In ricordo di Germano Celant: il critico dell'Arte povera
L’epidemia di Coronavirus, tra le tantissime vittime italiane, ha falcidiato una generazione ma ci ha anche portato via alcuni personaggi famosi, pezzi di Storia della nostra Cultura, come l’architetto Vittorio Gregotti. Mercoledì ci ha lasciato un altro grande intellettuale, Germano Celant, critico d’Arte che, per primo, coniò la definizione di “Arte povera”.
Germano Celant. Una personalità fuori dagli schemi
Germano Celant era nato a Genova nel 1940, da una famiglia di origini modeste. Il padre lo avrebbe voluto ingegnere, ma lui, andando in controtendenza rispetto alle decisioni dei genitori, si laureò in Lettere all'Università del capoluogo ligure, dove fu allievo di Eugenio Battisti. Subito affascinato dal Mondo della Storia dell’Arte, Celant mosse i primi passi nelle gallerie genovesi, rivelandosi un genio precoce: a soli ventisette anni, nel 1967, divenne critico e ideologo del Movimento dell’Arte Povera.
Questa nuova tendenza era basata su un tipo di Arte che partisse dal Concetto e che si sviluppasse, poi, sulla riappropriazione del rapporto tra Uomo e Natura, attraverso un nuovo significato di “fare Arte”, basato sul valore profondo del gesto creativo spontaneo, frutto non più solo di introspezione, ma anche di ricerca delle nostre radici, quasi al confine con l’Antropologia Culturale. L’Arte Povera era una reazione venutasi a creare, si guardi caso, negli anni della Contestazione studentesca, alla vigilia di quel 1968 che avrebbe cambiato il Mondo. Era una volontà di reagire a un’Arte stereotipata e consumista, come lo era la Pop Art, per esempio, e Celant riuscì nell'intento. Organizzò la prima mostra dell’Arte Povera nella sua Genova, alla Galleria La Bertesca, in cui coinvolse i protagonisti del nuovo movimento, come Alighiero Boetti, Yannis Kounellis, Pino Pascali e Luciano Fabro. Queste le parole di Celant nel definire la nuova forma artistica:
“Là un’arte complessa, qui un’arte povera, impegnata con la contingenza, con l’evento, con l’astorico, col presente, con la concezione antropologica, con l’uomo ‘reale’ (Marx), la speranza, diventata sicurezza, di gettare alle ortiche ogni discorso visualmente unico e coerente (la coerenza è un dogma che bisogna infrangere!), l’univocità appartiene all'individuo e non alla ‘sua’ immagine e ai suoi prodotti”
Arte Povera significava scagliarsi contro la mercificazione consumista della prassi creativa, attraverso l’utilizzo di materiali elementari, estrapolati dal Mondo della Natura: spesso il Movimento usò elementi organici, addirittura deperibili, per cercare di tornare alla ricerca del nostro rapporto con l’universo da cui tali scelte provengono. Fu un successo di pubblico e di critica, tanto che l’Arte Povera rimase uno dei punti di riferimento della Cultura italiana del Secondo Dopoguerra.
Negli anni ’70 si dedicò alla stesura di famosi saggi sul nuovo Movimento. Nel 1977 venne chiamato a New York come curatore della sezione dedicata al Novecento del Guggenheim Museum: in questo periodo, contribuì a far conoscere ai ricchi collezionisti americani l’Arte Povera e i suoi esponenti. Tra gli anni ’80 e i ’90, Celant si dedicò alla curatela di mostre in Europa e negli Stati Uniti in cui mirò a creare un ponte culturale tra i due continenti. Nel 1996, a Firenze, realizzò la prima Biennale in cui sviluppò un concetto di Arte inteso come sviluppo linguistico legato all'ambiente che lo circonda. L’anno successivo, Celant venne nominato Direttore Artistico della Biennale di Venezia. Per la mostra da lui curata, raccolse opere di artisti viventi, provenienti da differenti movimenti, condizione fondamentale per la sua dialettica, sempre mirante al confronto: scelse Lichtenstein, Jim Dine e Claes Oldenburg per i loro differenti contributi stilistici ma anche per il loro approccio umano, fisico, alla modalità di “Fare Arte”.
Con il nuovo secolo, Celant iniziò a collaborare con L’Espresso, ma non rinunciò certo alla sua attività di curatore di mostre, tanto da ottenere incarichi come quello alla Fondazione Vedova di Venezia o quello di Direttore Artistico della Fondazione Prada di Milano, presso la quale organizzò esposizioni con note personalità dell’Arte, del Cinema e dell’Architettura. Notevole fu anche la mostra, da lui curata, per l’Expo 2015 di Milano, sul rapporto tra Arte e Cibo a partire dal 1840, anno della prima Esposizione Universale, a oggi, con l’aiuto dell’architetto Italo Rota. Lo scorso anno, presso la sede veneziana della Fondazione Prada, Celant aveva voluto rendere omaggio a un artista e a un amico, Yannis Kounellis, scomparso nel 2017, con una mostra a lui dedicata in concomitanza con l’apertura della Biennale. La sua ultima mostra è stata quella allestita al MART di Rovereto e dedicata allo scultore americano Richard Artschwager, tenutasi nel museo trentino dall'ottobre 2019 al febbraio 2020.
Di ritorno dall'Armory Show di New York, forse una delle più grandi kermesse collezionistiche del Mondo, Celant si è ammalato di Coronavirus. L’impatto con la malattia è stato, per lui, devastante, visto che soffriva anche di diabete. Ricoverato in Terapia Intensiva presso il San Raffaele di Milano, dopo due mesi non ce l’ha fatta. Germano Celant lascia una moglie e un figlio, ma anche un grande vuoto personale e culturale tra gli appassionati di Arte contemporanea.