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Cerano e Daniele Crespi: pennelli maledetti? Osservazioni sulla mostra Seicento lombardo a Brera

mostrabrerapprofondimento3E' in corso alla Pinacoteca di Brera la mostra “Il Seicento lombardo a Brera. Capolavori e riscoperte”, inaugurata lo scorso 8 ottobre 2013 a cura di Simonetta Coppa e Paola Strada: una rassegna mirata a consentire la pubblica visione di un nucleo di significative opere lombarde del XVII secolo: 21 tele provenienti dai depositi, normalmente escluse dall'attuale percorso espositivo e destinate ad essere esposte nel futuro progetto museale denominato “Grande Brera”.

Con tutto il rispetto dovuto per tutti gli altri pittori in mostra, (prorogata fino al 9 febbraio!) mi sembra doveroso approfondire la vita e le opere di due tra i protagonisti più significativi: il Cerano e Daniele Crespi.

Giovan Battista Crespi detto “il Cerano” (qui rappresentato in un quadrone con Renato Borromeo) nativo di Romagnano Sesia (NO) e figlio d'arte (il padre è indicato dal Lomazzo come pittore di grottesche) fu caposcuola indiscusso della pittura borromaica: da giovane, con la famiglia ascese più volte al Sacro monte di Varallo Sesia (ora bene Unesco), riempiendosi gli occhi di sacre Vie Crucis ideate dal genio rinascimentale del suo compaesano Gaudenzio Ferrari. Da quel giorno Giovan Battista si specializzò nell'esasperazione di queste indicazioni, dilatando i confini di eventi festosi e domenicali in episodi tetri e funerei.

Il Cerano aveva vissuto personalmente l’esperienza della peste del 1576-7 e con essa l’incontro a tu per tu, nelle sue valli, con San Carlo Borromeo in visita pastorale: un’esperienza che l’avrebbe segnato per sempre.

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Come in un film, il cugino di San Carlo, il cardinal Federico di manzoniana memoria, dal 1602 in poi assegnò proprio al Cerano le maggiori commissioni del tempo: i quadroni dei Fasti (1602) e della Canonizzazione di San Carlo (1610) per il Duomo. Il risalto con le dolcezze del collega bolognese Giulio Cesare Procaccini, altro protagonista della Milano protobarocca, si fece sempre più netto: dalla fine del primo decennio il Cerano iniziò a dare libero sfogo alla sua vena più cupa e tormentata, ai limiti del decoro richiesto dalla pittura controriformata.

Uno dei pezzi forti esposti alla mostra di Brera è l’iconico Cristo nel Sepolcro con San Carlo e altri santi (1610). Asportata dalla chiesa di Santo Stefano e da poco restaurata con interventi finanziati dal Piper e Rotary Club, la tela è contraddistinta da un’imprimitura di base dalle tonalità brune, ideata per dare una voluta impressione di non finito; il maestro sovrappose tinte squillanti e lacche luminose sui paramenti sacri: trucchi del mestiere, affinati col tempo.

Biografia poco nota, quella del Cerano: il pittore ufficiale dei santi, cacciatore e ricco possidente, che condusse la vita brillante e mondana di un don Rodrigo, era intimamente e profondamente tormentato. Nel 1611 compì un atto esecrabile: lo stupro di Camilla Avogadra, indifesa ragazza del popolo. Perché l’amico di principi e cardinali avrebbe mirato a una preda facile? E’ il mistero di un’epoca di luci e ombre: proprio come le tele del nostro pittore. Evidentemente il Cerano se ne pentì, se alla monacazione della poveretta preferì il matrimonio riparatore.

La peste era prossima: contro i tripudi profani del carnevale spagnolo, il Cerano, paladino del Borromeo, contrappose immagini oniriche, allucinati tripudi nell'Aldilà. Negli anni apprese con tinte pastose alla Rubens a lumeggiare armature metalliche come un pittore nordico, pur nell'onnipresente predilezione delle tinte fosche.

Dal secondo decennio del ‘600 a fianco del vecchio maestro iniziò a operare il giovane Daniele Crespi, suo lontano parente di Busto Arsizio.mostra brera approfondimento2

Il Cerano non riuscì a cogliere il confronto con l’allievo della sua stessa Accademia: l'Ambrosiana, da poco inaugurata per volere del cardinal Federico. Propenso a un accademismo devozionale ispirato alla coeva pittura bolognese, a metà degli anni ’20 Crespi dipinse la tela scelta in questa sede come simbolo della mostra: la stupenda Andata al Calvario (1625 circa): un dolente quanto elegante Cristo portacroce, eseguito per la Sala dei Senatori in Palazzo Ducale (oggi Reale). Daniele Crespi, forte delle sue pennellate morbide e dolci, seppe addomesticare perfino gli inserti stilistici caravaggeschi, parte imprescindibile del suo bagaglio culturale.

Poco dopo aver rilevato la prestigiosa bottega di Camillo Procaccini, fin da subito Daniele fu richiestissimo, al punto da inaugurare al cantiere della Certosa di Pavia nuovi cicli pittorici: le Storie di San Bruno, avvolte in cieli azzurri e rosati, sono di un’esplosione barocca inattesa. Eppure anche attorno al giovane si addensarono le nubi del pittore maledetto: la tradizione, infatti, accenna che per ricostruire con naturalezza gli spasmi della morte di un uomo, Daniele si macchiò di omicidio; perciò si sarebbe rifugiato nella Certosa di Garegnano, sotto l’ala protettrice dell’ordine Certosino.

Verità o leggenda? Poco importa. Ben presto l’astro divenne meteora: la terribile peste bubbonica, portata dai Lanzichenecchi nel biennio 1630-31, falcidiò due terzi della popolazione e con essa Daniele Crespi. Il Cerano, invece, sopravvisse all'epidemia per la seconda volta.

Di fronte a grande e nuova catastrofe, il cardinal Federico non ebbe la tempra del celebre Carlo: i fasti della Milano Borromaica furono spazzati via. Eppure, come sempre è accaduto, Milano sarebbe risorta ancora una volta dalle sue ceneri.

            Marco Corrias

Il Seicento lombardo a Brera. Capolavori e riscoperte.

Dall’8 ottobre 2013 al 12 gennaio 2014. Prorogata fino al 9 febbraio 2014.

Pinacoteca di Brera, sale XXX-XXXIV
Via Brera, 28 – Milano
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