Alcuni capolavori della Pittura del Seicento e del Settecento in mostra a Milano
Uno dei periodi più floridi della Pittura italiana, insieme al Rinascimento, è il protagonista della mostra al Museo Bagatti Valsecchi di Milano
Nelle sale della magnifica casa-museo situata nei pressi di Via Montenapoleone, dal 14 ottobre 2022 al 12 marzo 2023, sono ospitate cinquanta opere del Seicento e del Settecento, provenienti dalla collezione Gastaldi – Rotelli. Curata da Antonio D’Amico, la mostra intende stupirci accostando i quadri della collezione privata alle opere presenti nelle varie sale del Bagatti Valsecchi, cercando di trovare quelle affinità tematiche e sensoriali tra le tele barocche e rococò, da un lato, e le tavole rinascimentali alle pareti delle stanze. Ne emerge un curioso piano espositivo che mette insieme dipinti realizzati a quasi duecento anni di distanza l’uno dall’altro ma che, in realtà, si rivelano molto simili.
La collezione creata da Gilda Gastaldi e Giuseppe Rotelli nasce a fine Novecento ed è frutto della loro grande passione per il Seicento e il Settecento, periodi molto importanti nella Storia dell’Arte ma spesso trascurati. Partecipando ad aste in tutto il Mondo, i due sono riusciti a raccogliere uno straordinario corpus di opere di questi due secoli che, per la prima volta, viene esposto al pubblico al di fuori della collocazione originaria. E quale ambiente migliore di un’altra (fantastica) casa museo come il Bagatti Valsecchi? Gli artisti selezionati sono in prevalenza pittori che lavorano tra due dei poli principali (oggi li chiameremmo “hub”) della Pittura italiana dei due secoli, ovvero Milano nel Seicento e Venezia nel Settecento.
Le affinità tra i dipinti esposti sono spesso di carattere tematico, più che stilistico, e legate alla simbologia che li caratterizza. Il tutto è condotto in un costante dialogo tra i due secoli: prova migliore ne è quanto si sviluppa intorno al tema del sacro, punto di apertura della mostra. Subito i nostri occhi cadono fissi sul magnifico chiaroscuro caravaggesco con cui Giuseppe Vermiglio raffigura il Sacrificio di Isacco tra il 1618 e il ’20, in linea con la tendenza pittorica coeva milanese dei vari Procaccini, Cerano e Morazzone. Del medesimo stile è anche il San Sebastiano, proprio del Procaccini: entrambe le opere sono frutto della drammaticità devozionale tipica dell’epoca dei cardinali Carlo e Federigo Borromeo, stretta nella controriforma e nell’ortodossia cattolica, ma realistica e teatrale nei gesti e negli sguardi. Il tema sacro è trattato anche da un altro artista che lavora circa centoventi anni dopo: Giambattista Pittoni, veneziano, realizza, nel 1730-35, una piccola tela raffigurante Rachele che nasconde gli idoli. Lo stile è completamente diverso, ed è figlio di quello schiarimento della tavolozza che, a partire dagli anni ’30 del XVIII secolo, inizia a caratterizzare gli artisti veneti. Pittoni, come i suoi contemporanei più illustri, dal Tiepolo a Canaletto, scopre la luce vera, naturale, e la traduce pittoricamente nelle sue pale d’altare, così come nelle scene storiche e mitologiche, che realizza per il territorio della Serenissima ma anche per destinazioni fuori dai confini veneti.
Un'altra opera iconica della collezione Rotelli, ospitata nella Camera da letto di Fausto Bagatti Valsecchi, è la Mamma col Bambino e la mucca, dipinta tra il 1740 e il ’50 dal lombardo Giacomo Ceruti, che, per la sua spiccata e realistica capacità ritrattistica rivolta soprattutto a raffigurare gli ultimi e i poveri, venne denominato Pitocchetto. Ceruti visse per vari anni in Veneto, lavorando a soggetti sacri e mitologici per chiese e palazzi di Padova, Venezia e del territorio bresciano e bergamasco, anche se fu a Milano che si dedicò soprattutto ai ritratti e alle scene di genere, come questa bellissima raffigurazione in mostra, altamente simbolica in quanto allusiva al tentativo di Maria di difendere Gesù dalla futura Passione e Crocifissione e al concetto di maternità simboleggiato dalla mucca, ma anche prefiguratrice di una tematica che sarebbe stata affrontata, con medesimo realismo diretto e intenso, da Previati e da Segantini a fine ‘800.
Nel passaggio del Labirinto, sono esposti cinque piccoli dipinti opera di un altro dei pilastri del Settecento italiano, ovvero il genovese Alessandro Magnasco. Lo stile di Magnasco è sempre stato segnato dal chiaroscuro, al limite dell’alone di mistero, con cui raffigura frati e religiosi in costante e brulicante attività. Le tele di Magnasco, però, hanno un taglio caricaturale, e fanno dell’artista ligure uno dei primi esponenti di questo genere che, pochi anni dopo, a Venezia, avrebbe annoverato personalità come i due Tiepolo. Magnasco realizza opere che mettono in primo piano la necessità di riformare gli ordini religiosi, adattandoli alle esigenze del tempo, ma anche di rendere umana e realistica la rappresentazione della loro vita, come nell’Elemosina di San Filippo Neri, del 1705-10, all’interno di una bellissima e scenografica cornice architettonica che ricorda le opere di Paolo Veronese.
Serrato è anche il confronto tra due grandi della Pittura veneta del Seicento, ovvero il veneziano Giulio Carpioni e il vicentino Pietro Della Vecchia. Il primo, con il quadro Latona che trasforma gli uomini in rane, è sicuramente debitore della pittura di quel Veronese citato poco fa, nella scelta di una scena illuminata da un intenso sole estivo, mentre il secondo raffigura un chiromante e un soldato in un’atmosfera chiaroscurale figlia dell’ultimo Tiziano. E, non a caso, la critica annovera Della Vecchia tra i cosiddetti “tenebrosi”, insieme a Loth e Zanchi. Accanto all’opera del vicentino, degna di nota è anche la stupenda Allegoria dell’Estate, del fiammingo Nicolas Regnier, ricca di spunti e rimandi mitologici.
Nella stanza da letto di Giuseppe Bagatti Valsecchi, non casualmente, è stata scelta un’altra opera iconica, sempre dipinta dal Pitocchetto, ovvero L’incontro al pozzo, del 1750 circa. Si tratta di un autentico capolavoro di realismo, in cui una popolana viene raffigurata nel momento della raccolta dell’acqua al pozzo. Proprio in quel momento, sopraggiunge un nobile, forse di ritorno da una battuta di caccia, che volge lo sguardo in maniera interessata verso di lei, la quale, a sua volta, si gira pudicamente per non incrociare lo sguardo dell’uomo. Con il gesto con cui l’uomo accarezza il polso della popolana, l’opera assume un significato di allusione erotica.
Il confronto tra Seicento e Settecento sul tema sacro torna nello Spogliatoio della Camera Verde, dove il realistico Presepe del milanese Francesco Londonio dialoga con un’intima Madonna col Bambino del cremonese Angelo Massarotti e un altrettanto devozionale Sacra Famiglia di Carlo Francesco Nuvolone fa da pendant a un Riposo durante la Fuga in Egitto, opera di un altro dei pilastri della Pittura del Settecento veneto, Sebastiano Ricci. Dipinta tra il 1700 e il ’20, la piccola tela è debitrice di alcune delle sue grandi prove: il viso di Maria e la posa ricordano tantissimo la grande pala dipinta dal bellunese per San Giorgio Maggiore a Venezia, così come il paesaggio rievoca alcune delle scene mitologiche dipinte nei primi anni del XVIII secolo.
L’ultima parte di mostra si concentra sulle due grandi tipologie che caratterizzarono la Pittura del Settecento, ovvero il Vedutismo e la scena di genere. La prima è rappresentata dallo scenografico capriccio romano con cui il piacentino Giovanni Paolo Pannini incornicia la scena della predica di San Pietro, così come dalle vedute, quanto mai realistiche, del foro romano, opere del modenese Antonio Joli. Roma e Venezia furono le due patrie del vedutismo settecentesco italiano. Dalla seconda città arrivano le fiabesche e stravaganti vedute di Michele Marieschi, che ritraggono una città fantasiosa, ma sicuramente ispirata a Venezia, tra chiese palladiane e fari ricoperti di vegetazione rampicante, così come la Città di porto, opera del friulano Luca Carlevarjs, con la luce dell’alba che ne illumina gli edifici, e le nostalgiche istantanee, quasi fotografiche, con cui Francesco Guardi ritrae la sua amata Venezia sospesa tra una gloria passata e un futuro incerto, senza inserirvi rovine o edifici di taglio storico, quanto, invece, edifici rustici oppure scene di brulicante folla intenta alla quotidianità della vita.
Per quanto riguarda le scene di genere, due sono i maestri presenti in mostra, ovvero il danese Monsù Bernardo e l’austriaco Giacomo Francesco Cipper, detto il Todeschini. Il primo fu attivo a Roma nel Seicento, mentre il secondo, nel Settecento, nell’area della Lombardia veneta, ma entrambi raggiunsero grande fama nell’immortalare la quotidianità avvolgendola di un’aura simbolica e allusiva. Basti pensare alle opere del Todeschini nel salone, tra cui spiccano Desco familiare, dal taglio sensuale della scena di corteggiamento tra i due giovani, e l’Allegoria dei Cinque Sensi, con i suoi rimandi erotici e alla vita coniugale matrimoniale. I riferimenti all’Eros e ai cinque sensi, tipici dell’Arte barocca, sia in Pittura e Scultura, ma anche nella Letteratura, non mancano nemmeno nelle tele del danese, come Giovane che lava i sedani oppure Il venditore di prugne, ma Monsù Bernardo si dimostra anche legato all’atmosfera tipicamente didattica del Seicento, come prova La scuola di ricamo, tela del 1660-70 in cui si coglie un rimando al senso della disciplina e della buona educazione.
La seduzione del Bello. Capolavori segreti tra ‘600 e ‘700
Museo Bagatti Valsecchi, Via Gesù 5, Milano
Orari: lunedì-martedì chiuso; mercoledì 13.00-20.00; giovedì-venerdì 13.00-17.45; sabato-domenica 10.00-17.45
Biglietti: intero 12,00 €, ridotto 9,00 €
Info: museobagattivalsecchi.org