I capolavori del Museo di Budapest a Palazzo Reale
Un asse ideale tra Italia e Ungheria, tra Milano e Budapest, è attivo sul piano culturale da settimana scorsa, quando, a Palazzo Reale di Milano, ha inaugurato la grande mostra dedicata ai capolavori del Museo di Belle Arti della Capitale magiara.
Dal 17 settembre 2015 al 7 febbraio 2016, nell'ambito di Expo 2015, le sale del più grande spazio museale milanese ospitano un compendio di pittura italiana, europea e ungherese dal XVI al XX secolo, seguendo una linea che va dal Rinascimento alle avanguardie storiche. I due poli, paralleli dal punto di vista geografico, ma complementari da quello artistico, sono l'Italia e l'Ungheria: due mondi diversi, l'una patria dell'Arte, l'altra Paese rurale, in cui l'universo culturale è sempre stato monopolio di poche, nobili famiglie, come i famosi conti Esterhàzy.
Nel mezzo, si inseriscono i grandi protagonisti della stagione "europea" della pittura, specie tra '600 e '800, che chiudono il cerchio relazionale italo-ungherese su cui è imperniata la mostra. Non si tratta di un'esposizione quantitativamente grande (sono settantasei le opere esposte), ma qualitativamente significativa, soprattutto per il risalto dato alla pittura ungherese, dall'ignoto fiammingheggiante Maestro di Okolicsnò, vissuto nel Cinquecento, alla ritrattistica settecentesca, memore di Venezia e della sua supremazia, di Adam Manyòki, fino al simbolismo di sapore viennese di Vaszary, al mondo "fauvista" di Marffy e all'astrattismo di Borytnik.
L'Ungheria, per secoli, risentì dell'influsso di Vienna e dell'area tedesca, nella sua componente bavarese, come provato dalla presenza in mostra di Cranach e Altdorfer, sia nella pittura religiosa devozionale come nella grande decorazione barocca e rococò, in cui i maestri si chiamavano Rottmayr, Maulbertsch, Gran e Troger: tutti austriaci. I pittori ungheresi si formavano a Vienna, a Monaco o, anche, a Parigi e a Roma, ma la madrepatria magiara li conduceva a tornare nella puszta, la mitica pianura colonizzata dagli Ungari, a lavorare dapprima a pale d'altare, decorazioni di chiese e palazzi sontuosi come quello di Godollo, e, successivamente, a soggetti profani, ritratti, paesaggi e nudi. Una pittura onnicomprensiva, insomma, che questa mostra svela anche a chi, di Arte, esperto non è.
Le opere esposte sono state tutte acquistate da collezionisti, prevalentemente aristocratici, ungheresi tra la fine del '700 e l'inizio del '900. Il percorso, come ben dice il titolo, Da Raffaello a Schiele, parte dalla mano del grande maestro di Urbino, con uno dei suoi capolavori, la Madonna Esterhàzy, del 1508, affiancata da un disegno preparatorio di Leonardo per la sua più grande impresa fiorentina che fu La battaglia di Anghiari. Si intende, pertanto, partire dalla radice, dal rigagnolo di fonte della Rinascita, che fu Firenze, per poi passare a Venezia, l'altra sorgente da cui sgorga il ruscello che forma il fiume Rinascimento. Per l'Arte lagunare, non a caso, sono stati scelti non Giovanni Bellini, i Vivarini, Giorgione o Bartolomeo Montagna, ma i maestri che influenzarono l'ambiente artistico mitteleuropeo: Tiziano, Paolo Veronese e Jacopo Tintoretto.
Del primo è esposto il solenne e austero Ritratto del doge Marcantonio Trevisan, del 1576, mentre del Caliari è il Ritratto d'uomo, precedente di circa vent'anni, ma già imperniato di quei colori e di quel trionfo architettonico che saranno i suoi marchi di fabbrica, e del Robusti è la Cena in Emmaus, del 1542, intensa nei gesti e nelle espressioni. Non solo il Rinascimento italiano, ma anche quello tedesco, influenzò la Mitteleuropa, e non è un caso che siano esposte opere attribuite ad Albrecht Durer o la bellissima Salomè di Cranach il Vecchio, così come la grande stagione del Barocco europeo, con pesi massimi del calibro di Velazquez (Il pranzo, 1618-19), Rubens (una Testa d'uomo preparatoria per una pala destinata ad Anversa) e con il caravaggismo spinto all'emancipazione e alla ribellione di Artemisia Gentileschi, con la sua fiera Giaele che uccide Sisara del 1620.
Il collezionismo ungherese è riuscito anche ad ampliare le raccolte di Budapest con opere di maestri olandesi e fiamminghi del Seicento, come il disegno di Rembrandt raffigurante la moglie Saskia alla finestra del 1635 circa, o lo scenografico Muzio Scevola davanti a Porsenna, dipinto a quattro mani da Rubens e Anthonis Van Dyck tra il 1618 e il '20. Con il Settecento, in Ungheria, si è affacciata l'influenza dei grandi decoratori veneziani: Giambattista Tiepolo influenzò, dalla Laguna, artisti come Rottmayr, Maulbertsch e Troger, i quali, a loro volta, ispirarono i pittori ungheresi, mentre Sebastiano Ricci fu direttamente a Vienna, dove morì nel 1734. Del Tiepolo è esposto il San Giacomo che appare nella battaglia di Clavijo, del 1749-50, dipinto prima della campagna decorativa bavarese a Wurzburg, che venne rifiutato dal committente spagnolo a Londra e, quindi acquistato dai magiari a fine secolo, e, del Ricci, una veronesiana Betsabea al bagno, prototipo di "femme fatale" simbolista inserita in un contesto che più classicista non può essere. Completano la sala del XVIII secolo due preziose vedute, una fiorentina di Bellotto e un'altra della riviera del Brenta, a Dolo, di Canaletto.
Con l'Ottocento inizia a farsi più stretto il parallelismo tra Ungheria ed Europa: se, da un lato, il modello ritrattistico di Goya ha cominciato a farsi imperante (Ritratto di Manuela Camas y de las Heras), dall'altro il paesaggio "romano" di Corot ha influenzato artisti magiari come Karoly Markò: sono notevoli le somiglianze tra i Cacciatori di nidi del primo e il paesaggio tiburtino del secondo, specie nella scelta del naturalismo più puro e istantaneo. Per il tramite delle Sirene di Rodin, si passa al sogno, a tratti incubo e ad altri estatico, del simbolismo di Bocklin (Il centauro dal maniscalco del villaggio, 1888), di Segantini (L'angelo della vita, 1894-95) e di Stuck (il sensuale Bacio della Sfinge del 1895), a cui si accostano artisti magiari che guardano già alla nascente secessione viennese e allo Jugendstil. Il percorso si conclude con l'apporto ungherese alle Avanguardie: le opere di Marffy e Bortnyik sono affiancate a episodi di Impressionismo, come La donna con ventaglio di Manet, di Post-Impressionismo, con il profondo e desolante Buffet di Cezanne o i Maiali neri di Gauguin, e all'Espressionismo di Kokoschka (il funereo Velo della Veronica) e Schiele (con il saffico Due donne che si abbracciano).
Da Raffaello a Schiele. Capolavori dal Museo di Belle Arti di Budapest
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì 14.30 - 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 - 19.30
giovedì - sabato 9.30 - 22.30
Biglietti: 12,00 euro intero
10,00 euro ridotto
6,00 ridotto speciale