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Attentati dell’ISIS in Francia: impressioni di un’italiana che vive a Parigi

  • Francesca Martinelli

parigi paceNon so da dove cominciare per scrivere questo articolo, ma sento di non potermi esimere dal commentare quanto accaduto e quindi cercherò di mettere un ordine nei molteplici pensieri che continuano ad affiorare uno dopo l’altro. Premetto solo che per una serie di casi fortuiti legati al lavoro, non mi trovavo a Parigi ieri sera, ma in Italia. A Parigi devo tornare domenica sera; adesso vedremo.

Un primo pensiero va ai morti, ai coetanei che si stavano godendo il venerdì sera così come facciamo tutti. Ma loro sono morti. Morti perché sono andati a un concerto, al ristorante, perché passeggiavano per strada… e questo sarebbe potuto capitare a chiunque abiti a Parigi, sottoscritta inclusa. Quante volte con il mio ragazzo siamo andati in un ristorante in zona Les Halles e poi al cinema che si trova sotto la piazza nel centro commerciale? Quanti venerdì con i miei amici usciamo a Oberkampf (vicino al Bataclan) per bere qualcosa in uno dei mille locali che popolano quella zona? E quante chiacchierate e passeggiate fatte nella zona del Canal St. Martin?

Questo attentato ha attaccato la quotidianità dei giovani. Ma è evidente che non è solo questo per me e per chi come me vive a Parigi. Questo attentato ha colpito direttamente i miei amici, ha attaccato me.

Ieri notte per me è stato un bollettino di guerra.

Un continuo contattarsi a vicenda, un continuo chiedersi: “Stai bene anche tu?”, “Dove siete adesso?”, “Sei arrivato a casa?”, …

Alcuni amici sono riusciti a tornare a casa in bicicletta o taxi (gratuiti ieri notte) dopo essere rimasti per ore barricati in un bar. Altri amici non sono riusciti a tornarvi e si sono rifugiati da un amico più vicino. Altri ancora hanno usato #PorteOuverte e sono stati accolti per la notte dai parigini che hanno aperto le loro case per ospitare coloro che non riuscivano a tornare a casa. Gli amici allo stadio sono stati quelli che paradossalmente hanno avuto meno problemi: da dentro non si è sentito pressoché nulla e sono stati evacuati alla fine della partita.

E l’ordine a Parigi era di barricarsi in casa, perché nelle vie vicine dei folli si aggiravano con i kalashnikov e ammazzavano le persone.

A Parigi.

A Parigi dei folli hanno ucciso delle persone con kalashnikov, granate e facendosi esplodere.

Sembra un accostamento di frasi surreale anche a scriverlo.

Ma è così, proprio a Parigi è accaduto tutto questo. A Parigi la ville lumière, a Parigi dove molti italiani come me arrivano per avere opportunità di studio o lavoro che non esistono per loro in Italia, per fare un’esperienza all’estero, per visitare una delle città più belle del mondo.

Sgomento, terrore, un nodo allo stomaco.

Orrore.

E quando si prende respiro e si razionalizza un momento le domande inevitabili: perché proprio Parigi? Perché di nuovo? Perché i giovani?

Non esiste il caso nel terrorismo, non esiste intercambiabilità. E quando respiri l’aria di Parigi per un po’, quando osservi nella sua vita la vita della Francia portata all’estremo di una capitale centro della nazione e del mondo, emergono molte ragioni. Anche se ovviamente nessuna giustificazione.

Mi ricordo perfettamente il giorno dell’attentato a Charlie Hebdo. Dovevo prendere l’aereo quel 7 gennaio per tornare a Parigi; aereo che non presi. Ricordo che si chiedevano chi fossero gli attentatori e dentro di me pensavo: “Saranno ragazzi delle banlieu parigine di origini tunisine e algerine che si sono rivoltati”. E così è stato.

Nessuna dote di premonizione. Nessun pregiudizio razzista nei confronti di coloro che appartengono a quelle nazionalità. Solo una constatazione basata su una serie di dati di fatto.

La Francia è una nazione con una storia molto diversa dall’Italia. Una storia di rivoluzione, di nazionalismo, di affermazione di libertà, di uguaglianza e laicità, ma anche una storia di colonialismo e prevaricazione su altri popoli. E anche se il predominio francese effettivo è finito da decenni, non mancano le forme di neocolonialismo che si esprimono attraverso il controllo economico delle risorse dei paesi che si trovavano sotto il suo potere. Queste forme di neocolonialismo si riflettono anche nel modo di ragionare e gestire le politiche di una parte della classe dirigente del paese. A questo si legano anche le politiche guerrafondaie di una nazione che più di molte altre è coinvolta negli scontri in Medio Oriente, e non solo.

Questi aspetti rendono la Francia una nazione in una posizione particolarmente rischiosa, facilmente trasformabile in bersaglio dai terroristi che con atti come quelli di ieri cercano di rivolgere le scelte strategiche dei paesi occidentali a loro favore.

In alcune parti della capitale l’insofferenza che nasce da questa situazione si traduce in proselitismo, in fanatismo, in licenza di uccidere in nome di un Dio di cui pronunciandone il nome nel sangue è trasformato in bestemmia.

Ma non voglio fare di tutta l’erba un fascio e voglio farvi presente che questi soggetti sono davvero pochi. E questa è la cosa più importante che voglio sottolineare prima di chiudere.

La storia della Francia colonialista l’ha resa una nazione aperta alla diversità, alle culture, alle religioni. Chiunque si sia recato a Parigi almeno una volta non può non averne notato la grande ricchezza culturale e sociale. Parigi è un esempio di libertà, di autodeterminazione, di equilibrio tra persone che vengono da realtà anche molto differenti tra loro. Una storia che trasforma il concetto di immigrazione in movimento dei popoli, popoli che a Parigi trovano il loro spazio e si inseriscono nel suo tessuto sociale in nome della libertà e dell’uguaglianza.

Proprio in ragione di questa libertà che si vuole negare ieri sera Parigi è stata attaccata e proprio per questo sono stati colpiti i giovani, perché i giovani sono coloro che per primi vivono la differenza non solo come la normalità, ma come un valore aggiunto. Ieri si è cercato di minare con il sangue il futuro di una nazione nelle cui vite è possibile superare le contraddizioni politiche ed economiche che la storia della Francia porta con sé.

Ma non dimentichiamoci che oltre alla libertà e all'uguaglianza, i francesi proclamano anche la fraternità. Per questo chiedo a voi tutti – e in particolare a coloro che dopo questi atti di folli, di bestie, non di uomini, attaccano semplicisticamente l’Islam e gli immigrati inneggiando a una nuova crociata – di fissare bene questo concetto nella vostra testa se volete non solo rispettare i morti che ci sono stati ma anche partecipare alla costruzione di un futuro dove atti simili invece di moltiplicarsi scompariranno.

Dobbiamo smetterla di reagire alla nostra paura con atti che generano altrettanta paura e una serie di reazioni a catena. Dobbiamo smetterla di pensare che finché le cose accadono da un’altra parte allora non ci riguardano. Dobbiamo smetterla di farci guidare da ideali populisti e aneddotici.

Deve essere il riconoscimento dell’altro come fratello che deve guidare le nostre scelte. Solo allora le nostre decisioni saranno decisioni di pace, di amore, di rispetto. Quando invece di combattere con le armi e con l’odio, sceglieremo l’amore, solo allora apriremo la strada per un nuovo mondo non dominato dall'ignoranza, dalla paura e dalla violenza.

E cominciamo da oggi, perché domani rischia di essere già troppo tardi.

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