Patti Smith in concerto a Villa Arconati
Ormai è mezzanotte suonata, ma il Sempione, ancora nel pieno delle proprie energie, lampeggia sferzato dai fanali delle vetture e bersagliato dalle insegne al neon, scandendo il ritmo della notte, del pensiero che lentamente muta in SOGNO.
Patti Smith in concerto a Villa Arconati
Sarà stata la stanchezza di una corsa a perdifiato, forse il caldo di lunedì 23 luglio pomeriggio, sarà stato il fatto che ormai stavo in piedi da quasi quattro ore e che la glicemia scendeva a balzelloni portandosi il mio fiato giù giù con sé, ma quando finalmente, afferrata la transenna, capii di essere in prima fila sotto al palco, credetti di stare sognando. Invece, era tutto vero: l’immenso parco di villa Arconati, lo slancio dei fan dal check 1 al parterre e, sì, anche lei, la superba poetessa maudit, Patti Smith.
Prima di scrivere questa pagina vi confesso ho letto tantissime recensioni della serata, così come potrete fare voi se la mia vi incuriosisce o magari vi lascia insoddisfatti. Ho letto gli articoli dei delusi, dei paghi, ho letto di chi l’ha trovata stanca e un po’ sottotono, ma la perdona per l’età. Devo confessarvi mi sono indignata parecchio. L’elemento comune a tutte le recensioni è stato in primis il confronto tra i concerti degli esordi e questo, realizzato ben oltre la sessantina della Signora, e, in secondo luogo, di come la “stanchezza” della performer non abbia precluso una spettacolare performance.
Ora, visto che l’Italia è uno splendido Paese libero, sia personaggi competenti che persone comuni, come me d’altra parte, possono esprimere la propria opinione. Mi sento in dovere però di porre l’accento su qualche insignificante dettaglio che praticamente nessuno ha valutato.
Prima osservazione: se il soggetto della nostra attenzione fosse una donna tra tante, alla sua età, probabilmente non sarebbe stimata essere esattamente nel fiore degli anni e, per questo, penso nessun dottore consiglierebbe lei imprese come scalare la vetta di qualche impervia montagna o fare immersioni negli abissi insieme con gli squali, giusto? Bene. Se vi dicessi ora che una donna tra tante, nell'arco di sessantanni, ha raggiunto la vetta dei migliori palchi del mondo, facendosi largo attraverso almeno tre generazioni di sostenitori, scavalcando le giovani e avvenenti colleghe, non con le unghie e con i denti, ma con la forza delle sue idee e di quella sua voce che anche quando grida suona sempre perfettamente accordata, consapevole, poetica. Se vi dicessi che alla sua età, Patti Smith monta sul palco con la rabbia maturata in una vita intera, il dolore e il coraggio di superarlo, per lanciarsi in mezzo agli squali senza protezione alcuna e vulnerabile, ma mai indifesa, sputa sul decoro e i pregiudizi, sputa sull'educazione ipocrita e proclama il suo unico vero credo: “Be FREE”.
Le genti devono essere libere come è libera Patti Smith di salire su un palco e mettersi a dialogare con un ragno, forse reincarnazione di Jimi Hendrix, o di salutare una farfalla passeggera, riflettendo a voce alta sui suoi ricordi e raccontandoci quella sensibilità che nasconde sotto la giacca maschile e il gilet, quella sensibilità di donna che è diventata idolo.
Ora, se vi dicessi tutto ciò, forse non vi domandereste se stessi sognando?
Seconda osservazione: Patti Smith è sempre stata una rock star e su questo non c’è alcun dubbio. Forse il fatto che gli anni passino anche per le stelle potrà stupire qualcuno, ma anche il Sole dicono ormai abbia una certa età eppure brilla e scalda parecchio la terra. Allora forse quello che stupisce è che una Signora un po’ stanca, come suggeriscono alcuni, dopo un’ora e mezza di concerto, una passeggiata tra la folla e un bis abbia ancora le energie per strappare le corde della propria chitarra elettrica.
Spero che nessuno s’indispettisca per la precedente retorica, ma a mio parere trovo abbastanza poco opportuno paragonare una leggenda del suo calibro alla stessa lei di vent'anni prima, scivolando nell'ovvio nel trovarla forse più affaticata.
Ad ogni modo, ho rivalutato le mie posizioni: va bene così, guardiamo la performance e la performer con occhio critico, ogni sua mossa, ogni sua ruga, la chioma disordinata, i jeans vissuti, lo sguardo a volte affaticato, i viaggi frequenti all'inizio del concerto verso il tecnico audio. Guardiamo tutto ciò con occhio meticoloso e un po’ scettico perché questo è il prezzo che la Smith deve pagare per essere una fuoriclasse: nessuno sconto, nessuna attenuante, mai, perché da lei ci si aspetta solo e sempre il massimo, perché siamo abituati bene.
Ora, però, guardiamo anche le movenze sicure, la padronanza di un palco che è suo non per diritto, ma per merito, lo sguardo sognante e la risata da bambina al grido “You are beautiful” dei suoi fans cui risponde con “You… Are beautiful”, il rientro furioso dopo l’acclamato bis e lo “shut up” secco e imperativo rivolto ai sostenitori. La Sacerdotessa del rock è acclamata e venerata a partire dal giovane scalmanato fino al più sobrio bancario che più di tutti alza le mani al cielo spettinato, esaltato.
In questa notte memorabile, il popolo milanese parte eterogeneo per amalgamarsi in un unico caotico sogno, un sogno rock alla ricerca della libertà.