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L’amore dei tre Re alla Scala di Milano

l amore dei tre re operaAlla Scala di Milano torna L’amore dei tre re, poema tragico ambientato nell’Italia medievale percorsa dalle invasioni dei barbari, è il titolo più conosciuto di Italo Montemezzi, anche per l’interesse dimostrato dai maggiori direttori dell’epoca, basato su un dramma di Sem Benelli, autore di La cena delle beffe.

Dopo la prima diretta da Tullio Serafin alla Scala nel 1913, l’opera venne  presentata al Metropolitan di New York da Toscanini, e a Milano tornò per l’ultima volta con Victor de Sabata nel 1953.

La nuova produzione, che si terrà il 28 ottobre, con repliche il 3, 7. 10 e 12 novembre, è diretta da Pinchas Steinberg, mentre la regia è di Àlex Ollé, firma prestigiosa della Fura dels Baus con protagonista, tra artisti affermati come Giorgio Berrugi, la giovane Chiara Isotton, uscita dagli studi all’Accademia.

Inoltre, un'ora prima dell'inizio di ogni recita, presso il ridotto delle Gallerie  si terrà una conferenza introduttiva all'opera tenuta da Liana Püschel.

I protagonisti

Archibaldo (basso), Manfredo (baritono), Avito (tenore), Flaminio (tenore), Un giovanetto (tenore), Un fanciullo (voce bianca), Fiora (soprano), Ancella (soprano), Una giovanetta (soprano), Una vecchia (mezzosoprano).

La trama

Nell’alto Medioevo, in un castello d'Italia quarant'anni dopo un'invasione barbarica, che si deduce essere quella dei Longobardi, presso  il terrazzo sulla torre del castello, di notte, una lampada accesa funge da segnale per il ritorno di Manfredo signore del castello e figlio di Archibaldo, guerriero divenuto cieco.

Il paggio Flaminio, che è con il suo signore in attesa di Manfredo, poco prima dell’alba spegne la lampada per mettere in guardia Fiora, moglie di Manfredo e Avito, il suo giovane amante.

Fiora e Avito si salutano dopo la notte d'amore, e di li si scopre che erano promessi sposi, ma la fanciulla divenne la sposa di  Manfredo per suggellare la pace tra invasori e vinti.

Avito, sgomento al vedere spenta la lanterna, teme che qualcuno li abbia scoperti, ed è una certezza che si palesa all’arrivo di Archibaldo.

Mentre il giovane fugge, Archibaldo chiede a Fiora  su chi parlava, ma Flaminio dichiara che Fiora  era sola, poi squillano le trombe che annunciano il ritorno di Manfredo.

Archibaldo sospettoso invita Fiora a tornare in camera per presentarsi al marito più tardi, mentre arriva Manfredo, che è contento di rivedere il padre e la giovane sposa.

Manfredo annuncia poi alla moglie che presto tornerà a combattere e esprime il desiderio che Flora lo saluti dalla torre con il suo velo prima della partenza, in modo da essere sollevato dalla forzata  lontananza .

Fiora commossa promette e Manfredo parte e subito dopo arriva Avito,  che era nel maniero, travestito da guardia.

Adesso Fiora si dimostra ostile verso le profferte amorose del giovane, che sono inopportune dato il momento e Avito, colpito e amareggiato fa per andarsene, ma il dialogo è interrotto da una ancella che consegna il velo.

Rimasti soli, Avito deluso  fa per dire addio a Fiora, ma lei lo gli permette di baciare la sua veste, mentre dalla torre sventola il velo.

A quella vita Avito abbatte le resistenze di Fiora sempre più fino a baciarla.

Travolti dalla passione i due rimangono avvinti in un abbraccio, quando giunge Archibaldo che stavolta avverte la presenza di Avito.

Poco tempo dopo Flaminio annuncia il ritorno di Manfredo che, preoccupato per non aver più visto Fiora salutarlo col velo,  vuole sincerarsi della sua salute.

Archibaldo manda via Flaminio e rimane solo con Fiora e alle domande del vecchio stavolta la giovane rivela tutto, ma non il nome dell'amante e il vecchio cavaliere, sopraffatto dalla rabbia, la uccide.

Giunge Manfredo, il quale si dispera alla vista del cadavere di Fiora ed è sorpreso dalla confessione del padre, ma Archibaldo chiede di poter compiere la vendetta contro il traditore.

Nella cripta del castello il corpo di Fiora viene adagiato sul giaciglio e, dopo che tutti se ne sono andato, entra Avito, che dedica di baciarla per l'ultima volta, ma quando lo fa si sente svenire.

Subito dopo entra Manfredo che riconosce Avito e gli rivela che Archibaldo ha cosparso la bocca di Fiora con un veleno.

Avito accetta il suo destino, ma Manfredo non riesce a odiarlo, perché amato dalla sua dolce sposa e rivoltasi al corpo di Fiora, supplicandola di non lasciarlo alla sua solitudine, la bacia, cadendo vittima del veleno.

Dall’ombra compare Archibaldo, ansioso di vedere il volto del nemico, ma Manfredo gli rivela la sua identità con le poche forze rimaste.

Archibaldo rimane solo, sconvolto e disperato,  mentre il figlio gli muore fra le braccia.

L’autore

Italo Montemezzi, nato a Vigasio, nei pressi di Verona,  il 4 agosto 1875, fu uno dei pochi musicisti del primo Novecento a unite perfettamente la melodia italiana verista con le innovazioni armoniche e orchestrali di Wagner e anche di Debussy e una cantata Strauss, .

Grazie al suo maestro Vincenzo Ferroni, Montemezzi nel 1900 conseguì a pieni voti il diploma di laurea in composizione, componendo, come saggio per l'esame finale, basato sul testo del Cantico dei Cantici, per soprano, mezzosoprano, coro e orchestra, poi eseguita sotto la direzione di Arturo Toscanini.

Compose anche l'opera Giovanni Gallurese, sul dramma di un giovane sardo in lotta contro gli Spagnoli,  poi eseguita anche al Metropolitan di New York.

Nel 1909 compose l'opera in tre atti L'Hellera, su libretto di Luigi Illica, su una relazione amorosa nella Francia napoleonica, rappresentata al teatro Regio di Torino, con la direzione di Tullio Serafin e nel ruolo del protagonista il tenore Edoardo Garbin.

Il giovane musicista nel 1913 compose L'amore dei tre re, da un dramma lirico di Sem Benelli, che resta la sua opera più famosa e anche il suo capolavoro.

Dopo essere stata rappresentata in vari teatri italiani, l’opera approdò a New York e nel gennaio del 1914 fu diretta da Toscanini al Metropolitan, per poi essere replicata a Boston, Londra e Parigi.

Nel 1918 compose La nave, dall'omonima opera di Gabriele D'Annunzio, sulla fondazione di Venezia,  rappresentata al Teatro alla Scala di Milano diretta da Tullio Serafin.

 Dopo dieci repliche nel teatro milanese, nel 1919 l'opera inaugurò la stagione all'Auditorium di Chicago.

Nel 1931 compose e diresse La notte di Zoraima, presentata alla Scala con Giuseppina Cobelli, Iris Adami Corradetti, Maria Caniglia, Giuseppe Nessi ed Aristide Baracchi.

La sua ultima opera, L'Incantesimo, venne scritta nel 1943 e trasmessa alla radio di New York il 9 ottobre dello stesso anno con la NBC Symphony Orchestra ed Alexander Sved diretta dal compositore e nel 1952 la prima rappresentazione si tenne all'Arena di Verona il 9 agosto dello stesso anno.

Italo Montemezzi mori nella sua Vigasio il 15 maggio 1952 e a lui è intitolata l'Orchestra Sinfonica della Provincia di Verona e l'Auditorium del Conservatorio Dall'Abaco di Verona.

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