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Pendolari d.o.c a Milano, in 9 passi

  • Ilaria Senati

Piove. Dal finestrino come smerigliato di infinite gocce, le luci tiepide della città iniziano a scaldarsi, mentre il fiato dei passeggeri condensa contro la fredda superficie di vetro.

Il mio riflesso sfoca, mentre alle spalle una Milano, malinconica quanto basta, mi saluta con le lunghe braccia distese fino alla più remota periferia.

Attendo di arrivare a casa, pigiata sul sedile e infradiciata a causa dell’ombrello del passeggero accanto, mi ritiro in me, nel mio riflesso, nel nostro riflesso.

La vita del pendolare è fatta di piccoli accorgimenti: sveglia all’alba, mezzi su mezzi, gente su gente, passo dopo passo. Ma il pendolare può, può sopportare il tutto con la classe e l’esperienza del marinaio navigato, senza lamentele, senza contrasti.

Si capisce immediatamente chi è abituato a spostarsi per lavoro e chi no.

Situazione tipo: piove, delle voci risuonano fragorosamente nella carrozza di un tram, sono le 7 di mattina, ci troviamo in città. Potete giurarci, non si tratta di un pendolare.

Vi spiego perché. I lavoratori che sono costretti a spostarsi quotidianamente sanno perfettamente che sono le piccole cose a rendere sopportabile la giornata nella metropoli. Così, grazie a qualche piccolo accorgimento, sopravvivere alle nevrosi che attanagliano il Milanese medio diventa un gioco da ragazzi.

Ecco alcuni “trucchi del mestiere”. Il pendolare:

  1. prende un bus all’alba, ma non uno qualsiasi, sceglie la frazione d’ora nella quale il bus è più vuoto possibile, in cui l’autista viaggia a luci spente, sedendo vicino al finestrino per non doversi alzare in seguito;
  2. usa l’automobile in città solo sotto tortura che, a parte per i fortunati auto-aziendale-muniti, è diventata a tutti gli effetti un mezzo di “lusso” per i costi del carburante oltre che della vettura e poi è causa  dell’inevitabile stress da “parcheggio fantasma”, il posto auto che due minuti prima c’è e avvicinandosi scompare;
  3. tiene tutto perfettamente organizzato: titoli di viaggio vari in una tasca, ombrello sempre nel bagaglio, un quotidiano fresco di stampa e una bottiglietta d’acqua. Non si sa mai: il mezzo potrebbe far deviazione nella foresta pluviale o nel Sahara, ma questo non creerà turbamenti;
  4. porta con sé un’appendice del proprio corpo imprescindibile che difende a costo della propria vita. Che si tratti di auricolari con cavo, bluetooth o cuffie sono fondamentali per ovviare all’intenso chiacchiericcio dei viaggiatori occasionali;
  5. sale per primo e scende per ultimo, senza spingere, s’incolonna a destra sulle scale mobili e attende che la discesa dei passeggeri prima di salire sul metro; parola d’ordine NO PANIC!
  6. surfa”. Esattamente, il pendolare medio sfida il metro, le curve in derapata, le valigie dei turisti, i cani al guinzaglio, i passeggini, le borse della spesa e le 24ore. “Surfa” in perfetto equilibrio, parallelo al senso di marcia, sostando sempre dalla parte opposta all’apertura delle porte;
  7. conosce quale fornaio addolcirà la sua giornata, con qualche ghiottoneria e un sorriso amichevole;
  8. conosce perfettamente quale giornale accettare davanti alle scale del metro e quale rifiutare;
  9. evita gli uffici ATM a settembre, più della peste, e rinnova l’attivazione della card mezzi altrove.

Il pendolare non ha una vita poi così facile, mangia riscaldato, lavora tanto, viaggia di più e alla fine, proprio quando l’idea di tornar finalmente a casa si fa concreta, si perde in mezzo alla gente, ascoltando in lontananza qualche menestrello di strada suonar la sua canzone mentre, ritornando sui suoi passi, guarda Milano allontanarsi con la fronte premuta sul vetro freddo del finestrino.

Volete la verità: la malinconia del pendolare, la nostra malinconia, non sta tanto nel lasciar casa la mattina, quanto invece nell’abbandonare la Città la sera, perché, alla fine, volenti o nolenti, anche questa è CASA.

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