La fantasia di Hyeronimus Bosch e la sua eredità in mostra a Milano
Palazzo Reale di Milano ospita una grande mostra dedicata a uno dei più geniali esponenti della Pittura fiamminga ed europea, oltre che al suo lascito per i posteri.
Hyeronimus Bosch (1450 ca.-1516) è il fulcro dell’esposizione, curata da Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi e promossa da Comune di Milano e 24Ore Cultura, che, attraverso un centinaio di opere, tra dipinti, sculture, arazzi e oggetti di Arte applicata, dal 9 novembre 2022 al 12 marzo 2023, ci illustra un percorso alternativo della Storia dell’Arte del Rinascimento.
Non a caso, il sottotitolo della mostra è “un altro Rinascimento”. Proprio così: soprattutto noi italiani, siamo abituati a pensare al Rinascimento associandolo a Botticelli e alla grazia delle opere fiorentine, così come all’impatto scenografico proposto a Venezia dai Bellini o da Carpaccio, Giorgione o Tiziano. Ebbene, il Rinascimento, al di là delle Alpi, si sviluppa in una maniera molto diversa, anche se con alcuni punti di contatto con l’universo fiorentino e veneto. Ciò che caratterizza il Rinascimento, soprattutto in area tedesca e fiamminga, è una drammaticità quasi teatrale della rappresentazione sacra, così come una minuzia, quasi pre-fotografica, del ritratto.
In questo universo, si muove Hyeronimus Bosch, che vive la sua vita nelle Fiandre di fine ‘400 – inizio ‘500. Nacque intorno al 1450 a ‘s-Hertogenbosch, capoluogo della regione del Brabante Settentrionale, nei Paesi Bassi. I cardini della conoscenza della sua opera si muovono soprattutto tra il 1490 e il 1500, quando iniziò a ricevere importanti commissioni da personaggi come il duca di Nassau, Engelbert, oppure Filippo il Bello, duca di Borgogna. Hyeronimus morì nel 1516 e la sua fortuna fu postuma, in quanto la sua opera iniziò a essere apprezzata dopo l’entrata di alcuni suoi dipinti nelle collezioni di famiglie patrizie, come i veneziani Grimani, oppure in quelle dei re di Spagna o degli Asburgo, come Rodolfo II, che amò Bosch come pochi altri artisti, al pari dei suoi contemporanei Arcimboldo e Veronese.
Hyeronimus Bosch è un artista insolito, nel panorama artistico fiammingo dell’epoca. Dipinge scene sacre, con formati quasi “da chiesa”, specialmente trittici, ma con un’iconografia molto particolare, figlia dei secoli passati e di elementi ancora fortemente presenti nella religiosità nordica. Le sue opere sono popolate di mostri, figure oniriche e scene insolite che derivano sicuramente dall’Arte e dalla Letteratura medievale, dai Bestiari così come dalle molteplici rappresentazioni dei tre livelli del Mondo concepiti anche da Dante nella Divina Commedia, ovvero Inferno, Purgatorio e Paradiso, ma anche da quella concezione moraleggiante tipicamente di area nordica, evidente nei dipinti di Van Eyck, Memling e Roger Van der Weyden. Bosch è il primo vero sognatore della Storia dell’Arte, e l’elemento onirico, insieme a quello fantastico, costituisce la base della sua opera, tematicamente affine a quella italiana, ma con una soluzione diversa. Sotto questo aspetto, Bosch è il primo vero anticipatore del Surrealismo, in quanto le sue scene sono frutto di una visione fantasiosa e, perché no, anche grottesca della realtà, esattamente come l’avrebbero concepita, circa quattrocento anni dopo, i vari Magritte, Delvaux e Dalì. La realtà di Bosch è un piano distorto, popolato di scene al limite del comico (così lo definivano i suoi contemporanei, un pittore di scene comiche) ma che hanno sia l’obiettivo di strappare una risata che il chiaro intento morale di stare attenti alle tentazioni per evitare di fare la fine dei dannati da lui rappresentati nelle sue tavole.
Tali differenti livelli di lettura caratterizzano le opere presenti in mostra, come il Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio, appartenuto ai Grimani, oppure l’analogo, popolarissimo esemplare del Museo di Arte antica di Lisbona, che fu apprezzato dai contemporanei per la miriade di elementi fantastici che circondano il santo in meditazione. Uno dei suoi capolavori è il Giudizio Finale, proveniente da Bruges, che ci illustra perfettamente l’immaginario del pittore, popolato di figure fantastiche e surreali, all’interno della tripartizione del Mondo secondo lo schema medievale Inferno-Purgatorio-Paradiso, rappresentato, però, in una chiave al limite del comico, come evidente in alcuni dettagli (si veda il dannato appeso in una campana a mo’ di battaglio oppure la barca a forma di ciabatta). Sant’Antonio è il santo maggiormente rappresentato da Bosch, proprio per la tematica iconografica che consente all’universo del pittore di sbizzarrirsi in scene grottesche, come provato dalla tavola del Prado, in cui i demoni sono sparsi nel paesaggio, mentre compiono azioni buffe, e sembrano lasciare tranquillo l’eremita.
Bosch fu anticipatore del Surrealismo, ma anche di un certo Romanticismo che vedeva il sogno e l’incubo come rivelatori del Sentimento e dello Stato d’animo. E, in questo solco, si muove l’eredità che Hyeronimus lasciò ai suoi posteri: complice il rinnovato interesse per opere letterarie dell’antica Grecia che accennavano a un’ipotetica interpretazione del sogno, l’opera di Bosch iniziò a essere associata a questo elemento, ma anche, di riflesso, alle opere maccheroniche come il Baldus del monaco mantovano Teofilo Folengo. Sul tema onirico, lavorarono anche molteplici artisti, ispirandosi a Bosch e introducendo elementi fantastici, come provato dal Sogno di Raffaello, incisione di Marcantonio Raimondi. Anche la magia e la stregoneria mossero gli eredi di Bosch, come provato dal bellissimo Paesaggio con corteo magico del ferrarese Garofalo (1528), nel quale i demoni che attraversano la scena sono un sicuro influsso del maestro fiammingo, così come la rielaborazione seicentesca di Jan Brueghel il Vecchio, che, nella sua Allegoria del Fuoco, presenta una profusione di elementi e figure al limite del bizzarro. Anche il concetto di visione apocalittica segna l’Arte di Bosch, così come quella dei suoi successori, tanto da essere uno dei temi preferiti dei committenti dell’epoca, amanti di quell’iconografia legata alla separazione tra meritevoli e peccatori da parte di Dio. Questa scelta tematica, avvolta nella sacralità ma popolata di mostri e ibridi di ogni tipo, si estese in tutta Europa e, anche, grazie agli spagnoli, nel Perù appena conquistato, come provato dal Giudizio finale di Diego Quispe Tito. La diffusione di stampe, per lo più di area fiamminga e olandese, e in buona parte realizzate da Pieter Huys e dai Brueghel, generò questa enorme fortuna, che giunse anche in Italia, come provato dall’opera del bresciano Giovanni Girolamo Savoldo. Addirittura Pieter Brueghel, per la sua opera ricca di elementi bizzarri e fantasiosi, arrivò a essere definito dalla critica come “secondo Girolamo Bosco”, specie per le sue stampe rappresentanti i sette vizi capitali, nei quali rielaborò gli elementi boschiani in una chiave già pre-barocca, ricca di movimento e di brio.
La conclusione della mostra è affidata all’eredità di Bosch in area asburgica, figlia non solo della casata regnante, ma anche dei mecenati e dei consiglieri di corte che favorirono tale successo. Uno di questi fu il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle, al quale sono legati i bellissimi arazzi esposti che rappresentano, rielaborandole, alcune creazioni di Bosch inserite in grandiose e scenografiche incorniciature architettoniche, oggi custoditi a Palazzo Reale di Madrid. Anche Rodolfo II amò Bosch, tanto da considerarlo un punto di riferimento per le sue Wunderkammern e da richiedere al suo pittore di corte, il milanese Giuseppe Arcimboldo, di riecheggiarne alcuni elementi nel suo ritratto scherzoso composto di frutta e verdura, chiamato Vertumnus.
Bosch. Un altro Rinascimento
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì-mercoledì-venerdì-domenica 10.00-19.30; giovedì-sabato 10.00-22.30
Biglietti: intero 15,00 €, ridotto 13,00 €
Info: www.mostrabosch.it