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La fotografia di Richard Avedon a Palazzo Reale di Milano

Uno dei pilastri della Fotografia mondiale del XX secolo è il protagonista di una delle grandi mostre di Palazzo Reale a Milano.
richard avedon self portrait provo utah august 20 1980Il genio di Richard Avedon, illustre fotografo statunitense, è il fulcro di questa esposizione, ospitata presso le sale del piano nobile del palazzo di Piazza Duomo. Attraverso centosei immagini, selezionate dalla curatrice Rebecca Senf negli archivi della Fondazione Avedon e nelle collezioni del Centro di Fotografia Creativa di Tucson, dal 22 settembre 2022 al 29 gennaio 2023, è possibile ricostruire un percorso, parallelamente tematico e biografico, riguardante l’opera di uno dei fotografi che ha segnato quest’Arte nel Novecento. Avedon ha fatto la Storia trasformando, da fotografo di moda, le sue modelle e indossatrici, da soggetti statici, quasi mannequin pubblicitarie, in protagoniste dinamiche che diventano parte integrante di un processo creativo che le colloca al centro di un’istantanea in diretta relazione con lo spazio e il tempo in cui si muovono. Ha fatto la Storia anche da fotografo realistico e da ritrattista con opere di denuncia delle ingiustizie della società americana del tempo, collocando le tante celebrità e uomini comuni, tra cui vari “working class heroes”, in un’atmosfera indeterminata e su sfondi volutamente minimali o bianchi, al fine di evidenziare le caratteristiche interiori e psicologiche dei suoi soggetti.

La mostra si articola in dieci sezioni, tutte dedicate a un rapporto parallelo tra stile e vicenda biografica, che, dalle foto giovanili degli inizi degli anni ’50, giunge al servizio a colori fatto per le collezioni di Gianni e Donatella Versace alla fine del secolo.

La prima parte mostra gli esordi del giovane Richard. Avedon, giova sottolinearlo, nacque a New York, città in cui ha sempre vissuto, nel 1923. La svolta, per lui, avvenne nel 1942, quando venne arruolato nell’Esercito statunitense, inquadrato nei ranghi della Marina. Il suo compito, durante la Seconda Guerra Mondiale, era quello di scattare immagini per documenti di identità, tanto che, in seguito, sulle origini del suo rapporto con la macchina fotografica, avrebbe affermato: “il mio lavoro consisteva nel fare fotografie per documenti d’identità. Devo aver immortalato centomila volti prima di rendermi conto che stavo diventando un fotografo”. Al termine della Guerra, iniziò a lavorare come fotografo professionista per riviste di Moda, grazie alle quali acquisì rapida fama e iniziò a collaborare con varie modelle in scenari sempre all’aperto. Subì varie critiche per relazioni con modelle di colore, ma ciò non gli impedì di diventare uno dei fotografi di moda più in voga degli Stati Uniti. Aperto un suo studio, Avedon realizzò alcune tra le più fortunate campagne pubblicitarie fashion collaborando con riviste come Vogue o Harper’s Bazaar. Negli anni ’70, iniziò, poi, a dedicarsi anche a una fotografia di denuncia della Politica americana del tempo e delle condizioni degli operai e dei contadini in alcune zone periferiche degli Stati Uniti. Da quel momento, la carriera di Avedon è stata un trionfo di mostre e premi, suggellati anche dalle collaborazioni con illustri maison come Versace e Calvin Klein, e che non si è mai interrotta fino alla morte, avvenuta nel 2004 in Texas per un’emorragia cerebrale sopraggiunta durante un servizio fotografico.

Avedon è un rivoluzionario nello stile e nelle tematiche scelte, a partire dalle prime immagini, risalenti agli anni ’50, in cui l’atmosfera glamour delle sfilate traspira da ogni dettaglio, ma che immergono l’osservatore in una narrazione che lo costringe a ricostruire un filo logico di una vicenda dal sapore cinematografico. Effettivamente, ci sembra di trovarci sul set di un film, in cui l’immagine scattata è un frammento, un fotogramma, non solo un istante temporalmente concepito, di una vicenda corale più ampia, quasi di una trama di un romanzo, condotta attraverso sfondi talvolta minimali e altre volte più elaborati, come provato dal bellissimo ritratto di Dovima con gli elefanti oppure dalla foto in cui ritrasse Audrey Hepburn e Art Buchwald all’interno di un locale che diviene quasi una quinta da teatro.

Sul finire degli anni ’60, Avedon iniziò a lavorare sulle caratteristiche della sua Arte che lo avrebbero distinto, rendendolo unico nel suo stile. Si concentrò innanzitutto sul primo piano, sempre ispirandosi, nella sua multidisciplinarità, al piano sequenza del Cinema, distaccando il soggetto, su cui lavorò al dettaglio, con uno sfondo sempre più minimale, spesso bianco, per favorire la concentrazione dell’osservatore sulla postura e sull’espressione del soggetto rappresentato. Avedon, poi, intraprese un metodo di lavoro con una macchina fotografica di grande formato, in modo da permettere al soggetto rappresentato di riempire quanto più spazio possibile, a scapito dello sfondo, ora quanto mai elemento marginale. Un lavoro di stile ma anche di concetto, in linea con le tendenze artistiche dell’epoca. Le migliori prove ne sono il meraviglioso ritratto di una pensosa Marilyn Monroe, su sfondo grigio, ma anche quelli di Michelangelo Antonioni, su un bianco shocking, e, soprattutto, il primissimo piano su John Ford, ottenuto con la macchina più grande. Grazie a queste innovative scelte stilistiche e tecniche, Avedon divenne un punto di riferimento per varie riviste, per le quali iniziò a ritrarre artisti, musicisti e gente di spettacolo con uno stile diretto, immediato e minimale, ma anche intensamente espressivo. Nacquero, così, ritratti insoliti, come quello di Andy Warhol che mostra le cicatrici dovute al tentato omicidio da lui subito nel 1968, oppure quelli di celebrità come i Beatles, di un Bob Dylan ventiduenne oppure dei pilastri della Beat Generation, come Allen Ginsberg. Due ritratti a parte sono quelli con cui immortalò un suo grande amico, lo scrittore Truman Capote, che, spesso, recensì le sue mostre. Capote, nel primo, del 1955, è immortalato a torso nudo e a occhi chiusi, quasi immerso in un’estasi che lo avvicina a un santo ritratto da un pittore barocco, mentre, nel secondo, degli anni ’70, appare più anziano, ma con più vigore espressivo nello sguardo fermo e non fisso sulla macchina di Richard.

Richard Avedon, negli anni ’70, era diventato il fotografo di Moda più richiesto d’America, ma il suo pensiero non era di un’Arte fine a se stessa, bensì di un impegno civile dell’Artista per la società in cui vive, senza indifferenza nei confronti delle ingiustizie, come la segregazione dei neri, oppure per le pessime condizioni di vita degli operai delle zone depresse e periferiche degli States. Nacque, così, In the American West, progetto fotografico mirante a mostrare quanto anche gli uomini comuni, eroi di tutti i giorni, avessero la stessa dignità fotografica e iconica delle sue modelle o delle celebrità ritratte per le riviste. Furono anni di critiche aspre, per Avedon, sia per questo progetto, giudicato crudele, che per le sue relazioni molteplici con modelle afroamericane e asiatiche, in un’America che, al di là delle grandi città, come la sua amata New York, era ancora puritana e razzista. Del progetto sociale di Avedon, in mostra, spiccano gli intensi ritratti dell’ex-schiavo William Casby , dell’operaia Mary Watts con la sua bambina o dell’affettuoso abbraccio tra il pediatra Benjamin Spock e la moglie. Di notevole interesse è anche una delle chicche della mostra, ovvero l’immagine che ritrae un giovane giocatore di Basket all’interno di uno di quelli che gli americani chiamano “playground”, ovvero i campetti di strada su cui, spesso, muovono i primi passi le future stelle NBA. Chi è costui? Il ragazzo si chiama Lew Alcindor e ha 16 anni. Tutti lo conosciamo con il nome, cambiato nel 1964 dopo la conversione all’Islam, ovvero Kareem Abdul-Jabbar, in quanto avrebbe fatto la Storia del Basket mondiale con la maglia dei Los Angeles Lakers ed è, ancora oggi, al pari di Michael Jordan e di LeBron James, uno dei più grandi cestisti di sempre.

Richard Avedon ha ritratto anche molti potenti della Terra, politici e imprenditori che hanno segnato le vicende mondiali, sempre con il suo taglio minimale, sfondi bianchi o essenziali e primo piano al fine di rendere espressiva e psicologicamente significante l’istantanea. Notevole è l’iconico ritratto della principessa Marella Caracciolo, aristocratica appassionata d’Arte e di filantropia che avrebbe assunto grande fama dopo il matrimonio con l’avvocato Gianni Agnelli: Avedon la immortala durante la torsione del collo verso destra, con un effetto simile a quello dei quadri di Parmigianino. Per le presidenziali USA del 1976, Avedon realizzò un servizio sulla campagna elettorale destinato alla pubblicazione su Rolling Stone: nacque così il progetto La famiglia, sessantanove ritratti individuali ma, allo stesso tempo, collettivi. Nessuno di loro è in relazione con gli altri, anche se tutti si ergono come pilastri uniti dalla comune volontà di fare qualcosa di positivo per gli Stati Uniti. Tra le sedici immagini esposte, si possono notare alcuni personaggi influenti in quel momento, da Henry Kissinger a Jimmy Carter, e altri destinati a fare carriera in futuro, come l’allora direttore della CIA, George W. Bush. Avedon, dall’altro lato, fu anche un paladino dei diritti umani: come provato dal ritratto di Malcolm X, misterioso nella sua scelta di sfuocare l’immagine, ma anche da quello della Student Nonviolent Coordinating Committee, associazione che si batté, negli anni ’60, per i diritti civili della popolazione afroamericana, della quale mette a fuoco la figura carismatica del leader Julian Bond situata all’interno di un gruppo che, simbolicamente, allude al motto “united we stand”.

nastassja kinski los angeles california june 14 1981 e1659450329883L’ultima parte di mostra ritorna alla fotografia di Moda, evidenziando la differenza tra le prime prove, sempre en plein air, e le ultime, prevalentemente effettuate in studio. Se le prove degli anni ’50 e ’60 intendevano essere corali, cinematografiche e teatrali, quelle degli ’80 e ’90 rappresentano le modelle mentre ballano, saltano o in pose miranti a valorizzare tessuti oppure forme in movimento. L’unica eccezione è l’opera più caratteristica della mostra, quella Nastassja Kinski ritratta, nel 1981 per Vogue, nuda, distesa e avvolta da un serpente, che costituisce un autentico capolavoro di Arte erotica. L’attrice tedesca è novella Eva, è femme fatale, quasi uscita da un romanzo di Huysmans o da un quadro di Moreau o di Redon, è bella e tentatrice ed è resa sempre con uno sfondo minimale per valorizzare il dettaglio del suo meraviglioso corpo ma anche delle scaglie del serpente. In questo periodo, Avedon collaborò con molte modelle, come la famosissima Veruschka, ma anche con quella Jean Shrimpton che il fotografo immortalò mentre camminava avvolta in un abito tutto pieghe in movimento, addirittura fino a coprirne il volto. A guardarla attentamente, questa foto è sicuramente debitrice, nella posa e nella resa, nei confronti dell’Uomo che cammina di Umberto Boccioni. La conclusione è affidata a una serie di foto dell’ultimo Avedon, destinate a un progetto per Gianni e Donatella Versace: innovativa è la scelta del colore, che sostituisce, per la prima volta, il bianco e nero, ma anche della scelta dell’abbigliamento, legata alla quotidianità femminile, ma nello stesso tempo a valorizzarne la sensualità. Come modelle, vennero scelte figure come Linda Evangelista e una giovane Kate Moss, quasi a segnare un’eredità di questo percorso, nato negli atelier fotografici di New York degli anni ’50 e culminato in quelli di alta Moda di fine secolo, per stilisti di fama mondiale.

Richard Avedon. Relationships
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì-mercoledì-venerdì-domenica 10.00-19.30; giovedì-sabato 10.00-22.30
Biglietti: intero 15,00 €, ridotto 13,00 €
Info: www.avedonmilano.it

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