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Il Commissario Calabresi: un eroe dimenticato

  • Gaetano Tirloni

agguato di via fani roma 16 marzo 1978 raffaele iozzinoIl 17 maggio 1972 moriva il commissario capo Luigi Calabresi, freddato da un commando di Lotta continua. Stava salendo sulla sua 500, parcheggiata davanti al palazzo dove abitava, diretto alla Questura di Milano, presso la quale prestava servizio come vice responsabile della squadra politica. 

Un incarico allora esplosivo :erano gli anni della contestazione furibonda e fronteggiare con coraggio i violenti protetti dallo scudo della peggior politica costituiva un'azione eroica.

Calabresi, non dimentichiamolo, aveva salvato Capanna da un sicuro linciaggio, quando ai funerali della guardia di pubblica sicurezza Antonio Annarumma, ucciso da mano ignota ma sicuramente rintracciabile fra i gruppi eversivi dell'estrema sinistra, sfidò il buon senso e provocò l'ira dei colleghi dell'assassinato, decisi al tutto per tutto in memoria del loro commilitone caduto. 

Ma il funzionario romano di p.s. ebbe il suo peggior linciaggio in occasione della morte dell'anarchico Pinelli, indagato per la strage di piazza Fontana e precipitato da una finestra della Questura milanese probabilmente per un malore.

Giornalisti e commentatori riconducibili all'area della sinistra lo accusarono di aver spinto il ferroviere di sotto, causandone la morte. A nulla valse il suo proscioglimento, decretato, dopo un'accurata inchiesta, dal giudice Gerardo D'Ambrosio, comunista ma adamantino.

Addirittura 800 intellettuali, per lo più fulminati dall'ideologia, firmarono sull'Espresso un manifesto d'accusa contro il commissario capo; e tanto era violento nei toni quanto falso nella sostanza, che sarebbe ora che gli storici di provata onestà lo setaccino e lo presentino alle nuove generazioni come il tipico prodotto della miopia logica e morale, capace di travisare la realtà a favore dei propri pregiudizi, anche criminali.

Chi ha una certa età ricorda le scritte che deturpavano i muri della metropoli ambrosiana, tutte insultanti Calabresi, in un'orgia di imbecillità pronuba di gravissime conseguenze.

Di Calabresi va ricordata anche la fede profonda, la quale gli permise di superare momenti di vita drammatici, che avrebbero accasciato chiunque.

Va sottolineato infine che i suoi superiori non lo tutelarono come sarebbe stato doveroso - compresi i vari ministri dell'interno succedutisi in quegli anni - per viltà, sopra tutto.

Dopo la sua morte è scattata una rivalutazione della sua figura, tuttavia ancora in forma contenuta e non nell'ampiezza che sarebbe auspicabile. 

Degli 800 calunniatori, pochi han fatto ammenda, i più son rimasti abbarbicati alla menzogna, decretando per se stessi in primo luogo una disistima che andrebbe pubblicizzata senza remore.

A 47 anni dal suo omicidio, Calabresi rammenta alle coscienze atrofizzate del nostro secolo che la menzogna, usata principalmente come arma politica, è una pistola fumante puntata contro l'innocente. 

Poco importa, poi, chi sparerà: sono i mandanti i veri killer.

Gaetano Tirloni

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