Skip to main content

I disegni dei grandi del Settecento veneto in mostra al Castello Sforzesco di Milano

Il Settecento è stato uno dei periodi di massima fioritura artistica in Italia e, in questo secolo, la Pittura e l’Architettura sono divenute elemento da esportazione, oltre che modello da imitare, quasi al pari del nostro Rinascimento. Il XVIII secolo, però, è stato uno dei momenti in cui anche il disegno ha iniziato ad affrancarsi da uno status di bozzetto, di “modelletto”, per divenire opera autonoma e richiesta dai grandi collezionisti. Tutte le scuole pittoriche italiane, dalla piemontese alla milanese, dall’emiliana alla napoletana, hanno annoverato grandi pittori che sono stati, nello stesso tempo,  valenti disegnatori, anche se la grafica qualitativamente più significativa della Penisola è stata quella veneta, e veneziana in particolare, e i cui esponenti sono stati gli artisti di spicco del periodo più significativo dell’Arte lagunare dopo il Rinascimento.mostra castello disegni settecento

A loro è dedicata la mostra che inaugura, presso il Castello Sforzesco di Milano, i nuovi spazi espositivi dell’Ospedale Spagnolo, a cui si accede dall’arco d’ingresso alla Piazza d’Armi provenendo da Cadorna, sulla destra. Qui, dal 15 settembre al 19 dicembre 2021, è possibile osservare da vicino un corpus grafico di notevole interesse, proveniente dalla Civica Raccolta di Stampe Achille Bertarelli, che, per la sua natura e la sua rarità, dev’essere conservato in appositi locali difficilmente accessibili al pubblico e, pertanto, risulta esterno all’usuale percorso di visita del Castello. Tale patrimonio, giunto alla Bertarelli tramite differenti donazioni da famose collezioni private, come quelle dei conoscitori Giovanni Morelli e Gustavo Frizzoni, testimonia la varietà di generi pittorici e grafici nella Venezia del XVIII secolo, esplicata attraverso i lavori dei Tiepolo, dei vedutisti Canaletto e Bellotto, e di Giambattista Piazzetta, ovvero coloro che fecero della città lagunare un centro artistico europeo e internazionale, e che esportarono al di fuori della Serenissima i nuovi canoni stilistici già pervasi dal nascente Illuminismo, ma ancora saldamente legati all’ancien regime, specie nelle committenze. 

Non è un caso che la mostra si apra con una traduzione ad acquaforte di Giandomenico Tiepolo, della Venezia che riceve da Nettuno i doni del mare, eseguita quasi in contemporanea alla tela del padre, del 1745, per Palazzo Ducale: i due Tiepolo, sotto l’aspetto grafico, rappresentano un tutt’uno, e sono inscindibili l’uno dall’altro. Anzi, potremmo dire che Giandomenico sia stato, per l’incisione, quello che Giambattista ha rappresentato per la Pittura europea: un Genio, oltre che un maestro. 

Proprio Giambattista Tiepolo (1696-1770) è il punto di partenza, con un piccolo corpus di scene chiamate “Capricci”, degli anni ’30, che, anche grazie alla riscoperta delle antichità romane, verso la fine del Secolo, con Piranesi e Pannini, sarebbero divenute un genere pittorico a parte, aprendosi verso il Neoclassicismo. Il Tiepolo fu innovatore della pratica pittorica, con lo schiarimento della tavolozza ottenuto dopo aver letto la traduzione italiana dell’Ottica di Newton, ma ancora, tematicamente e a livello di committenza, rimase legato al passato. Fu, però, anche un precursore, e i suoi capricci lo testimoniano alla perfezione, con soldati e scheletri che popolano paesaggi desolati segnati da rovine classiche che, sicuramente, il maestro mediò dalla grandiosità di Paolo Veronese ma che sembrano anticipare anche le opere della fine del secolo. Si tratta di scene di difficile interpretazione, quasi da caleidoscopio per un artista che fece, della facile comprensibilità per tutti, un marchio di fabbrica.

Il Tiepolo, però, da valente disegnatore quale fu, si rivelò anche un abilissimo caricaturista, in linea con il gusto scherzoso e giocoso tipico del Settecento, e di quello veneziano in particolare, ma con un messaggio morale da seguire. Le sue caricature (ne eseguì circa trecento) non sono un voler ridere della deformità, bensì una riflessione, in chiave giocosa, su di essa, oltre a una velleità di mettere a nudo i caratteri umani attraverso una sua esasperazione. In mostra sono esposti alcuni fogli, provenienti dalle collezioni Morelli e Frizzoni, datate agli anni ’50, che rappresentano tipi fissi della Venezia dell’epoca, “caratteri” da canovaccio teatrale che paiono usciti dalle contemporanee commedie di Carlo Goldoni, rappresentati senza violenza grafica e luministica, ma attraverso un’ancora barocca celebrazione del bello nella deformità. Il tratto veloce a penna e le ombre accennate a pennello acuiscono ancora di più la verve umoristica delle opere grafiche tiepolesche. 

A seguire le orme paterne fu Giandomenico (1727-1804),  primogenito di Giambattista il quale, sin da giovane, mostrò una spiccata propensione al disegno, che, per tutta la vita, alternò alle prove pittoriche prima accanto al padre e poi da solo. Nella grafica, però, Giandomenico accentuò ancora di più la caratterizzazione fisiognomica paterna, oltre al contributo che diede alla diffusione a stampa delle opere di Giambattista: per questo motivo, credo sia corretto sostenere che il figlio fu, per la Grafica, quello che suo padre fu per la Pittura. In mostra si trovano due fogli, risalenti alla fine anni ’50 – inizio ’60, raffiguranti animali, che risultano fortemente influenzati dalle prove pittoriche eseguite con il padre negli anni precedenti, come la decorazione della Villa Valmarana a Vicenza, insieme allo straordinario foglio con studi su pipistrelli, in cui la resa anatomica delle ali del mammifero costituisce un capolavoro della sua produzione grafica, risalente agli anni ’80. Sono esposti, inoltre, due disegni a tema mitologico: uno, dedicato alle dodici fatiche di Ercole, con il combattimento con gli uccelli presso il lago Stinfalo, in cui Giandomenico raffigurò gli uccelli come arpie in pose sensuali, e un altro rappresentante l’allegoria del fiume Tevere, ancora in linea con la produzione vicentina accanto al padre. Di Giandomenico è esposto anche lo straordinario corpus dedicato alla Fuga in Egitto, opera del 1753, un album eseguito a Würzburg mentre era al seguito del padre, impegnato nella decorazione della residenza per il principe Karl Philip von Greiffenklau: si tratta di ventisette lastre di rame incise in cui l’artista rivelò interesse per un tema molto popolare nell’Arte italiana ed europea, calandolo in una dimensione quotidiana, visti i numerosi dettagli estrapolati dalla vita domestica, e traducendolo in chiave realistica, evidente nei paesaggi solcati da fiumi e rovine. 

Seguono alcune incisioni di Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768), raffiguranti, in due esemplari, ad acquaforte, la Torre di Malghera, una fortificazione quattrocentesca costruita dalla Serenissima a difesa della Laguna. Nella prima possiamo notare un accentuato realismo nella scelta di raffigurare, sulla destra, pescatori e gondolieri, mentre, nella seconda, le ombreggiature sono più evidenti e rendono un’atmosfera più rarefatta. Canaletto si dedicò ampiamente alla grafica dopo il suo primo viaggio in Inghilterra: non è un caso che uno dei primi committenti delle sue incisioni sia proprio quel console Joseph Smith che aveva commissionato opere al Tiepolo e che aveva fatto conoscere, in terra albionica, alcuni tra i maggiori esponenti della Pittura veneziana dell'epoca. Fu Smith a commissionare a Canaletto una serie di vedute immaginarie, al limite del capriccio, di città realmente esistenti, del cui album sono esposti i due fogli raffiguranti una Venezia rarefatta e una Padova molto simile all’Alessandria d’Egitto rappresentata da Giovanni Bellini e da Carpaccio. La carica rivoluzionaria di Canaletto, nell’incisione, sta nella resa pittorica del dettaglio, ottenuto attraverso una precisa tecnica che gli consentì di trasformare, su lastra, l’istantanea del plein-air in un’atmosfera che cala le vedute in una dimensione avvolta dalla luce e dal silenzio, in cui i soli rumori immaginabili sono quelli delle onde e delle barche che le solcano.

A proseguire la sua opera fu il nipote Bernardo Bellotto (1722-80), che, anche grazie alle fortune dello zio, poté viaggiare in Italia e in Europa, trasformandosi in uno dei più fedeli paesaggisti della Storia dell’Arte. Bellotto giunse nel 1747 a Dresda, e qui il principe Federico Augusto II di Sassonia gli commissionò alcune vedute della città, eseguite successivamente al rinnovamento barocco del Centro Storico, da lui promosso e ispirato a modelli italiani, tra cui Roma e Venezia. In due momenti, tra il ’47 e il ’59, Bellotto le tradusse ad acquaforte, facendo conoscere a un pubblico ampio il rinnovato aspetto della capitale sassone: di questa serie sono esposte la veduta della Hofkirche (la cattedrale cattolica di Dresda) e quella delle fortificazioni dello Zwinger, entrambe meravigliose nella resa precisa e realistica del dettaglio in linea con la Cultura illuminista del tempo. Queste incisioni, due secoli dopo, sarebbero state la base per la ricostruzione di Dresda dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

A concludere la mostra è la figura di Giambattista Piazzetta (1683-1754). Piazzetta fu l’anti-Tiepolo per antonomasia: contrariamente al suo (quasi) coetaneo, già proiettato verso lo schiarimento della tavolozza e l’apertura di Venezia all’Europa, il Piazzetta rimase fedele ai dettami chiaroscurali del Seicento veneziano, e venne definito “tenebroso” per il suo modo di dipingere, ancorato a maestri come Lyss, Zanchi o al tardo Bernardo Strozzi. Così come furono “tenebrosi” i suoi allievi Angeli, Cappella e Maggiotto. Il Piazzetta dipinse molti soggetti sacri, ma fu anche un valente ritrattista e un bravo incisore. Un genere in cui emerse, così come i suoi allievi, fu quello delle Teste di carattere, una sorta di contrappunto alla produzione caricaturista del Tiepolo: si tratta di opere grafiche di piccolo formato, destinate al collezionismo, raffiguranti soggetti popolari, colti nella loro quotidianità con notevole realismo, ma anche con un tocco di chiaroscuro, in linea con la produzione pittorica del maestro. Degno di nota è il foglio raffigurante il Feldmaresciallo von Schulenburg, nobile sassone che fu grande ammiratore e collezionista di Piazzetta, in cui l’artista lo raffigura con lo sguardo fiero rivolto a noi, attraverso tocchi rapidi di carboncino e penna che rendono l’aspetto chiaroscurale della Pittura del maestro.

Tiepolo, Canaletto e i maestri del Settecento veneziano nei disegni e nelle stampe del Castello Sforzesco
Castello Sforzesco, Piazza Castello, Milano
Orari: martedì – domenica 10.00 – 17.30
Ingresso gratuito
Info: milanocastello.it/

Pin It