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La Cina vista da Cartier-Bresson in mostra al MUDEC

Uno dei Paesi che ha fatto la Storia del XX secolo è al centro della nuova mostra allestita al MUDEC di Milano.

Obiettivo dell’esposizione, infatti, è farci scoprire e approfondire l’evoluzione storica e sociale della Cina a cavallo tra la fine degli anni ’40 e i ’50, attraverso la fotografia di uno dei più grandi maestri di quest’Arte, ovvero Henri Cartier-Bresson (1908-2004). Il fotografo francese è stato non solo uno dei massimi esponenti dell’istantanea novecentesca, ma anche uno dei padri del fotoreportage contemporaneo. La mostra, ospitata nell’area fotografica del museo di Via Tortona, dal 18 febbraio al 3 luglio 2022 e curata da Michel Frizot insieme a Ying-Lung Su, attraverso un centinaio tra fotografie originali e documenti d’archivio, intende farci scoprire due dei passaggi fondamentali per la Storia cinese del Novecento, ovvero la caduta del Kuomintang, il partito nazionalista del generale Chiang-Kai Shek e di Sun-Yat Sen, avvenuta tra il 1948 e il ’49, e l’avvento del comunismo, negli anni ’50, sotto la guida di Mao Zedong.

La sua mitica Leica, con cui Cartier-Bresson lavorò, ha immortalato momenti significativi della Storia cinese del Novecento, tra cui anche alcuni aspetti che la propaganda di regime tendeva a tenere nascosti, come l’onnipresenza dei militari nelle strade di Pechino e Shanghai. Il suo stile, attraverso questi due reportage, tende ad approfondire quel realismo che lo ha sempre contraddistinto, lavorando molto sul bianco e nero, tecnica che gli ha permesso di rappresentare, in un tutt’uno, forma ed essenza dei soggetti immortalati e di cogliere a pieno la contemporaneità della vita quotidiana cinese. 

Henri Cartier-Bresson, Nella Città Proibita, diecimila reclute si allineano a formare un nuovo esercito nazionalista, Fondazione Henri Cartier-BressonIl primo reportage dalla Cina, per Cartier-Bresson, fu quello commissionatogli da Life nel 1948, per rappresentare gli ultimi giorni di Pechino prima dell’arrivo delle truppe maoiste: il soggiorno, previsto di due settimane, sarebbe durato dieci mesi. In queste foto, il realismo istantaneo delle sue foto tende a focalizzarsi sulla quotidianità della città e della sua umanità, ma anche su dettagli privati, come provato dagli scatti riguardanti il rito funebre di un’anziana, con tutta l’annessa ritualità tipicamente orientale. Dopo la fuga da Pechino, il fotografo francese ripiegò a Shanghai, ancora sotto il controllo nazionalista: qui immortalò una serie di tumulti e sommosse, nel mezzo dei quali si trovò fortuitamente, legate alla svalutazione della moneta. Le sue immagini sono cariche di tensione e fanno cogliere il senso di panico che, in quei difficili giorni, si venne a creare tra la popolazione della grande città del Sud, come provano gli scatti sulla strada principale con la folla accalcata davanti alle banche o il ragazzo ferito dopo gli scontri. A Shanghai, Cartier-Bresson raffigurò anche l’umanità della città, con le misere abitazioni dei poveri, i cosiddetti sampan, imbarcazioni trasformate in case galleggianti, accanto ai soldati nazionalisti in fuga dall’avanzata maoista. Molte sono anche le raffigurazioni dei bambini, gli unici che riuscivano a sorridere, tra cui spiccano quelli indigenti che venivano soccorsi ed educati dal China Welfare, l’associazione creata dalla vedova di Sun-Yat Sen con finalità pedagogiche. 

Henri Cartier-Bresson, In un manifesto dipinto a mano, il pugno  comunista sopprime il cane nazionalista, Fondazione Henri Cartier-BressonSuccessivamente, Life richiese a Cartier-Bresson un nuovo reportage, da Nanchino, all’interno delle linee maoiste, ma il tentativo fu vano, in quanto venne catturato e recluso per cinque settimane. Fu a questo punto che il fotografo decise di dedicarsi a una serie di immagini riguardanti le antiche tradizioni e i rituali che i pellegrini seguivano nei santuari di Hangzhou: in queste istantanee, colse momenti di adorazione quasi mistica ma anche curiosi episodi di superstizione, come la donna che sputa sulla statua di un generale traditore. Nel 1949, riuscì a tornare a Nanchino, rappresentando una città sospesa nell’attesa di un futuro indefinito, tra rifugiati e soldati fermi e privi di ordini, ormai in rotta. Nei suoi giorni di permanenza in città, però, si interruppero le trattative di pace tra nazionalisti e comunisti e le truppe maoiste entrarono nell’ormai ex-capitale, acclamate da studenti che ballavano alcune danze tradizionali e scandivano slogan anti-capitalisti: i cortei immortalati a Nanchino sono, forse, tra le più intense prove del realismo di Cartier-Bresson. In questa fase, il fotografo immortalò anche i primi tazebao, i manifesti che, poi, sarebbero diventati tipici della propaganda di Mao, come la celebre immagine che raffigura il pugno comunista che abbatte il cane nazionalista. 

Tornato, poi, a Shanghai, anch’essa ormai sotto il controllo comunista, vi immortalò altri cortei studenteschi contro l’inflazione a cui era sottoposta la nuova moneta cinese, ma, nei quali, ormai era evidente l’esaltazione del nuovo potere di Mao, del quale venivano portati in piazza i ritratti, insieme al simbolo della stella rossa. A Shanghai, Cartier-Bresson poté lavorare a una serie di rullini dedicati al lato sociale della grande città, in cui gli artigiani lavoravano senza sosta, ma dovette rinunciare a vari soggetti causa censura: si dedicò, sostanzialmente, a immortalare pittori di ideogrammi oppure mercanti di strada, anche se non mancò qualche piccola eccezione, con quell’angolo di strada in cui campeggia un manifesto di un film americano oppure la bottega in cui un fotografo aveva sostituito i ritratti di Chiang-Kai Shek con quelli di Mao. Nei mesi successivi, le foto di Cartier-Bresson si focalizzarono sulle grandi parate del nuovo regime comunista, nel luglio del 1949, con tutto il brulicare di folla a esse legato; in queste manifestazioni, era molto presente la simbologia tradizionale, come provato dall’immagine dei portuali in corteo con il dragone, loro emblema, insieme a denunce del capitalismo e dell’imperialismo, soprattutto in chiave anti-americana. Furono i suoi ultimi scatti a Shanghai, prima di lasciare la città, nel settembre del ’49, in direzione Hong Kong, dove, su commissione britannica, lavorò a istantanee sulla vita della colonia inglese, in cui usi e costumi apparivano molto diversi rispetto a quelli che aveva lasciato a Shanghai.

In conclusione della mostra, troviamo alcuni scatti del suo reportage cinese per la Magnum, effettuato dieci anni dopo il lavoro per Life. A Cartier-Bresson, venne commissionato un nuovo corpus fotografico per documentare il decimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese e quello che venne chiamato “Il grande balzo in avanti”, ovvero il secondo piano quinquennale lanciato da Mao nel 1958. Pur godendo di una serie di vantaggi legati alle sue simpatie comuniste, il fotografo francese si trovò, però, a dover seguire le linee guida imposte dal potere con il fine di rappresentare le grandi opere eseguite dal regime: percorse circa dodicimila chilometri, raffigurando dighe in costruzione, stabilimenti siderurgici, scuole tecniche e villaggi rurali, con la conseguente esaltazione del lavoro operaio e contadino. Nelle città, però, il fotografo realizzò, di frequente, immagini di denuncia dello sfruttamento della manodopera e del lavoro manuale a causa della carenza di macchinari, ma anche del crescente militarismo, legato all’onnipresenza dei soldati e alla propaganda di regime. 

Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-49/1958
MUDEC, Via Tortona 56, Milano
Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì-mercoledì-venerdì-domenica 9.30-19.30; giovedì-sabato 9.30-22.30
Biglietti: intero 12,00 €, ridotto 10,00 €
Info: mudec.it

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