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Pala Sforzesca: potere, intrighi e moda nel dipinto di Brera

  • Rossella Atzori

sforzesca.palaNelle Sale Napoleoniche della Pinacoteca di Brera (sala XV) è custodito un dipinto di eccezionale valore, per certi versi ancora avvolto dal mistero, lasciando aperti alcuni interrogativi. Probabilmente molti visitatori non si soffermano neanche davanti a questo quadro perché, vista la vastità del museo, preferiscono dirigersi a colpo sicuro verso le opere più conosciute e famose, che ne costituiscono il “pezzo forte”.

Si tratta della Pala Sforzesca, un dipinto a tempera e olio su tavola realizzato nel 1494 da un anonimo artista attivo in Lombardia tra il 1490 e il 1520, conosciuto appunto come “maestro della Pala Sforzesca”. Il suo valore è sia materiale, per la profusione di ori e la minuzia di dettagli preziosi (resterete incantati soffermandovi sui tessuti delle vesti, sulle gemme e sulle perle), sia storico che, prevalentemente, politico. Destinato alla chiesa di Sant'Ambrogio ad Nemus, entrò a far parte delle collezioni della Pinacoteca di Brera nel 1808, anno delle soppressioni napoleoniche.

La pala raffigura infatti Ludovico Sforza, detto il Moro, con tutta la sua famiglia, con la Vergine e il Bambino e quattro santi; è un dipinto fortemente simbolico e astuto, dai chiarissimi intenti politici, teso a ribadire la legittimazione del potere ducale. Una vera e propria opera di propaganda!

ludovico sforzaSiamo nel 1494. A quel tempo il Moro governava il ducato di Milano, ma non ne era il legittimo sovrano; lo amministrava per conto del nipote Gian Galeazzo, che proprio all'epoca aveva raggiunto un’età adeguata per governare, dimostrando (più o meno) di aver messo la testa a posto sposando Isabella d’Aragona e avendo da lei un figlio, garantendosi così un successore. Il Moro rischiava quindi di dover restituire il ducato al legittimo proprietario, se non chè Gian Galeazzo morì improvvisamente il 22 ottobre. In realtà comparve subito il sospetto che il giovane fosse stato avvelenato, tanto che la moglie accusò senza mezzi termini lo zio di aver commissionato l’omicidio; ma Ludovico era ormai troppo potente, e rese innocuo il legittimo erede (allora solo un bambino) assumendo il potere. Ludovico doveva mettere a tacere eventuali accuse e legittimare il suo potere.

Quale mezzo espressivo migliore dell’arte, da utilizzare come manifesto politico?

Nasce così questo dipinto, dove il Moro sta per essere incoronato niente poco di meno che dalla Vergine col Bambino (indicando quindi una legittimazione divina del suo potere temporale), con una preziosa corona portata da due angeli. Ai lati della Madonna in trono, che costituisce il punto focale della composizione, quattro santi, dottori della Chiesa: a destra Sant’Agostino, con la mitria e il bastone pastorale, e San Gerolamo, vestito di rosso con abito cardinalizio, che con la mano sinistra sembra presentare la duchessa Beatrice alla Vergine; dall'altro lato, invece, San Gregorio Magno in abito papale e Sant'Ambrogio, vescovo e protettore di Milano. E proprio quest’ultimo, Sant'Ambrogio, poggia la mano sulla spalla del Moro, con un gesto che ha un forte significato simbolico, alludendo alla benevolenza divina nei suoi confronti. E’ un po’ come se fosse lo stesso protettore di Milano a garantire per lui davanti alla Vergine e al Bambino, che si protende verso di lui in atto benedicente.

beatricedesteInginocchiati insieme ai genitori, con lo stesso atteggiamento della mani giunte, compaiono anche due bambini, i figli di Ludovico. In realtà uno dei due bambini potrebbe essere identificato con un figlio di Ludovico nato fuori dal matrimonio; le nozze con Beatrice d’Este furono celebrate nel gennaio del 1491 e il loro primogenito, Ercole Massimiliano, doveva avere poco più di un anno quando venne realizzato il dipinto (nacque il 25 gennaio del 1493). E’ lui il bambino in fasce accanto alla madre. Il bambino più grande, invece, accanto al Moro, potrebbe verosimilmente essere Cesare, il figlio nato nel 1491 da Cecilia Gallerani (la Dama con l’ermellino di Leonardo).
La famiglia ducale è rappresentata inginocchiata e con le mani giunte, in atto di devozione, ma il duca non cela i suoi intenti e nella raffigurazione domina volutamente lo sfarzo e la prosperità. I ritratti dei duchi sono spesso accostati a quelli che si trovano nel dipinto di Donato di Montorfano nel refettorio delle Grazie, sulla parete opposta a quella dove si trova l’Ultima Cena, per la stessa posizione e la rigidità delle figure.

L’ignoto artista è variamente identificato con uno dei seguaci lombardi di Leonardo (si notino le fattezze del volto della Vergine), che allestì una sorta di compendio della cultura milanese del tempo, da cui non sfugge neanche la moda in voga all'epoca: prime fra tutte la veste indossata dalla duchessa e la sua pettinatura, entrambe di derivazione spagnola … diventate all'ultimo grido!
Questo è solo “un assaggio” del dipinto, che se saputo leggere rivela storie e notizie avvincenti. Ogni dipinto, ogni scultura, ha una storia da raccontare … aspetta solo di essere ascoltata.

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