Cagnaccio e Ferroni a confronto al Diocesano
Il Museo Diocesano ospita, dal 29 giugno al 19 luglio, una mostra-confronto tra due artisti tanto diversi quanto contigui del XX secolo, intitolata Preghiera laica
Cagnaccio di San Pietro e Gianfranco Ferroni sono messi a confronto secondo uno schema che l'associazione organizzatrice, la Milanesiana, ha già sperimentato l'anno scorso a Brera, con l'incontro tra l'iperrealismo di Antonio Lopez-Garcia e Caravaggio sul tema della Cena in Emmaus.
Curata da Elisabetta Sgarbi, la mostra mette a confronto un esponente del Realismo Magico con un artista più concettuale. Cagnaccio di San Pietro (nato Natale Scarpa a Desenzano del Garda nel 1897 e morto a Venezia nel 1946) è stato un pittore innovativo nella sua carica di prorompente realismo: inizialmente futurista, aderì poi, con Casorati, Oppi e Funi, alla corrente del Realismo Magico, dalla quale uscirono i suoi capolavori, come la sensuale e decadente Dopo l'orgia (1928), simbolo del crollo dei ruggenti anni '20.
Il secondo artista è Gianfranco Ferroni (Livorno 1927 - Bergamo 2001), personaggio bizzarro, fuori dagli schemi, se vogliamo anche un po' anarchico, che visse tra Ancona, Tradate, Roma e Bergamo. Era soprannominato Ho Chi Minh per la sua somiglianza con il leader vietnamita.
Le sue prime prove, pittoriche e incisorie, furono frutto di quel Realismo Esistenziale che entrava in contatto con la filosofia di Jean Paul Sartre, ma, con gli anni Sessanta, iniziò ad avvicinarsi alla scomposizione-decomposizione della figura teorizzata da Francis Bacon e al linguaggio pubblicitario della Pop Art. A Roma, a fine anni '70, nel cuore della contestazione giovanile, creò il movimento chiamato Metacosa, in cui la figurazione artistica è spogliata di qualsiasi elemento descrittivo per dare risalto alla luce e al concetto che essa ci suggerisce. Le sue ultime opere, iperrealiste, sono espressione di profonda angoscia e riflessione esistenziale.
Ossessione: questa è la parola chiave del confronto tra due artisti così diversi, non solo dal punto di vista figurativo, ma anche ideologico (più impegnato Ferroni rispetto al distaccato Cagnaccio) e religioso (ateo Ferroni, credente Cagnaccio). La ricerca si basa su un'ossessione della morte che cerca il proprio senso nel materiale o nella vita ultraterrena. Al Diocesano ci invitano a questa riflessione due capolavori. Rosario di Cagnaccio è un'opera del 1936, dai colori ancora giotteschi, eco di un ritorno all'ordine ancora fresco nel tempo. Vi sono raffigurate una donna anziana, in nero, vedova di un pescatore, che stringe tra le mani un Rosario e prega, reggendosi a una sedia che pare dondolante, affinché il mare le restituisca il figlio scomparso come anni prima fece con il marito; accanto a lei, inginocchiate, ma sempre in preghiera, vi sono una donna di mezza età e due ragazze, probabilmente figlia e nipoti dell'anziana, che scrutano verso il cielo. La Fede in Dio di Cagnaccio è evidente, ma, nello stesso tempo, frutto di ricerca: l'anziana chiede aiuto a un Dio che non risponde, in un mare di silenzio straordinariamente evocativo per un'opera da collocarsi in un periodo storico, come il fascismo, fatto di eroismo e di sprezzo del dolore.
Memento mori di Ferroni, invece, è un trittico, del 1997-98, concepito come un dipinto a scomparti della tradizione medievale e rinascimentale. Contrariamente, però, l'artista livornese sceglie, per i tre scomparti, lo stesso tema e la stessa visione iperrealistica riprodotta con lo stampino: un teschio appoggiato su un desco, che diventa quasi ostensorio, altare dedicato al rito laico della morte, materialmente concepita solo come fine vita e non come prosecuzione nell'aldilà.
Il confronto sta soprattutto nelle concezioni della morte e dell'ossessione che hanno i due artisti. Cagnaccio è più metafisico, potentemente narrativo e spirituale, ed esprime ciò nella figura dell'anziana vedova che prega con il Rosario, simbolo per antomomasia di devozione popolare e tradizionale, così come nello sguardo assorto nella preghiera della donna e delle ragazze. Quella di Cagnaccio è preghiera religiosa, affidamento alla Provvidenza e alla Trascendenza, secondo una linea comune al Realismo Magico che identifica il quotidiano con la Religione (si pensi alle maternità di Funi e Oppi), la quale, però, giunge a compimento nell'opera di Ferroni, identificandosi come una "preghiera laica", un'ossessione del "polvere siamo e polvere ritorneremo". In Memento mori, la sfera materiale ha il sopravvento e l'ateo Gianfranco intende mostrare, in un'atmosfera semplice e silenziosa, da cella di un covento francescano, un simbolo non tanto di aurea vanitas, ma della religione del quotidiano tipica del Mondo di oggi e denuncia di un consumismo sfrenato: la tavola su cui è appoggiato il teschio è un semplice desco con una tovaglia bianca inondata di luce e il telo retrostante è una testimonianza diretta di ciò, una Sindone laica che si mostra allo spettatore. Il teschio non è più "oggetto" della prassi artistica, non è più quello di Et in arcadia ego di Guercino o dei sonetti del Seicento, simbolo (moralistico) di caducità e monito all'umanità, ma riflessione su una personale ossessione di un artista malato che sente avvicinarsi la sua ultima ora.
Preghiera laica
Museo Diocesano, Corso di Porta Ticinese, 95, Milano
Orari: martedì-domenica 10-18, lunedì chiuso
Biglietti: Intero 8,00 euro, ridotto 5,00 euro, martedì 4,00 euro