunal  di fasoeu”.

Tributaria” è, in tono scherzoso, la moglie che controlla la busta paga.

Arriva la “Trotta”, la pattuglia di gendarmi.

Tuf” è la pistola.

Una rapina a mano armata era detta “Tupìch

Andare in “Turnè”, nel gergo della mala era viaggiare per più giorni sui treni a scopo di rapina.

Un insulto del gergo popolare per indicare un vecchio rimbecillito, era rimbrottarlo dicendogli “Uei, baggina!

Qui invece arriva la “Ulla”, che è la pattuglia in borghese.

l’”Usignoeu” era un arnese da scasso.

Usmà odor de ransc”, fiutare l’odore del pericolo.

La “Valisetta” era un ordigno per tagliare le casseforti.

Una signorina elegante nel gergo milanese dell’800 era detta “Vaschetta”.

Vasco de pila” era il banchiere.

Vèder” è il brillante, il diamante.

La “Vedova” era la forca, per cui dire “sposà la vedova” significava finire sulla forca. A Milano la Vedova o Vedovella è anche la fontanella pubblica.

Carletto ha fatto “Vendemmia”, ossia ha fatto un anno di galera.

Il borsaiolo, quando ha eseguito il furto e tutto è andato per il meglio, dice al complice: “Venduu”.

Viennesa” è una cassaforte di tipo antiquato.

Vin” si diceva della merce rubata; furto.

Violinista”, nel gergo della mala milanese non era chi suonava il violino, ma un ladro specializzato nei furti di destrezza. Invece “ fa sonà el violin” voleva dire di sparare, e allora in questo caso il violino era la pistola.

Un imbroglione era chiamato anche “Zanza”.

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Zappador“, era il pubblico ministero che mirava a condannare L’imputato, mentre il “Gran zappador“ era il procuratore generale presso la corte di Appello.

Un ladruncolo alle prime armi era detto “Zerb“.

Questo breve lavoro termina qui, molti sono ancora i termini che caratterizzano il parlar furbesco e gergale, ma per i curiosi rimando ad apposita letteratura. 

Bibliografia:

Dizionario storico dei gerghi italiani [ dal quattrocento a oggi] di Ernesto Ferrero / Arnoldo Mondadori Editore.
Il gergo della mala / di Giovanni Luzzi / Libreria Meravigli Editrice.

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