Canova e Thorvaldsen, due canoni di Bellezza in mostra a Milano
Due tra i più grandi scultori dell’800, due padri della Plastica moderna, Antonio Canova e Berthel Thorvaldsen, sono i protagonisti della nuova grande mostra di Gallerie d’Italia a Milano.
All'interno del palazzo di Piazza della Scala, dal 25 ottobre 2019 al 15 marzo 2020, è possibile compiere un vero percorso, storico, sensoriale e tematico, tra le opere dei due grandi maestri e varie testimonianze dell’epoca da loro vissuta. Curata da Stefano Grandesso e dal professor Ferdinando Mazzocca, la mostra è organizzata da Gallerie d’Italia in collaborazione con i due musei da cui arrivano i corpus più consistenti di opere, l’Ermitage di San Pietroburgo per quanto riguarda Canova e il Thorvaldsen di Copenaghen per l’amico-rivale. Attraverso circa centosettanta opere, tra sculture, dipinti, incisioni e opere di Arte applicata, provenienti da tutto il Mondo, si può comodamente affermare che la mostra sia una perfetta ricostruzione, non solo di un’epoca, ma anche di uno stile, il Neoclassicismo, e di un culto che, per quanto riguarda Canova, si affermò dopo la sua morte e che lo condusse, già in epoca romantica, a essere considerato come il Canone di Bellezza per antonomasia, il modello che ogni scultore doveva seguire.
Antonio Canova (Possagno 1757 – Roma 1822) e Berthel Thorvaldsen (Copenaghen 1770-1844) furono contemporanei, amici e rivali allo stesso tempo. I due ebbero modo di conoscersi nella città che, più di ogni altra, li avrebbe influenzati, complice il suo passato e le sue testimonianza archeologiche uniche al Mondo: Roma. Canova vi giunse nel 1781, stabilendovi un vero e proprio atelier, e rimanendovi fino alla morte, mentre Thorvaldsen arrivò nella Città Eterna nel 1797 e vi rimase, salvo alcune parentesi, fino al 1838, quando tornò in Danimarca.
I due scultori, nella Roma dell’epoca, si contendevano le commesse, per lo più provenienti dalla nobiltà legata al Papa e dagli stessi pontefici, Pio VII, Leone XII e Pio VIII, che amavano le antichità al punto tale da creare apposite nuove sale dei Musei Vaticani dedicate alle sculture che, in quegli anni, venivano alla luce. E che amavano anche farsi ritrarre in busti dalle fattezze classiche, da scultori proprio come Canova e Thorvaldsen. Bisogna sottolineare una differenza, basilare, tra i due: Canova giunse a Roma come scultore già affermato, reduce da un apprendistato veneziano presso la bottega di Giuseppe Bernardi, detto il Torretti, uno dei massimi scultori del ‘700 veneto, che ebbe modo di lavorare accanto a personaggi del calibro di Giambattista Tiepolo e Giorgio Massari, mentre il danese arrivò in Italia, da un ambiente artisticamente molto periferico e ancora legato al passato, come la Danimarca, alla ricerca di ispirazione, ed è certo che l’avesse trovata non solo nell'antico, ma anche in Canova.
Obiettivo della mostra è proprio questo, mettere in parallelo le due vicende romane di Canova e Thorvaldsen, esponendo le differenze e le affinità tra di loro, ma evidenziando anche quella che sarebbe stata l’eredità dei due, che, non a caso, iniziarono a essere definiti “classici moderni”, ovvero due artisti che, stilisticamente, guardavano all'antichità romana ed ellenistica, ma, tematicamente, la attualizzavano, calandola nei tempi da loro vissuti e, soprattutto, cercando non più solo il Bello ideale teorizzato da Winckelmann ma, anche, l’introspezione e quella parola magica che avrebbe segnato la fine di un’epoca e l’avvento di una nuova: il Sentimento. Si potrebbe dire che, in fondo, Canova e Thorvaldsen siano stati i primi scultori romantici in Italia, che avrebbero aperto la strada a personaggi come Pietro Tenerani, Gaetano Monti e, più avanti, quel Vincenzo Vela che sarebbe stato uno dei simboli del Romanticismo insieme a Francesco Hayez e a Giuseppe Molteni. Le loro sculture mitologiche non erano esclusivamente narrazione didascalica ed estetica delle vicende dell’Olimpo, ma analisi psicologica e sentimentale della potenza dell’Amore e della Bellezza.
La mostra, non a caso, si articola in due parti. La prima, dedicata alle vicende di Canova e Thorvaldsen a Roma, ai loro atelier e all'ambiente che li circondava, dalle grandi commesse ai rapporti con Papi, uomini politici e di Cultura. In questa parte della mostra, ampio spazio è dato ai ritratti che numerosi pittori dell’epoca fecero ai due maestri. Tra i nomi spiccano Andrea Appiani, Angelica Kaufmann, François Xavier Fabre e molti altri, che eternarono quelli che, per un’epoca, furono simboli e punti di riferimento.
Non mancano nemmeno riferimenti ai grandi amici di una vita, come, per Canova, furono Ugo Foscolo, Vittorio Alfieri e Leopoldo Cicognara, letterato e critico, mirabilmente ritratto, quest’ultimo, da Ludovico Lipparini in una posa classica e solenne. Anche le raffigurazioni degli atelier romani dei due non mancano di suggestionare il visitatore, come il piccolo dipinto in cui si nota, sullo sfondo di un salone pieno di grandi sculture mitologiche, il papa Pio VII che osserva, affascinato, le sculture del maestro di Possagno. In parallelo, sono esaltate sculture allegoriche di Thorvaldsen che raffigurano il rapporto tra la sua Danimarca e gli dei dell’Olimpo, in nome di una nuova epoca della scultura nordica, ora come non mai figlia dell’antichità greca e romana.
Del danese, si evidenzia anche la vita quotidiana, come ben evidenziato dal bellissimo dipinto di Ditlev Blunck che raffigura un gruppo di artisti danesi in un’osteria romana, loro punto di ritrovo nella Città Eterna: Berthel è il primo a destra, riconoscibile dai capelli lunghi e dagli intensi occhi azzurri immortalati, nelle stesse sale, da altri pittori scandinavi allora presenti a Roma, i quali lo consideravano non solo come un maestro, ma quasi come un Dio. E questa è la logica conclusione della sezione, il culto, quasi divinizzato, dei due maestri. Ciò è particolarmente evidente per Canova, che divenne, per la comunità artistica neoclassica che stava aprendo le porte al Romanticismo, un personaggio degno di un culto post-mortem. Due opere simboleggiano questo culto: la prima è il grandioso marmo di Pietro Ceccarini, raffigurante un Canova divinizzato che accarezza un busto di Zeus, mentre la seconda è la piccola tela raffigurante i suoi funerali all'interno della scuola dei Frari a Venezia, in cui la sua urna è posta ai piedi di quello che è uno dei capolavori del Rinascimento italiano, l’Assunta di Tiziano, quasi a sancire una continuazione nel pantheon artistico italiano tra passato e presente.
La cerniera con la seconda parte è costituita dalle sculture poste al centro del salone. Qui ci troviamo di fronte al primo grande confronto, mai tentato finora, tra i due scultori, attraverso il tema delle Grazie. Circondati da sculture di Tenerani e Monti, i due più degni eredi di Canova e Thorvaldsen, i due gruppi statuari catturano l’attenzione per la loro perfezione formale, frutto della lezione classica. Possiamo dire che le Grazie siano il Canone di bellezza per i primi decenni del XIX secolo. Canova scolpì il suo gruppo nel 1825-27, mentre Thorvaldsen poco prima, tra il 1820 e il ’23, arricchendolo con la sensuale figura di Cupido. Si parla di Bellezza ideale, ma non idealizzata, in quanto i due ritrassero figure del loro tempo, ispirandosi alla classicità e alla perfezione delle sue forme, dopo aver lavorato, elemento rivoluzionario, questo, su un modello preparatorio in gesso. C’è, però, del sentimento, visto che le figure si guardano tra di loro, rinunciando alla fissità classica, come in cenni d’Amore, mediati, nel gruppo del danese, dalla presenza di Cupido. Se il gruppo di Canova è più canonico, quello di Thorvaldsen è più moderno e innovativo, potente nella sua carica sentimentale ed erotica espressa dal movimento delle gambe delle figure, che sembrano danzare. E questo gruppo fu, proprio, una delle prime rappresentazioni della Danza nella Storia dell'Arte!
La seconda sezione si muove attraverso un costante confronto tra i due maestri, mediato dalla presenza di sculture dei loro eredi, Tenerani, Monti e Pacetti, nell'ambito mitologico e storico. Tramite questi capolavori scultorei, abdicò il Neoclassicismo a favore del nascente Romanticismo. La sezione si apre con una serie di ritratti, ispirati ai busti dell’antichità, di un personaggio che affascinò entrambi gli scultori: Napoleone Bonaparte. Entrambi furono suoi seguaci, e lo ritrassero in differenti pose: se Canova si ispirò alla statuaria tardoantica dell’epoca dei Severi, Thorvaldsen guardò ad Augusto in un busto che lo raffigura in gloria, con un’aquila e un elemento che pare evocare la pelle di leone di Ercole. La fissità dello sguardo freddo, immobile ed eterno, del Napoleone del danese è uno dei precedenti per le erme decorative di epoca liberty, ma anche per la statuaria ufficiale mussoliniana di epoca fascista, di Wildt e Andreotti.
A seguire, il parallelismo inizia a strutturarsi attraverso la figura di Venere. La dea della Bellezza è raffigurata da Canova secondo il canone ovidiano della donna che esce dal bagno e si copre per non essere osservata da sguardi indiscreti, un po’ come una novella Susanna alle prese con i vecchioni della narrazione biblica. Una Venus pudica, per intenderci, che rappresenta lo stupore di ogni comune mortale davanti alla bellezza perfetta della Dea, molto romantica e molto diversa da quella vincitrice raffigurata, classicamente, da Thorvaldsen, mentre mostra il pomo della Discordia assegnatole da Paride.
Il confronto prosegue con le raffigurazioni di Amore e Psiche, tema di passaggio tra Neoclassicismo e Romanticismo per il suo soffermarsi sul sentimento tra i due. Accanto alle bellissime rappresentazioni su tela di Gerard, Comerio e Giani, i due gruppi di Canova e Thorvaldsen si stagliano nella loro perfezione formale all'interno della sala. Di nuovo, il veneto appare più romantico del danese: nel gruppo canoviano, le figure si muovono, si abbracciano e sembrano mostrare attenzione più sugli aspetti simbolici, dalla farfalla, allegoria dell’anima, al vaso, mentre quello di Thorvaldsen appare più freddo, in nome di una maggiore purezza formale e di una spiccata sensualità.
Anche la figura di Ebe ha sempre affascinato sia Canova che Thorvaldsen, pur mancando una tradizione iconografica classica riguardante la coppiera degli Dei. Le due statue dei maestri sono affiancate a dipinti di Gaspare Landi e Gavin Hamilton, artista inglese che fu uno dei primi ammiratori di Canova in terra britannica. Quella canoviana è sensuale, con le vesti che aderiscono al corpo dalle forme perfette, e riccamente ornata, come testimonia la coppa dorata che regge nella mano sinistra, mentre quella del danese è più fredda e malinconica.
La conclusione è affidata a una sala dedicata alla riproduzione del fregio che Thorvaldsen realizzò per Napoleone, in origine destinato al Quirinale, raffigurante L’ingresso di Alessandro a Babilonia, e poi collocato in una delle sale di Villa Carlotta a Tremezzo, grazie all'intervento del primo grande collezionista delle loro statue, il conte lodigiano Giovanni Battista Sommariva. Accanto alla riproduzione del fregio, su cui forti furono le influenze dell’Ara Pacis di Roma e del Partenone di Atene, sono collocate statue di Canova appartenute al Sommariva e un suo bellissimo ritratto, del francese Preud’hon, ispirato a quelli dei nobili inglesi eseguiti nel secolo precedente da uno dei più grandi pittori del Settecento europeo, Pompeo Batoni.
Un’ultima appendice è la parte dedicata all’eredità romantica di Canova e Thorvaldsen, con il Fauno di Tenerani ispirato ai ritratti di Pan romani ed ellenistici, ma già intriso di pathos, e la chicca finale, opera del 1819 di Thorvaldsen, in cui lo scultore danese ritrasse, come un patrizio romano, il plenipotenziario austriaco che segnò la fine dell’epoca napoleonica, il conte Klemens Von Metternich. Questo ritratto fu il segno della fine di un’epoca, ma del proseguimento di stilemi e linguaggi artistici destinati a durare per l’intera età romantica.
Canova – Thorvaldsen. La nascita della Scultura moderna
Gallerie d’Italia. Piazza della Scala 6, Milano
Orari: martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9.30-19.30; giovedì 9.30-22.30; lunedì chiuso
Biglietti: Intero 10,00 €; ridotto 8,00 €