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Fury: il nuovo film con Brad Pitt sull'eco della guerra

fury cinema brad pittIl war movie Fury, diretto dal regista - ex-marine, David Ayer, approda finalmente nei cinema italiani il 2 giugno, prodotto da Lucky Red - dopo alcune problematiche legate alla distribuzione.
Nel cast figurano: Brad Pitt, Shia LaBeouf, Michael Peña, Jon Bernthal e Logan Lerman.

Il film è ambientato durante la fine della Seconda Guerra Mondiale - da sempre, argomento di grande attrattiva per Hollywood, che ha smesso di raccontarcelo nella maniera compiacente, disillusa ed asettica dei film anni Ottanta - ad esempio, Il grande uno rosso di Samuel Fuller - per mostrarci cosa si cela dietro agli artificiosi valori di onore e gloria per cui milioni di vittime, travestite da eroi, agghindati di medaglie e amor per la patria, hanno venduto (perso) la propria anima per combattere e morire al fronte. Ayer ci porge il cuore di quello spettacolo dell'orrore, trascinandoci nelle viscere del conflitto, facendoci respirare fango, sangue e decomposizione.
Non c'è nulla di romantico in questa guerra, non ci sono vincitori nè eroi - nell'epilogo il regista fa cenno all'eroismo, per poi dissacrarlo, subito dopo, nell'ultima immagine - violenta, straziante, che raffigura il carro armato come centro focale in uno scenario sterile, disseminato da cadaveri.

Fury è il nome che un manipolo di commilitoni di diversa estrazione, dà al proprio carro armato Sherman. A capo dell'unità di carristi c'è il sergente Don Collier (straordinaria interpretazione di Brad Pitt) - personaggio ruvido, veterano che porta addosso i segni della guerra, sulla pelle desquamata da una grave ustione, e nell'animo spezzato di chi ha visto in volto la brutalità umana. Denominato dai suoi compagni - Wardaddy, Collier non è solo un (in)glorioso bastardo, ma anche un uomo in cerca di remissione, attraversato dai tratti di un romanticismo antico, ed intriso di paternità. 

La trama si dipana attorno ad una dialettica di dentro / fuori - dentro e fuori dalla Storia, dalla guerra, che esplode oltre le pareti in lamiera, ma talvolta le attraversa. Per cui il carro armato diventa il proprio rifugio (e la propria tomba) - una sorta di utero, dove preservare quanto resta della propria umanità; che trasforma chi ne fa parte in una sorta di famiglia elettiva pronta a sacrificarsi per quello che è, o meglio deve essere per non perdere la ragione - "Il più bel lavoro del mondo".

Un film che va buttato giù tutto d'un colpo e lascia l'amaro in bocca, una storia che brucia sopra e sotto pelle - per cui vale la pena lasciare la movida milanese ad aspettare fuori dalla sala cinematografica, ed abbandonarsi ad una riflessione sulla guerra e sulle sue conseguenze; ed ancora, su ciò di cui siamo capaci, per cui vale la pena mitigare i conflitti, le prese di potere, le disperate richieste di attenzioni attraverso insensati atti d'inciviltà nelle piazze - insomma, su tutto ciò che il nostro subconscio ingoia e pacifica, ma continua a ridondare dentro di noi.

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