Le donne che hanno fatto le donne: una riflessione sul femminismo
Uno spettacolo teatrale e una lezione di storia: attrici e studiose si sono alternate sul palco, sotto la sapiente regia-narrazione di Andrée Ruth Shammah, per raccontare le battaglie e le vittorie delle donne repubblicane italiane, dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni '70 del secolo scorso.
Questo è stato lo spettacolo "Le donne che hanno fatto le donne", svoltosi lunedì 31 marzo al teatro Franco Parenti di Milano, grazie a un'idea di Ada Gigli Marchetti , docente di Storia Contemporanea all'Università degli Studi di Milano.
Entrando dalle porte laterali o dalla platea, permettendo allo spettatore di essere coinvolto nello spettacolo, si sono susseguite sul palco le più grandi donne dell'Italia repubblicana, come Nilde Iotti, Gae Aulenti, Marisa Belisario, Lina Merlin, ognuna con la sua battaglia per dare alle donne del futuro, cioè noi, i diritti che meritano.
Le attrici che le impersonificavano hanno ricordato, con le parole delle stesse, le loro lotte per dare dignità alla donna italiana, usando la forza della parola, l'ironia e, soprattutto, ascoltando le persone per le strade, nelle campagne, per capire a fondo cosa ci fosse bisogno nel nostro paese.
Pioniere in ogni campo, dalla politica all'architettura, dalla moda all'imprenditoria, le donne della prima Repubblica sono riuscite a ritagliare il loro spazio nella storia italiana, raggiungendo importanti obiettivi.
Tuttavia, la nostra memoria è corta: questo è stato il monito iniziale di Ada Gigli Marchetti e, inizialmente, faticavo a essere d'accordo con quelle parole. Come dimenticare Lina Merlin, a cui dobbiamo la chiusura delle case chiuse? Come dimenticare Nilde Iotti e le sue battaglie, o Gae Aulenti, data la quantità di sue opere architettoniche presenti anche a Milano?
Eppure, Ada Gigli Marchetti aveva ragione: abbiamo un po' tutti la memoria corta, tanto da dimenticarci la storia del nostro paese di soli settant'anni fa, considerando i diritti che abbiamo oggi come qualcosa di naturalmente dato e non qualcosa di conquistato con la determinazione e le battaglie di chi, prima di noi, ha reso possibile ciò che oggi è la normalità.
A tal proposito vorrei qui parlare di Pina Re, una delle donne rappresentate sul palco, e alla sua battaglia per abolire il licenziamento per matrimonio. É stata proprio Pina Re, pavese, autodidatta e deputata con il Pci dal 1958 al 1972, a ricordarci cosa era il licenziamento per matrimonio: con il suo accento lombardo "ha letto" sul palco alcuni contratti di lavoro che le donne firmavano, in cui il datore specificava che il contratto sarebbe finito nel giorno della celebrazione del matrimonio. La cosa più sconvolgente, è la data in cui Pina Re è riuscita a firmare e proporre questa legge: il 1963. Dalle parole della bravissima attrice che interpretava questa donna incredibile ho capito quanto anche la mia memoria sia corta e quanto quelle parole iniziali di Ada Gigli Marchetti fossero vere.
Non sono mai stata vicina al femminismo, l'ho sempre considerato un filone ormai passato, che oggi non aveva senso di esistere; grazie agli ultimi due anni universitari, invece, ho iniziato a riconsiderare questa mia posizione e lo spettacolo a cui ho assisitito mi ha fatto tornare prepotentemente su questo tema.
Le considerazioni potranno sembrare banali, ma credo che ad oggi, le donne non debbano più combattere tanto per i diritti, quanto per la loro dignità. Pensiamo all'altissimo numero di vittime di violenza che ci sono ancora oggi. E' una questione di genere: chi compie questi gesti sono uomini che credono che uomo e donna non sono generi differenti, ma che la donna sia un genere inferiore; così troppe donne confondono l'emancipazione con il voler a ogni costo assomigliare al genere maschile.
Concludo con una frase di Carla Lonzi, che è risuonata nei miei pensieri per tutto il tragitto di ritorno dal teatro e che spero offra uno spunto di riflessione importante e molto attuale:
"La donna non va definita in rapporto all’uomo (…). L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. La donna come soggetto non rifiuta l’uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto. Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario." (da: Il Manifesto di Rivolta Femminile, 1970)
Claudia Bolognino