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Costituzione Italiana e norme comunitarie: dubbi e incongruenze

  • Mirella Elisa Scotellaro

costituzione italiana

«La sovranità appartiene al popolo che la esercita …»

Così recita l’atto fondativo della nostra Repubblica, ma c’è da chiedersi se di questi  tempi abbia ancora un senso parlare della forza della Costituzione, specie in riferimento al menzionato testo  solenne dell’art. 1.

A quale sovranità - e a quale popolo si pensa di alludere - se il “potere sovrano” degli Italiani rischia di ridursi ad un vuoto dettato costituzionale, superato da normative comunitarie sempre più invasive, mentre i governi nazionali si comportano quasi avessero abdicato in favore di un carrozzone di euroburocrati spendaccioni e subalterni al potere finanziario delle banche?

I dubbi si moltiplicano esaminando alcuni articoli del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Nell’art. 3 si stabiliscono “le materie di competenza esclusiva dell’Unione”, sulle quali dunque i singoli Stati membri non possono più interferire:

  • L’Unione doganale;
  • La politica monetaria dell’euro;
  • La regolamentazione della concorrenza nell’ambito del mercato comune;
  • La regolamentazione della pesca;
  • La regolamentazione della politica commerciale.

Si potrebbe sostenere – senza troppo discostarsi dalla realtà – che tutti gli aspetti fondamentali della vita e del lavoro delle persone oggi in Europa vengano decisi e regolati da un ristretto gruppo di “potenti”, quasi sempre autoreferenziali e non eletti per via democratica; per di più (cosa ancor più grave, se possibile), non è dato avere certezze circa il reale programma di governo di questi signori, poiché  - verosimilmente - buona parte delle “manovre” retrostanti al loro operato resta confinata nell’impenetrabile labirinto dei giochi di palazzo, non risultando affatto chiaro fino a che punto il perseguimento degli interessi dei cittadini europei sia davvero l’obbiettivo primario delle attività delle istituzioni comunitarie, vista e considerata la persistente quanto precaria condizione economica in cui versano i Paesi membri.

In base all’art. 207 del Trattato sopra citato, (par.1 del TFUE), l’Europa ha stabilito le linee-guida della politica commerciale comune «in particolare per quanto concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di accordi tariffari e commerciali relativi agli scambi di merci e servizi, e gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, gli investimenti esteri diretti, l’uniformazione delle misure di liberalizzazione, la politica di esportazione e le misure di protezione commerciale».

unione europea euroLa Corte di Giustizia europea, col passare degli anni, ha ulteriormente rafforzato la posizione delle istituzioni comunitarie a scapito dell’autonomia degli Stati membri, fornendo un’interpretazione estensiva del concetto di “politica commerciale”; la Corte ha riconosciuto infatti che “solo la Comunità è competente a stipulare gli accordi multilaterali relativi al commercio dei prodotti”, lasciando così agli Stati unicamente la facoltà di potersi inserire – in riferimento a “procedure particolari” – all’interno di accordi di associazione, con la palese finalità di far riempire qua e là soltanto piccoli spazi di “autogestione” lasciati vacanti dalle istituzioni europee.

Con sentenza del 31 marzo 1971, la Corte europea ha deciso che  «tutte le volte che la Comunità ha adottato delle disposizioni contenenti, sotto qualsivoglia forma,  norme comuni, gli  Stati membri non hanno più il potere – né individualmente, né collettivamente – di contrarre con Stati terzi obbligazioni che incidano su dette norme».

E, col trascorrere degli anni, la stessa Corte si è spinta ben oltre, sostenendo (con parere n. 2/91 datato 19 marzo 1993, in Raccolta 1993, p. I-1061), che la predetta “competenza” della Comunità nella conclusione di accordi “non può essere limitata” dalle norme europee predisposte per l’attuazione di una politica comune. Detto in altri termini, le istituzioni europee si sarebbero investite di fatto – e senza la partecipazione del consenso popolare - di una competenza propria, assoluta ed esclusiva, tanto da poter sottoscrivere accordi internazionali anche quando la portata di questi dovesse risultare “incompatibile” con alcune norme comunitarie già approvate nell’interesse della politica comune. L’unico limite concreto per la definizione degli accordi sarebbe rappresentato dall’esistenza dei Trattati, che in ogni caso non dovrebbero essere violati.

Il Parlamento europeo oltretutto, al contrario di quanto diffusamente non si creda, è un’istituzione assai costosa come voce di bilancio, però decisamente poco “pesante” sul piano politico. Per molti degli accordi che riguardano la vita dell’Unione, infatti, il parere del Parlamento stesso – pur essendo previsto - è “non vincolante”; per altri, invece, esso diventa del tutto “inutile”, se non perviene entro un certo termine, indicato perentoriamente dal Consiglio europeo.

Il parere della Corte n. 1/03, datato 7 febbraio 2006 (in Raccolta 2006, p. I – 1145), sancisce la «competenza esclusiva della Comunità a concludere accordi sulla giurisdizione e sul riconoscimento di sentenze straniere in materia civile, anche in relazione ad aspetti non ancora regolati da norme comuni» (G. Gaja – A. Adinolfi).

Per concludere, a conferma di quella che parrebbe una lenta e progressiva procedura di “esproprio” dei diritti costituzionali degli Stati, nel suddetto Trattato sul Funzionamento dell’Unione viene ribadito - all’art. 216 par. 2 -  come «gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri».

Del resto, di fronte allo sfoggio di  cotanta gratuita “onnipotenza istituzionale” da parte di una Unione che non riesce a risolvere nemmeno le sue più profonde ragioni di crisi, ciascuno Stato membro, nel nome di un’ideologia europeista “a tutti i costi”, non reagisce abbastanza - nell’indifferenza generale – per salvaguardare importanti ambiti della propria residua autonomia;  la qual cosa, in un momento storico così delicato,  potrebbe rivelarsi un passo falso dalle conseguenze imprevedibili.  

(Fonti: G. Gaja – A. Adinolfi, Introduzione al diritto dell’Unione europea, Editori Laterza abcdeuropa.com/)

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